“Il mondo non ha bisogno di un altro dio”. L’ultimo romanzo di Abraham B. Yehoshua
Libri
Linda Terziroli
La storia siamo noi. Di certo, siamo come raccontiamo la storia. Secondo Erodoto, l’incessante viaggiatore, leggenda e “dati di fatto” sono entrambi eventi storici. Le vicende riesumate in un papiro trovato ad Alessandria o ad Antiochia, le parole raccolte dalla bocca bavosa di un conciatore di pelli, i detti sghembi di un astrologo o l’elmo scoperto in Scizia, istoriato con strane lettere, hanno la stessa dignità. Tucidide, al contrario, ci insegna che solo ciò che è sottoposto a testimonianza diretta coincide con la verità delle cose. Solo il mio sguardo (ciò che ho visto e toccato e certificato) è storico: il resto è vaga possibilità, ineffabile menzogna. Eppure, Tucidide, il padre della storiografia moderna, resta un narratore memorabile, degna fonte narrativa di un Manzoni e di un Tolstoj. La storia, in effetti, esiste grazie ai narratori più che per merito degli archeologi del tempo perduto, dei recensori dei cocci. Non basta tradurre una iscrizione millenaria: affinché viva, oggi, per me, occorre saperla raccontare.
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Secondo Lucano la storia è un poema che gronda profezie gravi di sangue, per Tacito lo storico sa varcare le auree stanze del potere, scombinandole, scorticando i potenti, distillandone il niente. La disciplina storica diventa, alla latina, affronto politico. Negli stessi secoli in cui a Bisanzio lo storico si scopre voyeur, più interessato alle perversioni degli imperatori e alle loro alcove che ai moti delle masse – geniale, in questa ambizione nel vizio, l’opera di Michele Psello – a Bagdad il teologo Abu Giafar Mohammed-ben-Garir-ben-Yezid Tabari (839-923) scrive il capolavoro della storiografia islamica, l’immenso libro de I profeti e i re, qualcosa che, per sottigliezza analitica e vertigine di orizzonte, tende all’infinito. “Non voleva raccontare soltanto la storia dei suoi tempi, o di un’epoca limitata, ma tutta la storia del mondo, cominciando dalla creazione fino alle guerre che ai suoi tempi insanguinavano il mondo arabo. E non voleva narrare nemmeno una versione di ogni fatto, ma tutte le versioni che gli uomini raccontano di ogni evento, così che il suo libro diventasse quell’intreccio di realtà e di eventualità, di possibilità e di impossibilità, o di possibilità opposte, che forma l’universo”, scrive Pietro Citati spiegando il fine, divino, percorso da Tabari.
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Nei gangli della storia, Tabari cercava Dio. Il suo compito, probabilmente, era quello di annientare la storia – affinché non restasse altro che Dio. E Dio, alla fine dei tempi, leggendo la storia compilata da Tabari, la rifilasse, permettendo all’uomo, di volta in volta, diverse scelte, alternative vie di salvezza. Un libro che contenga l’intera storia umana: l’impresa, patetica e pazzesca, suggerisce un racconto di Jorge Luis Borges. “Confesso di aver sempre collegato la gigantesca figura di Tabari a un personaggio scaturito dalla fantasia di Borges”, scrive Sergio Noja introducendo la sua versione, luminosa, de I profeti e i re, per Guanda, nel 1993. Di questo libro in cui l’acribia dello storico si fonde con quella del narratore del deserto, dove tra Tucidide e Sherazade non c’è differenza, colpisce la vicenda biblica di Gesù. Leggendola, scopriamo in controluce la mole di testi consultati da Tabari: quanti vangeli del folto Oriente ci sono preclusi per sempre?
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Il punto di vista islamico riguardo alla corcefissione è indiscusso: “Non Gesù è stato crocefisso, ma qualcuno che gli somigliava. E Dio ha innalzato Gesù al cielo prima che fosse messo sulla croce”. Le divisioni tra i cristiani – di cui è squadernata con precisione la mappa del dilagare, dall’Iraq a Roma – sono generate dall’opera di Iblis, il diabolos, Satana: è stato lui a confondere le menti dei fedeli con astute sottigliezze teologiche, perciò “tutti i cristiani sulla questione di Gesù sono diventati miscredenti. Non conoscono né Dio né Gesù”.
