Thomas Carlyle (1795-1891) andrebbe letto a prescindere: il suo libro assurdo, alla Sterne ma senza quel pacato umorismo protestante, è Sartor Resartus del quale esiste una recente traduzione italiana per Liberilibri (2009). Se poi aggiungiamo del pepe, scopriamo che Borges vi appose una nota, o meglio vi sparse del disinfestante, quando ne uscì l’edizione argentina. Correva l’anno 1945 e ancora non si sapeva benissimo che Carlyle era stato plagiato dai tedeschi dell’ultima guerra: sciagurati fino in fondo.
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Di che parla Carlyle in Sartor? Il libro uscì tra 1833 e 1834 e il pretesto dell’azione narrata è la discussione delle mode, in particolare l’abbigliamento e come questo riveli moltissimo dei corpi che riveste. In realtà si tratta di una deliziosa presa per i fondelli della cultura tedesca che comunque Carlyle conosceva benissimo. Cultura tedesca, in quel giro d’anni, era sinonimo di patriottismo, senso di patria, bello, sublime e via così. Carlyle organizza tutto ciò e lo riplasma in lingua inglese, più agile e sfuggente della tedesca originaria. Classico esempio di ricreazione da una lingua all’altra e, stavo per dire, di passaggio di consegne. Perché la Germania, subite le batoste reazionarie dopo i moti del’48, si arrende allo sviluppo scientifico, industriale, al cannone e al baffo di Bismarck: queste cose Carlyle in parte le accoglierà, in larga misura le rifiuterà. In questo senso l’Inghilterra pragmatica gli fornirà fino alla fine il parterre, il piedistallo per spiegare al pubblico isolano che succede altrove, quali ne sono le scaturigini.
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Per Carlyle sta tutto qui, negli eroi, nelle figure singole che danno la svolte giuste alla storia. Da storico e conferenziere di età vittoriana, ma soprattutto come ribelle e vero scozzese, Carlyle dopo Sartor si lascia andare negli Eroi, elogiando in serie l’eroe come divinità cioè Odino, a seguire l’eroe inteso per profeta (Maometto) e, senti un po’, poeta (Dante e Shakespeare). Infine, Carlyle descrive gli eroi che furono sacerdoti (Lutero e Knox), scrittori (Johnson, Rousseau e Burns) e sovrani (Cromwell e Napoleone). Davanti a un pubblico eterogeneo com’è sempre quello delle conferenze, Carlyle spara certamente qualche broccolo decisamente scorretto sul piano politico. Ad esempio: “Qual è il fine principale dell’uomo, quaggiù? Maometto non prende il bene e il male come fanno un Bentham e un Paley, né calcola i profitti e le perdite e la somma finale di piacere dell’uno e dell’altro; né, fatti tutti i conti a base di addizioni e sottrazioni per ottenere un risultato netto, vi chiede se, in complesso, il bene non superi di gran lunga il male. No, non è che sia meglio fare questo piuttosto che quello – questo sta a quello come la vita sta alla morte, come il cielo sta all’inferno. Se mi chiedeste quale dottrina preferisca tra quella utilitarista degli economisti di Bentham e quella di Maometto, tra calcolare la virtù con profitti e perdite riducendo l’universo creato da Dio a una macchina a vapore bruta mentre la divina anima dell’uomo diventa un bilancino per pesare fieno e cardi, piaceri e dolori – se mi chiedeste quale di queste due dottrine dia l’immagine più meschina e più falsa dell’uomo e del suo destino quaggiù, vi rispondo – non certo quella di Maometto!”
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Carlyle teneva questo ciclo di conferenze sugli eroi nella storia a Londra, nel 1840, viveva a Chelsea che allora non era la zona elegante conosciuta dalla giovane Woolf a spasso nei suoi appunti giovanilistici su Casa Carlyle – il nostro scozzese abitava invece in un sobborgo che era il quartierino dove si rifugiavano teorici, pugnalatori e italiani come Mazzini, ospite proprio nel 1840 a casa Carlyle. Ora immaginate il patatrac, o, detto in gergo colto, l’eterogenesi dei fini.
Insomma, ebbe il demerito di scrivere contro il progresso in senso astratto (in buona compagnia con Leopardi, Dostoevskij, e altri da aggiungere a piacere) compose per soprammercato un volumetto su Federico di Prussia. Disgraziatamente, quel citrullo di Goebbels annotò nei suoi diari che il baffetto-impotente-conduttore-dei-tedeschi teneva nel bunker proprio questo libro di Carlyle. Apriti cielo, quando furono pubblicati per la prima volta i diari di Goebbels dal grande storico inglese Trevelyan si scatenò la caccia al colpevole, all’ideologo. Si andò per le spicce e da dal 1978, dalla pubblicazione dei diari di Goebbels, Carlyle rientra a titolo ingiustificato nelle schiere dei fomentatori di disgrazia e di odio.
