22 Novembre 2020

Super Tina! 100 anni fa la Modotti esordisce (al cinema). Bella, audace, determinata: da allora comincia la sua rivoluzione

L’esordio fu una tempesta, anche se nessuno avrebbe immaginato che nell’Olimpo ci sarebbe arrivata, come un uragano, per un altro talento: quello di raccontare il mondo senza l’ausilio delle parole. Pubblico e critica si unirono in una voce sola di elogi smisurati: una stella luminosa era apparsa negli Stati Uniti d’America. Una stella che nella coda portava un “fascino esotico” (questa l’elegia di chi scrisse di lei) non del tutto motivato, viste le sue origini italiche. Lei però, ostica come tutti i furlani, si mise di traverso: i complimenti ricevuti per il suo “involucro” – il viso incantevole e il suo corpo sinuoso e “pieno” – e non per quello che realmente le stava a cuore – lo sguardo, la poetica, il suo voler far combaciare impegno sociale e politica – le fecero fare marcia indietro. Tre film per farsi conoscere, e poi l’addio.

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Ma già nella trama della pellicola si celava una tenia. Un facoltoso uomo d’affari scopre che la fidanzata, che lui ha sempre pensato fosse scozzese, è invece messicana. Il fidanzamento viene rotto e la ragazza se ne va via dalla città. Tempo dopo, al suo ritorno, lui si rende conto che lei è la donna della sua vita. Il film si intitola The Tiger’s Coat (Pelle di tigre) ed è stato diretto dal regista Roy Clements nel 1920. Ad interpretare la ragazza è Tina Modotti. Un secolo fa esatto la più grande fotografa italiana del Novecento si presentava al mondo. Aveva 24 anni e tanti sogni.

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In Messico ci arriva dopo circa 12 mesi. Il marito, il pittore Roubaix de l’Abrie Richey detto “Robo”, la presenta a Edward Weston, uno dei più influenti fotografi del secolo scorso. Ne rimane abbagliato. Semplicemente e profondamente affascinato. Tina in breve diventa la sua musa e poi la sua amante. Robo scopre la tresca e scappa a Città del Messico, lei lascia gli USA e cerca una conciliazione ma, come in un film, arriva tardi: lui è già morto, portato via dal vaiolo. Quella tenia però scava, entra, cerca, squassa. E le indica la strada: ripartire, un’altra volta, come quando lasciò Udine per attraversare l’Oceano Atlantico. Una vita nuova, in quel Paese latinoamericano che ha una storia che lei sente di dover raccontare.

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Introdotta da Weston, Tina entra a contatto con i bohemien della capitale e conosce, tra gli altri, anche Frida Kahlo con la quale, si sussurra, abbia avuto uno scambio di intimità. Grazie all’infarinatura fotografica avuta da bambina nello studio friulano dello zio Pietro decide di “camminare” nell’arte delle immagini. I suoi passi sono sontuosi, ampi, rapidi, come una corsa. Un lampo nel cielo messicano, una meteora forse, che però si è schiantata a terra e ha lasciato un solco profondo. Dieci anni di fotografie, più o meno: tanto le è bastato per diventare immortale. Tra le fine degli Anni Venti e l’inizio del decennio successivo le tolgono la sua “lingua”, lo strumento che ha scelto per spiegare il Messico. Non si sa se “sente” di aver detto tutto quello che voleva dire ma nel dubbio parte per aiutare il Soccorso Rosso Internazionale. 

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L’apice della sua carriera ha una data precisa: dicembre 1929. La presentazione è un’incisione sulla pietra: “La prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”.

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Quello che avvenne dal 1930 al 1942, anno della sua morte, è già letteratura attraversata, approfondita, conosciuta. Compreso il meraviglioso epitaffio che le ha scritto Pablo Neruda.

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Come “Bocca di rosa”, anche Tina faceva l’amore per passione. Passione per chi amava, per chi la sapeva stupire cerebralmente, per l’uguaglianza tra le persone. Per le mani consumate degli operai, per le manifestazioni politiche e sindacali. Per la falce e il martello.

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Anni fa il giornale “The Daily Telegraph”, nel lanciare una sua mostra ospitata alla Royal Acedemy of Arts di Londra, scrisse senza timori: “Una dei più brillanti fotografi del XX secolo con una storia e una eredità straordinarie”.

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La sua innovazione è racchiusa in tutto quello che ha fatto: il cinema, il posare nuda, l’essersi guadagnata la stima degli uomini per una professione che ai tempi era negata alle donne. Reportage fotografici senza filtri, sinceri. Veri. Come dovrebbe essere la vita. Quella che ha raccontato. Quella che ha vissuto.

Alessandro Carli

*In copertina: Tina Modotti fotografata da Edward Weston, 1921

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