Colm Tóibín è tra i più riconosciuti scrittori in lingua inglese. Irlandese, classe 1955, alla University of Manchester ricopre la cattedra di scrittura che fu di Martin Amis. I suoi romanzi sono ben tradotti in Italia: dopo Fazi e Bompiani, gli ultimi libri, tra cui La casa dei nomi, sono editi da Einaudi. Nel mondo anglofono è uscito da poco il romanzo che Tóibín ha dedicato a Thomas Mann: s’intitola The Magician, pubblica Viking. Il libro ha la tensione del romanzo canonico, ha una scrittura distesa – qui sotto pubblichiamo un estratto dal primo capitolo –, vasta (si veleggia per 450 pagine), che indugia nelle contraddizioni di uno dei massimi romanzieri di ogni tempo, Nobel per la letteratura nel 1929. “The Magician racconta la vita di uno scrittore che ha raccolto consensi e collezionato contraddizioni. Durante la Prima guerra fu con l’esercito tedesco, più tardi riuscì a prevedere gli orrori del Nazismo. Ha avuto sei figli, nascondendo la propria omosessualità; amava la famiglia, ma ciò non gli impedì di meditare il suicidio. Ha scritto alcune delle più grandi opere della letteratura europea, ma non farà ritorno in Germania, il paese che ha ispirato la sua creatività”. La primissima parte del romanzo si concentra su Júlia da Silva Bruhns (1851-1923), la madre di Thomas Mann, nata a Paraty, in Brasile, figlia di un agricoltore tedesco e di una brasiliana, con sangue indigeno nelle vene, che si fece luterana per sposare il senatore Johann Heinrich Mann. Le due figlie, Carla e Lula, si uccisero; lei visse gli ultimi anni della sua vita vagabondando tra diversi, austeri alberghi tedeschi.
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Lubecca, 1891
La madre aspettava di sopra, mentre i domestici prendevano i cappotti, le sciarpe e i cappelli degli ospiti. Julia Mann sarebbe rimasta in camera finché tutti non fossero entrati in salotto. Thomas, Heinrich, il maggiore, e le sorelle, Lula e Carla, ammiravano quel traffico. Tra poco sarebbe apparsa la madre. Heinrich fece segno a Carla di stare zitta, altrimenti l’avrebbe portata a letto. Viktor, il più piccolo, dormiva in una stanza al piano superiore.
Con i capelli severamente raccolti all’indietro, legati con un fiocco colorato, Julia uscì dalla camera da letto. Il vestito era bianco, le scarpe nere, ordinate appositamente da Maiorca, semplici, come le scarpe di una ballerina. Si unì alla compagnia con aria riluttante, dando l’idea di provenire da un luogo ben più interessante della festosa Lubecca: la solitudine. In salotto, dopo essersi guardata intorno, Julia incrociava gli ospiti: un uomo improbabile come Herr Kellinghusen, né giovane né vecchio, o Franz Cadovius, afflitto da uno strabismo ereditato dalla madre, o il giudice August Leverkühn, con le labbra sottili, i baffi accurati, il centro della sua attenzione.
Emanava un’atmosfera di estraneità, un lascito anomalo, che le assegnava un fascino ulteriore: pareva fragile, fragile e affascinante.
Eppure, una cupa gentilezza proveniva dagli occhi, che lampeggiavano mentre chiedeva all’ospite del suo lavoro, della famiglia, dei piani per l’estate e, parlando dell’estate, divagava tra i piaceri offerti dagli alberghi di Travemünde rispetto a quelli di Trouville o di Collioure, accennando a qualche località dell’Adriatico. Poco dopo avrebbe posto una domanda imbarazzante. Chiedeva cosa pensasse il suo interlocutore di qualche donna, oggetto di pettegolezzi e di controverse speculazioni tra i cittadini. La giovane Frau Stavenhitter, oppure Frau Mackenthun, o l’anziana Fraulein Distelmann. O qualche altra, dall’esistenza ancora più oscura e sconcertante. L’ospite, piuttosto inquieto, aveva poco da dire, e la madre di Thomas, allora, lo incalzava, dicendo che la donna in questione era una persona meravigliosa, degno vanto per una città come Lubecca. Lo diceva come fosse una rivelazione, qualcosa che avrebbe dovuto restare del tutto confidenziale, di cui nemmeno il marito, il senatore, era a conoscenza.
Il giorno dopo si sarebbe diffusa la notizia del comportamento della madre, e Heinrich e Thomas avrebbero sentito parlare di lei perfino dai compagni di classe, come se si trattasse del personaggio di una commedia, moderna, nuova, appena rappresentata.
La sera, quando il senatore era impegnato in una riunione, dopo che Thomas e Heinrich, terminato lo studio al violino, consumata la cena, si erano messi in camicia da notte, si apprestavano a dormire, la madre raccontava loro del suo paese natale, il Brasile, un luogo tanto vasto, diceva, che s’ignorava quanti uomini lo abitassero e quante lingue si parlassero, lì, un paese grande molto più della Germania, dove non esisteva l’inverno né il freddo e dove un fiume, il Rio delle Amazzoni, era dieci volte più lungo e dieci volte più largo del Reno, s’inoltrava nel folto della foresta da cui svettavano alberi più alti di ogni albero mai conosciuto, in spazi colonizzati da persone che nessuno avrebbe mai visto perché come nessuno conoscevano la foresta, e sapevano nascondersi quando vi passava uno straniero.
“Parlaci delle stelle”, diceva Heinrich.
“La nostra casa, a Paraty, era sull’acqua”, rispondeva Julia. “Galleggiava sull’acqua, come una barca. Quando cadeva la notte, le stelle erano basse, luminose, in cielo. Qui a Nord le stelle sono alte, lontane e fredde; in Brasile sono grosse e visibili, come il sole durante il giorno. Sono piccoli soli, scintillanti e prossimi, vicini a chi vive sulle acque. Mia madre diceva che si poteva leggere un libro, al piano superiore, perché la luce delle stelle, rifrangendosi sull’acqua, era molto luminosa. Era impossibile dormire se non chiudevi le persiane. Quando ero una bambina, all’età delle tue sorelle, credevo che tutto il mondo fosse così. La prima notte a Lubecca… è stato uno shock… non potevo vedere le stelle… erano coperte dalle nuvole”.
“Raccontaci della nave”.
“Devi andare a dormire”
“Raccontaci la storia dello zucchero”.
“Tommy, la conosci la storia dello zucchero”.
“…solo una parte…”.
“Beh… tutto il marzapane prodotto a Lubecca si fa con lo zucchero che viene dal Brasile. Lubecca è famosa per il marzapane, perché il Brasile è famoso per lo zucchero. Così, quando la brava gente di Lubecca e i loro figli mangia il marzapane la vigilia di Natale, non sa che sta mangiando una parte del Brasile. Mangiano lo zucchero che è arrivato per loro attraverso l’oceano”.
“Perché non facciamo anche noi lo zucchero?”.
“Devi chiederlo a tuo padre”.
Anni dopo Thomas si chiese se la decisione di suo padre di sposare Júlia de Silva-Bruhns, la cui madre si diceva avesse sangue indio nelle vene, piuttosto che la figlia di un imperturbabile magnate del commercio o la bella erede di un vecchio banchiere, non fosse l’inizio del declino dei Mann, la prova che la fame di cose anomale era penetrata nello spirito della famiglia, che fino ad allora aveva appetiti consoni a ciò che è sicuro, retto, cauto.