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In realtà Trevelyan fu storico ben attrezzato, scrisse storie di MI6 che diedero fastidio in alto loco al punto che ne fu impedita la ristampa (molto brit). E vedeva lontano, scrisse netto che la diceria di Goebbels sul nesso Hitler-Carlyle non stava in piedi.
Del resto spulciando tra le lettere di Trevelyan ne trovo una che fa al caso nostro. Ecco cosa scriveva all’allievo Alasdair Palmer il 14 agosto 1988: “In generale non sono un amante di Wagner. Ma ogni cinque anni faccio lo sforzo di andare con mia moglie Xandra a Bayreuth, riconoscendo che Wagner, come Carlyle e Hugo e altri, era certo un mostro ma soprattutto un uomo di genio – e che l’arte e lo studio non vanno giudicate sulla base del loro autore, né dalle ricadute pratiche che in seguito scaturiscono da questi autori quasi per via paterna (soprattutto per Wagner)”
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A ben vedere, anche Borges calcò la mano scrivendo la premessa all’edizione argentina degli Eroi (1949): “Carlyle giustificò Bismarck, venerò e forse inventò la Razza Germanica e per lui un ebreo torturato è preferibile a un ebreo milionario”. Buona notte, chi s’è visto s’è visto… Borges agita spauracchi dalla pampa di un mondo riverso, per una volta va accettato che ha avuto delle potenti allucinazioni giacché il libro di Carlyle contiene, a leggerlo bene, tutt’altro. L’ultima edizione italiana è di un anno fa.
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A onor del vero, a proposito di tradizione tedesca, va smentita la bufala di Hitler lettore di Carlyle. Se anche il libro su Federico di Prussia fece mai la sua comparsata nel bunker di Berlino, tenete a mente due fatti. Uno, che il libro sia presente in una biblioteca non significa che il proprietario l’abbia letto: avvertimento che vale per i lettori colti come per quelli spuri. Due, i libri veramente letti vengono vivificati e portati in scena da chi è alla loro altezza e nel caso di Federico di Prussia, il vero interprete di Carlyle fu Karl Goerdeler (1884-1945), sindaco di Lipsia e audace direttore del cenacolo di Kreisau dove si cospirò contro la tana del lupo. Prima di venire giustiziato, Goerderler scrisse questa preghiera: “Non sarà forse possibile che col nostro nazionalismo arbitrario abbiamo proprio fatto un affronto a Dio e messo in atto l’idolatria? Sì, in questo caso i fatti che continuano ad accadere avrebbero un significato”.
Il vero significato di Carlyle l’ha capito meglio l’ispirato Goerdeler di tutti gli sciagurati che agitano i fantasmini dei libri da bandire e dismettere, sciocchini tuti rivolti a conservare lo stato presente, senza rimetterci le loro unghie pulitine, mai dediti a scavare nel fango dei testi vecchi come Carlyle.
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Bel lavoro, aver adottato il bilancino economico di Bentham e aver scordato il resto del mondo, mettendo tra parentesi Carlyle, l’Oriente e chi abbia fede diversa dal paradiso in terra dei calvinisti, quello fatto di grazia e denaro – così ci si fodera gli occhi e i libri restano più muti di quanto già non siano.
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È inutile dare dettagli ulteriori sulla vita di Carlyle, come quella vicenda bizzarrissima dove si trovò schierato con Dickens, Tennyson e Ruskin a sostenere la dura repressione degli insorti giamaicani da parte del governo inglese, mentre dall’altra parte della barricata stavano con mazzolin di fiori Darwin, Herbert Spencer e Huxley senior – correva l’anno 1865. Basta tener fermo che la Storia della Rivoluzione francese di Carlyle (1837) diede da pensare e scrivere Dickens ne Il racconto di due città (1859) e a Twain, sempre oscillante nei suoi paradossi democratici.
In seguito, mentre gli omini americani imbrigliavano le cascate del Niagara, Carlyle se ne venne fuori con un libello opportunamente stampato anonimo: Superate le cascate del Niagara – e dopo? Il nostro esordisce con un rutto o una cannonata: “Al posto della democrazia – che per esser completa arriverà a grattare il fondo – e delle religioni – le quali nell’arco di cinquant’anni saranno svaporate davanti alle libertà di coscienza, opinione e progresso – al posto di queste vi sarà il Libero Commercio, in tutti i sensi e in tutte le estensioni: Commercio libero e illimitato che porterà alla rimozione dei limiti di velocità per arrivare tutti un po’ più in basso a comprar solo cianfrusaglie economiche e brutte – e toccherà fare questo percorso sensazionale all’ingiù non solo verso i generi di consumo ma pure riguardo quanto vi è di temporale, spirituale ed eterno, il quale sarà scagliato generosamente all’aria e allargato come le porte dell’universo, così che ognuno incominci ad andarsene, libero e di testa sua, in ogni direzione, sotto il vessillo luminoso del voto universale, compiendo rapidamente il suo tragitto. Se poi qualcuno non sarà in grado di svolgere questo suo compitino, lo si eleggerà per un incarico apposito”.
