07 Marzo 2023

“Tra noi e il sole”. Thomas Lovell Beddoes, il poeta scatenato

Scrivendo di Hölderlin, in un libro di frastornante, improvvida bellezza – Hölderlin’s Madness – David Gascoyne cita Thomas Lovell Beddoes. Ne parla scrivendo delle ultime poesie di Hölderlin, quelle della follia, pensate nella “stanza in cui il poeta fu rinchiuso per trent’anni” che “dava su un paesaggio di monti innevati, scure foreste e verdi vallate, attraversate dal Neckar” (cito dalla traduzione, ancora inedita, di Luca Orlandini). Quelle poesie, a David Gascoyne, ricordano i Songs of Innocence di William Blake, il Kubla Khan di Coleridge, il “battello ebbro” di Rimbaud. E le poesie di Thomas Lovell Beddoes.

“Si pensa a quella misteriosa bellezza che ci viene rivelata nei fugaci lampi delle opere di Thomas Lovell Beddoes”.

Scrive così, David Gascoyne. Ogni poeta, in qualche modo, sceglie il proprio lignaggio, indossa una sequela. David Gascoyne – seguace di Rimbaud, lettore di Blake – trovò la sua Harar in un manicomio sull’isola di Wight, perfezionò i versi, visionari, fino alla mania. Naturalmente, restano impresse come chiodi nell’iride, quelle sue intuizioni: la misteriosa bellezza, i fugaci lampi…Già. Ma chi diavolo è Thomas Lovell Beddoes?

Poeta irregolare, estremista, TLB cercò di fuggire il proprio talento, obliquo, dissipandosi: la sua opera è del tutto postuma. Lo dicono “innocentemente malizioso, sempre pronto a scoccare una battuta, gli occhi furbi, i riccioli folli”; dicono assomigliasse a John Keats, ma lui preferiva Shelley, di cui si premurò di divulgare l’opera. Il padre, Thomas Beddoes, figura tra i medici più rinomati dell’epoca: tra l’altro, era intimo amico di Samuel Taylor Coleridge. Thomas Lovell Beddoes nacque a Clifton, Bristol, alla fine di giugno del 1803, tra gli agi. Il padre morì che era bambino, fu educato a Oxford, dove dimostrò precoci doti poetiche, di sinistra genialità. Nel 1822 pubblicò The Bride’s Tragedy, una tragedia che gli consegna l’epiteto di “ultimo degli elisabettiani” (così Lytton Strachey): tra tutti preferiva John Webster. Era un esaltato, TLB, non un manutentore di marmi: il suo amore per il passato ha il conforto del tradimento; così scrive a un amico:

“Chi voglia risvegliare il genio del dramma deve essere audace e tracciare un sentiero proprio, non strisciare tra vermi e tarli. Quante, troppe, fredde resurrezioni di vampiri: i fantasmi di Marlowe e di Webster restano ancora migliori, in poesia, di tutti i nostri contemporanei, ma le loro pagine sono tarlate dal tempo, dai vermi, dobbiamo superarli”.

TLB, piuttosto, superò se stesso, cioè la poesia. Dopo la morte della madre – nella casa di Firenze, nel 1824, dove conobbe Mary Shelley – Thomas si trasferisce in Germania a studiare medicina. Resta quattro anni a Göttingen, studiando fisiologia, chirurgia, chimica; a Würzburg apre uno studio, ma viene allontanato dalla città a causa delle sue “idee democratiche”, che collidono coi realia politici dell’epoca. È affascinato dalla decomposizione dei corpi, l’esangue, fragile, disordinato Thomas Lovell Beddoes, dalla fine che incombe su ogni cosa: da qui, la poesia come un’effimera, le parole violacee, le arditezze semantiche, i versi con più code, a tratti involuti, la spiritualità scatenata, lo spiritismo. Sapeva di essere un uomo al di là, destinato ai posteri e ai passati. Non piacque alle sentinelle dell’ordine grammaticale costituito. A Zurigo assistette, nel 1839, all’insurrezione dei contadini che decapitò – letteralmente – i vertici del governo liberale della città: alcuni suoi amici furono uccisi. Il poeta, “che aveva mostrato interesse per la causa liberale, finanziandola, e che ormai scriveva in perfetto tedesco”, fu costretto a fuggire, abbandonando la nutrita biblioteca scientifica che aveva creato, di oltre seicento volumi.

Inizia, per TLB, da qui, una vita da esteta del vagabondaggio: prima lo troviamo a Berlino, poi a Baden, poi ancora a Zurigo, infine a Francoforte. Ritorna in Inghilterra nel 1846; per gli amici è ormai irriconoscibile. Fuma oppio, si chiude per sei mesi in una camera, a scrivere. Lascia per sempre la sua patria l’anno dopo: a Francoforte pratica, alla bisogna, come medico, condivide la casa con un attore, lo reclutano quando occorre dissezionare dei cadaveri. Scrive, programmaticamente, da disadatto, nella disanima del disturbo. Per questo, in forma di prodigio al veleno, Thomas Lovell Beddoes diventa una specie di autore di culto: Edmund Gosse raccoglie i Poetical Works di TLB in una edizione del 1890 poi ampliata nel 1928 (The Complete Works of Thomas Lovell Beddoes); David Gascoyne ha probabilmente tra le mani l’edizione antologica delle poesie curata nel 1932 da Frank Laurence Lucas, uno che aveva osato stroncare Thomas S. Eliot. Di recente, un’edizione di Selected Poetry di TLB è pubblicata da Carcanet. In Italia, l’opera di TLB, “dove il macabro si sposa al grottesco”, conquistò Mario Praz: nel 1942 fece discutere a una sua allieva, Maria La Cava, una tesi di laurea sulla Vita e le opere di Thomas Lovell Beddoes. Troppo laterale al noto, tuttavia, TLB, per accedere tra i meandri dell’editoria italiana.

