01 Settembre 2023

Il viaggio in Italia di Tolkien: tra Gondor e il Monte Fato (Stromboli)

Era la fine di luglio del 1955 quando un professore di Oxford ancora poco conosciuto al di fuori del mondo accademico, John Ronald Reuel Tolkien, attraversava per la prima volta le Alpi, giungendo dapprima a Venezia con un lungo e sfiancante viaggio in treno, compiuto in larga parte a bordo del famoso Orient Express attraverso Parigi e Milano. Pochi giorni prima aveva scritto una breve missiva al suo editore inglese Rayner Unwin – particolare riferito come molti altri all’interno dello splendido e dettagliato volume di Oronzo Cilli (grande studioso e collezionista tolkieniano) Tolkien e l’Italia – facendo esplicito riferimento ad uno dei toponimi più emblematici di quella che tutto il mondo avrebbe poi riconosciuto come la più completa tra le opere letterarie del XXI secolo, ovvero “The Lord of the Rings”: «lascio il Regno del Nord [Inghilterra] per una rapida escursione a Gondor [Italia]…» (passo come i successivi tratto dal “Giornale d’Italia”, titolo dato dallo scrittore al suo diario di viaggio).

Tolkien stava in quegli stessi giorni attendendo l’uscita del terzo capitolo di quella che, non per suo volere ma per ragioni puramente editoriali, sarebbe diventata la Trilogia dell’Anello, ovvero “The return of the King”, mentre già da un anno esatto erano stati dati alle stampe il primo e il secondo tomo (“The Fellowship of the Ring” e “The Two Towers”). Trascorsa una piacevole settimana in laguna tra cene in Campo San Tomà e gli intermezzi musicali del “Rigoletto” in Campo Sant’Angelo, ma sempre col pensiero fisso di seguire quante più funzioni religiose possibile nelle maggiori chiese veneziane, conscio «di essere giunto nel cuore della Cristianità; un esule che ritorna a casa dai confini e dalle province più remote, o almeno giunge alla casa dei suoi padri»; con lo stesso spirito arriva poi ad Assisi, non tanto per ammirare gli affreschi di Giotto o alcune tra le più famose basiliche della cristianità, ma – cosa assai più probabile – per sperimentare fattivamente l’ispirazione che emanano i luoghi francescani nell’immaginario di un moderno e coltissimo “pellegrino”.

Un secondo, fugace viaggio in crociera nel Mediterraneo nel 1966 lo portò, tra le altre tappe, a costeggiare anche lo Stretto di Messina e l’Isola di Stromboli, alla cui vista Tolkien non rimase indifferente, tanto da descriverla ad un amico come il corrispettivo del Monte Fato dell’oscura regione di Mordor, prima di approdare nuovamente nell’amata Venezia. L’amore di Tolkien per il nostro paese vantava però radici ben più profonde, rinforzate soprattutto dagli studi letterari e, in particolare, dalla passione per Dante, coltivata nel decennio precedente attraverso l’adesione attiva alla “Oxford Dante Society”. Un amore si potrebbe dire non sempre corrisposto, quantomeno dal punto di vista editoriale, se pensiamo come per ben due volte (1955 e 1962) i diritti di traduzione proposti dalla George Allen & Unwin (editore inglese di Tolkien) alla Mondadori, riscossero pareri tiepidi se non addirittura dispregiativi da parte anche di personalità di spicco della direzione della casa editrice milanese quali furono Elio Vittorini e Vittorio Sereni. Lapidario e a tratti ingeneroso fu il secondo “gran rifiuto” da parte del romanziere siciliano:

«Il successo del tentativo richiederebbe la forza di un vero e proprio genio (che Tolkien dà prova di non essere) e la convalida di un’attualità (cioè che il libro implicasse la metafora di qualche attualità) ma ciò non si verifica affatto».