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Un’altra opera ghiotta di Carlyle è la sua storia strampalata sui Re di Norvegia (1875) che potete ascoltare a questo indirizzo. Ma in definitiva, siccome scrisse una valanga di carta, per afferrarlo è meglio affidarsi alle sue lettere private, messe a disposizione sul sito della Edinburgh University. Qui sotto ve ne traduco una.
Andrea Bianchi
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Thomas Carlyle da Edimburgo (dove faceva finta di studiare) al fratello Alexander, mercoledì notte, 4 dicembre 1882:
Questo nostro pianeta non ha nulla che valga la metà dell’affetto che gli amici portano l’un l’altro – quel genere di sentimento, quelle simpatie vicendevoli, gli incoraggiamenti da cuore a cuore che conferiscono dignità e dolcezza a chi sta tra i più umili, e senza queste sensazioni, anche se riusciamo a durare, non saremmo che splendidi deserti. Ti prego ancora una volta di rallegrarti con me per questa gioia e di impegnarti a raffinarla – accrescere il benessere di chi ci sta a cuore – contraccambiare la sua generosità tentando all’infinito di dare spazio ai suoi migliori interessi in questo mondo e nell’altro. (…)
Il mio unico consiglio riguardo ai tuoi studi è che quando leggi dovresti provare, in aggiunta, un minimo di dolore nel riflettere; e quando scrivi non dovresti rimaner sospettoso verso quel che ti sforzi di esprimere, soprattutto nelle lettere dovresti mettere giù tutti i tuoi pensieri, caldi e vividi come si presentano davanti alla tua fantasia. Così acquisteranno vigore mentre prima tentavano di apparire eleganti: inoltre quando scrivi agli amici non devi sempre risultare interessante, magari devi pure mostrarti stupido; come l’acqua che i contrabbandieri versano di nascosto dentro i loro spiriti – acqua che da sola è insipida e senza molto senso, ma che serve benissimo allo scopo per temprare l’alcol mescolato. Questo non ha senso, sento che mi dici: no di certo – ma su altri terreni sarà pur certo perché è l’illustrazione di una verità. (…)
Non mi sorprende che ora cerchi di imbarcarti sulla rotta del commercio – è tutto circondato da ghiacci allo stato presente, da ogni lato. Tu continua a guardare, comunque, e in qualsiasi luogo noterai lo scintillio di una fessura – gettati lì! (…) Qui vita tranquilla, nessun incidente rompe le solite correnti della nostra storia, nessuno s’immischia con noi, né lo facciamo noi da parte nostra, Jack è qui a studiare i nomi delle ossa e io scrivo robe senza senso tutta la mattina, poi insegno dalle due alle sei, torno a casa e leggo fino alle undici e mezza, e così il giorno è fatto.
L’altro giorno, poi, sono andato con Murray a cercare MacCulloch allo Scotsman, eccolo che sedeva in un angolo come il grande Orso polare, invano rimasticando e tentando di digerire le dottrine di Adam Smith e di Ricardo e sembrava stesse lì solo per vomitarci addosso quelle belle teorie economiche durante le lezioni della prossima primavera, certamente in qualche forma utile per il “libero pensiero” della nostra città. Insomma questo Orso mi guardava con sospetto e malafede, non pareva per nulla incline a parlarci, manco fossimo dei pirati che chiedono il parley prima di esser buttati a mare. Come potessero le dottrine economiche tutte insieme tormentare il nostro Orso, non saprei dire – ma ha mai provato paura di quelle cose? Magari dovrei avventurarmi io a spiare che succede in quelle terre spoglie? Per ora non ci do peso.
Devo finire questo flusso di chiacchiere. Dimmi tutte le nuove, vorrei sapere dei poveri corpi di chi ti sta intorno più che se fossero scudieri dispersi. Le scarpe di Shaw vanno rammendate, lo farò io. E quanto costava l’orologio di Robie? è un segna-tempo modesto ma l’ho tenuto per troppo tempo senza restituirglielo. Vorrei che gli chiedessi qualcosa al riguardo la prima volta che lo vedi. Ora scrivimi appieno di tutti i tuoi piani/progetti/transazioni. Sono per sempre il tuo caro fratello, e il più vero
Thomas
* traduzione di Andrea Bianchi
**In copertina: Thomas Carlyle (1795-1881) nel 1754