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Al di là delle dispute, colpisce la frase di Gesù riguardo al suicidio di Giuda, il traditore: “Non avrebbe dovuto uccidersi. Non c’è peccato al quale il perdono di Dio non ponga rimedio”. Il Dio che si rivela nel roveto del Sinai, in una culla a Betlemme e nella mano di Maometto esercita il proprio potere attraverso il perdono, è lì dove chi sbaglia si ammazza, erge il dolore, deterge le colpe. Pervaso dall’uomo, Dio lo perdona. Spadroneggia nel promuovere il bene.
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Consola e conturba la prospettiva storica di Tabari, quando le labbra di un uomo potevano raccontare l’umanità fino a infilare la catena umana nella bocca di Dio. Adesso la disciplina storica, che non ha dèi da cantare né discipline morali da incidere, è disgraziata. Prendete, chessò, la reggenza di Trump o quella di Putin o quella della Merkel. Siamo zittiti dalle testimonianze. Video, giornali, registrazioni. Atti pubblici e sms privati. Troppa verità rende tutto fasullo, cariato. Zuppi di fatti, non sappiamo più cosa raccontare. Privi di storia, siamo niente. (d.b.)
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Ascensione di Gesù al cielo
I Giudei decisero di ucciderlo. Si legarono col re di Gerusalemme, Erode il giovane, seguace della religione dei Greci. Gli dissero: “Gesù è un mago che seduce il popolo”. Erode ordinò che lo uccidessero. Allora cercarono di catturare Gesù, ma lui si nascose. Non lo trovarono in nessuna casa. Una notte era in una casa con i suoi discepoli e disse loro: “Questa notte pregate per me”. Ma quelli caddero in un sonno pesante. Gesù disse loro: “Mi avete consegnato ai miei nemici. Mi rinnegherete. E mi tradirete”. Il giorno successivo uno dei discepoli, chiamato Simeone, uscì. I Giudei lo presero e dissero: “È un compagno di Gesù. Dicci dov’è Gesù!” Simeone rispose: “Ho abbandonato Gesù, non sono fra i suoi amici”. Rinnegò, dunque, e divenne miscredente. I Giudei presero anche un altro discepolo che era uscito, e gli dissero: “Dicci dov’è Gesù o ti metteremo a morte”. Il discepolo rispose: “Se mi darete una ricompensa vi dirò dov’è”. Acconsentirono. Quel discepolo vendette Gesù per trenta dirham. Guidò i Giudei alla casa dov’era Gesù. Presero il profeta e lo legarono dalla testa ai piedi. I discepoli fuggirono.
I Giudei dissero a Gesù: “Tu hai esercitato la magia dinanzi agli uomini, e hai detto che resusciti i morti. Perché ora non ti liberi dalle mani degli uomini?” Lo trascinarono in un luogo dove avevano preparato una croce per crocifiggerlo. Un gran numero di Giudei lo attorniò. Avevano un capo chiamato Isou‘a, Giosuè. Anch’egli era fra loro. Decisero di attaccare Gesù alla croce, ma Dio lo sottrasse ai loro sguardi e diede la forma e l’aspetto di Gesù a Giosuè, il loro capo. Quando Gesù sparì stupirono e dissero: “Usa la magia, grazie ad essa si è sottratto ai nostri sguardi; aspettate un po’, ben presto l’effetto della magia passerà, ed egli riapparirà, perché la magia non ha durata”. Guardarono, videro Giosuè ormai del tutto simile a Gesù, e lo afferrarono. Disse: “Sono Giosuè”. Risposero: “Tu menti, tu sei Gesù, ti sei sottratto ai nostri sguardi con la magia; ora la magia è passata e sei diventato visibile”. Invano protestò di essere Giosuè. Lo uccisero e lo attaccarono alla croce. Quanto a Gesù, Dio lo innalzò al cielo, com’è detto: «Né lo uccisero né lo crocifissero, bensì qualcuno fu reso ai loro occhi simile a Lui (…), ma Iddio lo innalzò a sé» (IV, 157-158).
Giosuè rimase sulla croce per sette giorni. Ogni notte Maria, la madre di Gesù, andò e pianse ai piedi della croce, fino al mattino. L’ottavo giorno Dio fece discendere Gesù dal cielo, ché andasse da Maria. Quella notte Maria lo vide, seppe che non era morto, e provò consolazione nel cuore.
Tabari
*La porzione del testo qui riprodotta è pubblicata come: Tabari, “La storia di Gesù” (Raffaelli, 2015); il testo ripropone la traduzione dello scrittore Sergio Atzeni, già raccolta in: Tabari, “I profeti e i re” (Guanda, 1993)
**In copertina: una illustrazione dall'”Ascensione di Maometto”, 1540 ca.