Una visione davvero miope se si pensa a quanto l’impalcatura de “Il Signore degli Anelli” fosse invece estremamente attuale nei riferimenti neanche troppo celati ai conflitti mondiali e al difficile assetto geo-politico internazionale di quegli anni, all’ascesa dei totalitarismi nazifascisti, fino ad arrivare alle prime sentenze precorritrici su ecologia e rottura degli equilibri naturali per mano dell’uomo moderno. Bisognerà dunque attendere più di un decennio (1967) affinché il capolavoro di Tolkien arrivi finalmente nelle librerie italiane per mano di un editore illuminato come Mario Ubaldini e la sua casa editrice l’Astrolabio. Nonostante la notevole e appassionata traduzione curata da una giovanissima principessa siciliana, Vittoria Alliata di Villafranca, allora nemmeno maggiorenne, i poderosi investimenti pubblicitari e di diffusione da parte dell’editore, “La Compagnia dell’Anello”, primo tomo della saga, non decollò mai nelle vendite, come aveva tutto sommato intuito il navigato “establishment” mondadoriano, cosa che costrinse il malcapitato Ubaldini a vendere i diritti di traduzione dei rimanenti volumi ad una nuova e rampante realtà editoriale, ovvero la Rusconi. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” cantava un poeta genovese amante anch’egli delle “Chanson de gestae” e dei poemi ariosteschi (le cose più apparentabili all’ipertrofico universo epico tolkieniano in cui il Bene tenta incessantemente di arginare la straordinaria, subdola e mostruosa ingegnosità del Male). Fu così che una personalità intelligente e poliedrica come Alfredo Cattabiani – sua tra le altre cose un’opera monumentale di sorprendente affinità elettiva con la visione naturalistica di Tolkien quale “Florario. Miti leggende e simboli di fiori e piante” – affiancato nelle scelte editoriali da altri due egregi “fantasisti” (il termine non potrebbe essere più calzante) come il fine musicologo Quirino Principe e il celebre studioso di religioni ed esoterismo Elémire Zolla, non esita a farsi sfuggire l’involontario assist di Ubaldini e, affidata la traduzione del terzo volume sempre a Vicky Alliata, completa l’impresa di mettere sul mercato addirittura un volume unico, come era in fondo nelle esplicite aspettative anche di Tolkien, il quale non aveva mai concepito la sua opera come una trilogia, bensì come un impianto unitario.

Sostenuto anche dall’egregio lavoro grafico delle copertine disegnate da Piero Crida per tutte le numerose ristampe, “Il Signore degli Anelli” diventa nel corso degli anni successivi uno tra i libri più venduti nel Belpaese senza soluzione di continuità dall’anno di uscita (1970) fino ai giorni nostri: un capolavoro senza tempo che ha affascinato generazioni di lettori di ogni età. Insomma, più di mezzo secolo esatto sulla cresta dell’onda, aiutato di recente dal successo avuto dalle trasposizioni cinematografiche di Peter Jackson. Come tiene a sottolineare ancora Oronzo Cilli con profonda coerenza filologica, il viaggio di Tolkien in Italia fu davvero «carico di significati anche se, ed è bene sottolinearlo, non influenzò la stesura del volume, già consegnato all’editore assieme alle Appendici il 20 maggio 1955». Ma come possono i lettori più attenti delle vicende della Terra di Mezzo non notare quante suggestioni tutte italiane hanno da sempre affascinato Tolkien. Basti pensare alle numerose similitudini nella costruzione immaginativa dei luoghi per cui, ad esempio nel decimo capitolo de “Lo Hobbit”, la città di Esgaroth o Pontelagolungo assomiglia in parte proprio all’amata Venezia o a quanto l’architettura fortificata di Minas Tirith sia per molti aspetti speculare al Monte del Purgatorio dipinto da Domenico di Michelino nel 1465 che Tolkien doveva certamente conoscere per le sue assidue letture dantesche. Se dunque anche una piccola parte della magia immortale che J.R.R Tolkien ha saputo infondere nel suo mondo immaginario di Arda è dovuta a ispirazioni tutte italiane, non possiamo che gioirne ad ogni rilettura.

Diego Conticello

Gruppo MAGOG