Fu l’amico Thomas Forbes Kelsall, nel 1851, a raccogliere i Collected Poems di TLB: un po’ come farà Robert Bridges con l’opera di Gerard Manley Hopkins. Naturalmente, i valori sono diversi, ma nelle poesie di TLB assistiamo a quella reiterata eversione linguistica che diventa canone sublime in GMH.

Thomas morì il 26 gennaio del 1849, di notte. Le informazioni in merito alla sua morte sono contraddittorie. Diceva di essere caduto da cavallo e di essersi “rotto la gamba sinistra”. Da lì comincia una sorta di martirio. Non riuscirono a curare la gamba, che gli fu amputata, il 9 settembre del 1848. Nelle lettere, pare che TLB si dimostri allegro: scrive agli amici di non avere bisogno di aiuto, discetta di letteratura, progetta un viaggio in Italia. Dicono che con la barba assomigliasse a Shakespeare, come appare nei rari ritratti. L’operazione si rivelò, per la scienza, un successo; TLB preferì uccidersi, col veleno. I suoi manoscritti, destinati a Kelsall, il solo amico, recano il sigillo di un biglietto: “Tra l’altro, avrei dovuto essere un grande poeta”. Pare la fine, distante e teatrale, ironica, che aveva costruito per sé fin da ragazzo.

***

Alla Notte

Dunque, rieccoti, vecchia notte neroalata
enorme uccello che si frappone tra noi e il sole,
con la tua apertura alare copri il genio della luce;
sotto il sudario del tuo gelido petto, piumaggio
torbido, covi la nebbia persefone, tempeste
in embrione, geloni con le chele che fuggono
la calda carezza del giorno. I gufi arroccati
nell’edera ti rendono omaggio, mentre ti acquatti;
come un cupo corvo che si chiude famelico
su una preda d’ombre, sazi il tuo occhio fosco
aspettando l’ululato dell’ultimo istante,
quando ti librerai dal tuo nido nitido
per balzare sul mondo con artigli d’orgoglio
ad accecare il tempo, la morte, il senso:
ogni cosa sotto il carisma delle tue fauci.

*

La ballata della vita umana

Quando eravamo bambini
ci sdraiavamo sui fiori
ghirlande sulle ore svergognate
con un mazzo dolce e verde.
Ho cercato il più giovane fiore, il più bello
e non ho avuto riposo
prima di riporlo ai tuoi fatati piedi.
Ma i giorni dell’infanzia corrono
tempo che sboccia, limpida frescura tra i rovi
quando eravamo bambini.

Quando eravamo ragazzi
ti ho sottratto un bacio notturno
poco prima di alzarci
seduti, in un canto morbido e dolce.
Pensiero al cuore così caro
condividere ogni cosa con te:
la più larga parte ti cedo.
Palpebre-elitre gonfie di rugiada, il sangue
squilla pensando al tempo stellato della nostra estate,
quando eravamo ragazzi, insieme.

Siamo stati marito e moglie, insieme
e il tuo petto, così audace
nel canto, ora è chiuso, gelido
sotto le radici rotanti dei fiori
e i rostri degli uccelli. Siedo presso
la tua tomba, scavo tra oscurità
con canti di amore fedele e languido dolore.
Il fato e i cupi sogni gentili ci ingannano:
anche quando germogliano le belle speranze,
disperazione e morte imperano: siamo stati
fanciulli e ragazzi, insieme, marito e moglie.

*

La rondine abbandona il nido
l’anima il mio corpo fiacco;
se la pioggia cade
pura e luminosa
sulla mia tomba
perché lamentarsi?
Tutto è destinato a tornare.

Ventate di foglie morte, neve
che corre ovunque;
tutto, un giorno, si spezzerà
sopra l’onda del tempo:
un acquazzone di spettri
terrorizzerà i morti che scapperanno
dalle loro tombe.

*

Mummie e scheletri sbucano dalle pietre,
ogni epoca si foggia la Morte, come una moda;
la morte del gigante dall’omero pietrificato
la morte del neonato per soffocamento.
Piccoli e carnali, ossuti o grassi
bianchi, sferraglianti, fertili, gialli:
tutti ti aspettano, dunque, attacca la giga,
balla e sii felice perché la Morte è un clown.
Re e regine, imperatori e imperatrici
cavalieri, abati, frati gaudenti, eremiti,
vagabondi e mendicanti, si incontrano sul prato;
dov’è la Morte e il suo amante? Vogliamo iniziare.
Nei circoli e nei labirinti, in molti modi,
tra le nuvole, sui camini e nei campi gravidi di grano
balleremo e rideremo sul naso paonazzo del becchino:
ignora che la Morte è una donna allegra.

*

Pensieri

Dolci pensieri tormentano la mente del poeta
come nuvole trafitte da un baleno, attraverso cui qualche
stella appare in luminosa gloria per la gioia del pastore innamorato;
lo trascinano lontano, in un dolce delirio; più dolce
dell’incenso che si spande dal dondolio della catena;
più dolce del velo di nebbia che avvolge la tempesta,
del petto sfregiato della primula, colpita dall’ape.
Roteano i pensieri, danno vita a una storia
dalle fragili ali, tendono i confini
degli oggetti effimeri: membra di ragnatela,
vela che fende il manto del crepuscolo scuro,
nascono dai sussurrii del vento, quando la primavera
si china, le braccia sotto il mento, e ascolta il mondo.

Thomas Lovell Beddoes

Gruppo MAGOG