Se dovessimo caratterizzare la nostra epoca con un singolo epiteto, non potremmo chiamarla eroica, tantomeno devozionale, filosofica, morale, ma, per lo più, meccanica. Questa è l’era delle macchine, in qualsiasi accezione, esteriore e interiore; l’erà, cioè, che con forza inflessibile avanza e insegna la grande arte di adattare i mezzi ai fini.
Niente viene fatto manualmente, ormai: tutto è prodotto grazie a regole e ad artifici calcolati. Anche l’operazione più semplice è abbreviata da qualche astuto processo.Le antiche modalità di calcolo e di disciplina sono screditate, messe da parte. Ovunque, l’artigiano è obbligato, nella sua bottega, ad accelerare la produzione, che è, in effetti, più rapida, inanimata, infine. La navetta cade dalle dita del tessitore a quelle della macchina di ferro; il marinaio non avvolge più la vela, un servitore più forte e instancabile, a vapore, lo guida sulle acque. Non c’è confine per le macchine. Perfino il cavallo, spogliato della sua imbracatura, è accantonato in favore di un cavallo di fuoco. Per ogni scopo terreno – e per alcuni ultraterreni – abbiamo le macchine e i prodigi della tecnica: per tritare i cavoli, per gettarci in un sogno magnetico. Piallare le montagne, costruire strade lungo gli oceani: nulla ci è precluso. Combattiamo la natura, rude, con i motori: ne usciamo sempre vincitori, carichi di ricchezze.
Quali meravigliosi progressi siano stati compiuti; quanti uomini meglio nutriti e vestiti e alloggiati esistano; che tipo di lavoro si stia producendo, è una riflessione che occorre fare. La ricchezza aumenta, certo ma gli arcani rapporti tra ricchi e poveri si stanno alterando, in modo sinistro: di questo squilibrio, palese, dovranno occuparsi gli economisti. Il genio meccanico, tuttavia, si è diffuso in ben altre provincie. Non solo l’esterno e il fisico sono gestiti dai macchinari, ma anche l’interno, il mondo spirituale. Perfino in queste regioni nulla più segue il corso spontaneo, nulla è lasciato al metodo antico, naturale. Ogni cosa ha il suo strumento concepito con scaltrezza, ha il proprio apparato programmato: non è fatta a mano, ma a macchina. Ormai, le macchine hanno invaso l’istruzione. Quel misterioso scambio di saggezze non è più un processo indefinito, provvisorio, che richiede uno studio delle attitudini individuali, con una variazione dei mezzi e dei metodi per giungere allo stesso fine, ma un’attività certa, universale, da condurre grazie a un meccanismo appropriato, quasi che pure l’intelletto fosse una macchina. Abbiamo inoltre macchinari religiosi di tutte le varietà. La Bible Society è diventata una macchina per convertire i pagani. Qualunque uomo e qualsiasi società hanno una verità da divulgare: l’opera dello spirito non si compie gradualmente, secondo l’individualità propria, ma immediatamente, attraverso un’assemblea pubblica, i comitati, i pranzi in comunità.
Nessun individuo, ora, pensa di poter portare a termina l’impresa più modesta da solo, senza ausilio di macchine, senza un meccanismo. In questi giorni, più enfaticamente che mai, vivere significa unirsi a un partito, o costruirne uno. Filosofia, arte, letteratura, scienza: tutto dipende dal meccanismo. Nessun Newton, meditando, recluso nel silenzio, potrà scoprire la forza di gravità mentre cade una mela; privi di Raffaello e di Mozart abbiamo accademie reali di pittura e di musica, grazie alle quali lo spirito dell’arte, che langue, può rinforzarsi, generosa dieta della cucina pubblica. Anche la letteratura ha il suo meccanismo di mecenati e mercenari, le sue cene, i suoi conclavi, così che i libri non sono solo stampati ma in vasta parte scritti e venduti dalle macchine. Perfino la cultura nazionale si gestisce come una macchina. Nessuna regina Cristina ha necessità, di questi tempi, di convocare il suo Cartesio; nessun Federico ha bisogno di nutrire un Voltaire: al sovrano che venga in mente di ‘illuminare’ il popolo basta imporre una nuova tassa per fondare un istituto filosofico. Da qui, le società reali e imperiali, le biblioteche, le glittoteche, le tecnoteche che si fronteggiano in tutte le capitali, come alveari indecenti, dove le vaghe agenzie della saggezza sciamano e producono miele. Allo stesso modo, quando pensiamo che la religione sia in declino, non resta che pagare qualche milione di mattoni, aggiungere malta, e costruire chiese. In Irlanda pare che esista una società che a un centesimo la settimana prometta preghiere per facilitare l’ascesa in purgatorio! Magnifico! Il genio del meccanismo ci aiuta ovunque e porta tutti i nostri pesi sulla sua schiena di ferro.
Queste cose, che qui affermiamo con arguta leggerezza, sono di profonda importanza e implicano un cambiamento radicale nel nostro modo di vivere. Gli uomini sono ormai meccanici nella testa e nel cuore, oltre che nelle mani. Hanno perso la fiducia nello sforzo individuale, nella forza della natura. Non per istinto interiore, ma per combinazioni e disposizioni esterne, soggiogati dalle istituzioni e dalle costituzioni, sperano e lottano. Tutti i loro sforzi, le loro opinioni, i loro desideri, sono di carattere meccanico e dipendono da un meccanismo.
In nessun altro ambito è visibile la fede profonda e pressoché esclusiva verso la macchina che in quello politico. Il governo ha incorporato il linguaggio della macchina: è, in effetti, la “macchina della società”, e il suo funzionamento è rodato alla pari di una macchina. Fin da subito, dobbiamo notare il potente interesse per i meri accordi politici come un segno palese dell’era meccanica. Per entrambe le parti, la politica è una macchina enfatica: per l’opposizione è una macchina che tesse intrighi, per i governatori è una macchina “che protegge la società”. Così, la salvezza dell’uomo come essere sociale è data dalla perpetua preservazione della macchina, che occorre lubrificare e aggiornare. Elaborate un corretto macchinario della legge e senza troppi sforzi, mentre scema il divino spirito dell’individuo, sotto le sue ali ogni influenza nociva appassirà. Siamo così devoti alla macchina che un nuovo mestiere è nato intorno ad essa: la “codificazione”. Tutto deve essere conteggiato, misurato, brevettato; eppure, l’uomo resta incommensurabile.
Thomas Carlyle
*“L’uomo non è la creatura e il prodotto del meccanismo, ma il suo creatore e produttore”, scrive Thomas Carlyle in “Signs of the Times”, di cui si riproducono alcuni brani. Il testo, edito sulla “Edinburgh Review” nel 1829, è il primo esito di un percorso di profonda crisi, in reazione ai tempi moderni. Seguiranno “Sartor Resartus”, “The French Revolution”, “On Heroes”. Tra i grandi pensatori non conformi, Carlyle muore nel 1881. I suoi libri, un tempo editi da Utet, Tea, Sansoni, ora sono introvabili o pubblicati da piccoli editori di talento (Oaks, Edifir, Liberilibri).