12 Giugno 2018

Sulle ferite, solo la caustica testimonianza del sale: la poesia di Nicole de Guttry

I

La chiamerò
Bianca;
come sale
e
pelle malata.
Dolore
spensierata rassegnazione,
Bianca;
il freddo, il sogno
e
la morte – luce –

 

II

Non avere paura;
prendere la vita – per i fianchi –
affondare i denti come rasoi
strappare il dolore dalle carni.

Fissare le ossa per trovare
un passato, qualsiasi.
Scritte di saliva sulle spalle;
troppo tardi – dormi adesso.

 

III
Entra ed esce.
 

Complice della goduria,
l’attrito.

Come un ossobuco,
crudo.

 

IV

Qui senza te,
assopita la lingua
col ventre
scucito,
viaggi contromano;
bevo ancora caffè.

*

Commento di Antonio Veneziani

 
Entra ed esce.
 

Complice della goduria,
l’attrito.
 

Come un ossobuco,
crudo.

Basterebbe questa breve poesia, cinque versi, a far tabula rasa di ogni speculazione passata presente futura sull’Eros. Una andata e un ritorno. Meglio: una entrata e un’uscita.

La visione di de Guttry è devastante nella sua chiarezza di immagine: dal materialismo di La Mettrie al sad mechanic excercise Alfred Tennyson. E in mezzo ai due poli, come una interferenza, l’allucinazione paurosa del Duemila – che prende corpo in un linguaggio scarno, ridotto all’essenziale.

Come, appunto, il bianco dell’ossobuco.

La strada lirica della giovane autrice è già segnata. Parte da qui. In gloria.

*

Commento di Gabriele Galloni

I corpi, in questa scelta di liriche, si definiscono attraverso cavità strette (“Come un ossobuco”). Provano la propria esistenza solo passando sotto i segni ferini delle fauci emotive. A curare le ferite non saliva, ma la caustica testimonianza del sale. I liquidi saranno per altro: termineranno il martirio come inchiostro indelebile sull’epidermide (“Scritte di saliva sulle spalle;/ troppo tardi – dormi adesso”). Il verso è breve; a volte poco più di uno scatto, un tic verbale a raccontare, come oggi poche altre voci, il martirio della carne e la redenzione lontana della gioventù.

Gruppo MAGOG