Curiosamente, e nonostante la complessità filosofica della sua opera, è proprio a scuola che la poesia di Ted Hughes trova il suo pubblico più fedele. La mia personale esperienza con Hughes, da noioso e annoiato liceale, è in realtà condivisa da molti ragazzi di quell’età: il fatto che le sue poesie siano il primo momento di reale interesse nel programma di letteratura inglese, il fatto che fossero lette e descritte da professori che a stento trattenevano l’entusiasmo e quasi non vedevano l’ora di condividerlo. Poesie come Wind, The Bull Moses, The Horses e ovviamente Hawk Roosting non sono solo legate all’immaginazione di un’intera generazione, ma per alcuni, me incluso, sono state come la Stele di Rosetta con cui improvvisamente poter tradurre, capire ed esperire il mondo circostante. Si tratta di una virtù che Hughes condivide solo con l’élite della poesia; riesce a muoversi nell’intersezione fra chiarezza e complessità: è come acqua limpida e quieta, nella quale si riesce a vedere il fondale più profondo. Nessuno potrebbe mai accusare Hughes di semplicità o superficialità, tuttavia le sue poesie hanno un’immediatezza tanto seducente quanto autentica per gli studenti di ogni età. Inghiottono i lettori come buchi neri i cui orizzonti degli eventi sono istantanei, ma le cui intensità sono infinite e impossibili da respingere. La catalogazione che fa del regno animale, come fosse Noè, è ancora più invitante per i giovani lettori. Hughes era un convinto pedagogista: il suo libro Poetry in the Making, preso direttamente dai programmi realizzati per la BBC School Radio, è valido per ogni poeta, futuro o affermato che sia, mentre i libri per l’infanzia sono parte considerevole della sua produzione letteraria. Data la mia attenzione per il lavoro di Hughes, ritengo impossibile vedere questo fatto come casuale o guidato dal sentimento, anziché come atto premeditato ed espressione dell’ambizione di voler accedere al mondo dell’intuizione, dell’innocenza e delle possibilità.
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Il suo profondo interesse per la storia e la preistoria, i ragionamenti sulla struttura monarchica dell’immaginazione umana, il rapporto con la natura, la fissazione quasi morbosa con la Prima Guerra Mondiale e le osservazioni sul corteggiamento sessuale praticato dai poeti durante il loro lavoro, sono solo alcuni dei fili intessuti e aggrovigliati da Hughes, e che vanno estratti con cura e metodo. Tuttavia, un tema degno d’essere esplorato più a fondo è la fascinazione provata da Hughes verso il soprannaturale e il paranormale. Fin da giovane, Hughes dimostrava un interesse verso l’ultraterreno fuori dal comune. Un interesse che approfondì attraverso il percorso universitario e molte letture. Chiunque abbia passato un po’ di tempo con lui se ne sarà sicuramente accorto: le conversazioni erano piene di stranezze e meraviglie, dai poltergeist ai folletti, dalla stregoneria alle tavole ouija, dall’astrologia alle apparizioni, dalla radiestesia alla divinazione e così via. Sarebbe facile derubricare tutto con un “Sim Sala Bim” completamente inutile e che non porta a niente se non ad accumulare spunti letterari e aumentare l’aura attorno al poeta come fosse uno sciamano contemporaneo. Ma Hughes non era uno che inseguiva degli interessi in modo casuale e senza uno scopo, infatti viveva la sua curiosità verso l’occulto come parte essenziale del suo compito. Hughes si riconosce nell’antico ruolo del poeta: va oltre al potenziale metafisico della poesia, per raggiungere una scrittura in grado di curare e trasformare, di cambiare le percezioni e alterare le cose.Vedeva oltre al potere comunicativo e puntava invece a un tipo di “contatto”, o di comprensione sensoriale, in cui i versi e il lettore prendevano possesso l’uno dell’altro attraverso la poesia vista come un medium, oppure il poeta poteva essere un medium.
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Riteneva che il linguaggio fosse l’energia meno compresa dell’universo e la metteva al pari di quella elettrica, gravitazionale, atomica e magnetica, come una forza da manipolare e controllare. Il poeta come sciamano era un concetto che Hughes prendeva molto seriamente e molte delle sue poesie sono voli di fantasia esoterici nel mondo degli spiriti, escursioni nell’aldilà, dove forse è riuscito a vivere la natura del suo stesso soggetto, animale, vegetale o minerale, fosse un giaguaro, un bucaneve o un precipizio roccioso. Hughes aveva una chiara visione dei suoi compiti e fra questi c’era il dover convincere i suoi lettori. Era perfettamente conscio della potenza e dell’autorevolezza che esercitava, anche attraverso la propria personalità, e ne faceva buon uso. Faceva tutto parte del suo lavoro. La gente doveva credergli. La magia, oggi, può essere associata ad un prestigiatore che tira fuori un coniglio dal cilindro o una carta dal polsino, ma la magia di Hughes era la sua scrittura. Disseminava le pagine bianche di piccoli segni neri, che in qualche modo circostanziavano il contenuto e la forma di un volatile o di un’anguilla o di un puledro o di un lupo o di un orso. Successivamente e in luoghi distanti, quando vediamo quei segni neri, quando leggiamo le poesie, quelle creature prendono vita. Così, dal niente. Esiste un prestigiatore con un numero migliore di questo nel suo repertorio?
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Per me, Hughes era “l’uomo che veniva da dietro la collina”, accanto alle valli dello Yorkshire, e le sue poesie mi facevano venire voglia di leggere. Poi, la nostalgia di casa mi ha riportato alla sua opera e a quel punto mi fece venir voglia di scrivere. Credo di condividere con lui la nostalgia per la stessa parte del mondo, anche se quell’angolo di terra rappresenta qualcosa di diverso per noi.
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La prima volta in cui l’ho visto ero in gita con la scuola a Hebden Bridge: leggeva le sue poesie in un vecchio cinema, seduto su una sedia scricchiolante di fronte ad un consunto sipario di velluto. Nei vent’anni successivi l’ho rivisto un’altra dozzina di volte, sempre in circostanze oscure e in compagnie peculiari. Condividevamo alcuni interessi, ma i nostri incontri erano sempre sbilanciati, perché lui stesso era uno dei miei interessi. L’ultima volta, ero seduto e lo ascoltavo mentre registrava la sua ultima lettura: delle poesie da Tales from Ovid registrate direttamente a casa sua e trasmesse su BBC Radio 4. Da narratore quale era, Hughes abbassò il capo sul microfono e raccontò la storia, dall’inizio alla fine, senza vacillare. Quelle cassette sono oggi disponibili su cd, ma tutta la pubblicità e la confezione le hanno rese per me come una rara copia di contrabbando. Se si ascoltano con attenzione, non solo si sente la voce di Hughes spettrale e intima come non mai, ma anche i suoni del Devon tutt’attorno a lui. Ad un certo punto si può udire un trattore. Poi, le campane di una chiesa. Infine, un corvo che gracchia e, nemmeno a farlo apposta, il suo lamento entra da una cuffia ed esce dall’altra. Si tratta di una potente testimonianza dell’opera di un poeta la cui grande impresa è stata quella di portare nel nostro mondo i meccanismi più profondi del cervello umano e allo stesso tempo disegnare quel mondo all’interno della mente.
Simon Armitage
*Simon Armitage è tra i grandi poeti inglesi di oggi: dal 2019 è Poet Laureate, onore ricevuto, tra 1984 e 1998, dal suo maestro, Ted Hughes. Questo invito alla lettura è stato pubblicato originariamente qui. La traduzione è di Giacomo Zamagni