09 Giugno 2023

Napoleone non esiste. Contro il negazionismo e il moralismo storico

Nel corso del XIX secolo vennero scritti ben tre distinti pamphlet il cui asse portante era costituito dalla strampalata tesi per cui Napoleone in realtà non sarebbe mai esistito e tutta la parabola di ascesa e caduta dell’Imperatore sarebbe stata una frode storiografica ingegnosamente perpetrata. Tesi che oggi (e anche allora!) ha dell’incredibile, e che pure riuscì a trovare qualche sparuto sostenitore. 

Jean Baptiste Pérès, Richard Whateley e Aristarchus Newlight (nom de plume del Vescovo di Dublino William Fitzgerald) composero tre distinti libelli, più volte ristampati e tradotti in svariate lingue, alcuni anche in italiano, per avvalorare la loro tesi, talora con spirito volutamente provocatorio e paradossale, talora invece, come nel caso del Pérès, con genuina convinzione e dovizia di improbabili analogismi insistenti sul parallelo tra il mito solare di Apollo e Napoleone, il Néapolion, il nuovo Apollo.

Ripercorrere le bizzarre analogie di Pérès e dei suoi epigoni resta un esempio di come nella storia la ricerca delle analogie esteriori, di natura fattuale come di natura linguistica, serva talvolta a piegare la narrazione storica a delle tesi preconfezionate e a priori, laddove nella storiografia l’a priori non esiste e ad avere valore è unicamente l’a posteriori. 

Il negazionismo nei confronti di Napoleone e della sua esistenza storica è solo l’antenato macroscopico dei negazionismi di varia natura del nostro tempo, spesso molto più sottili e capziosamente argomentati ma quasi sempre accomunati dal fil rouge di una tesi politica e ideologica del tutto aprioristica cui i fatti devono accomodarsi e dall’arbitraria estrapolazione di singoli elementi veritieri da un tessuto unitario, elementi che però, nella logica combinatoria dei moderni sofisti, finiscono poi col perdere di vista totalmente l’orizzonte generale e per falsificare la storia invece di chiarirla. Già Vico ammoniva che “il falso consiste nella sconcia combinazione delle idee”. 

Un singolo fatto vero, un singolo dettaglio vero perdono della loro forza di verità se sradicati dal loro contesto complessivo e trasportati in un altro contesto, simile ad un letto di Procuste in cui si vogliono innaturalmente adagiare delle teorie più ampie e cariche di valore.

Un altro curioso e ancor più insidioso sofisma che si sente oggi ripetere ossessivamente è che tutto ciò che sappiamo è falso, che la storia come ci è stata narrata è sempre e solo il frutto di un’abile mistificazione ordita da poteri politici superiori e spesso insondabili. La storia sarebbe tutta e integralmente falsa in quanto è stata scritta dai vincitori. A prendere per buono un simile criterio tutti gli storici, da Erodoto e Tucidide in poi, sarebbero corrotti e rispecchierebbero solamente gli interessi e le verità di comodo dei vincitori.

Se ogni storico ha il dovere di essere revisionista e di ricontrollare le fonti e le testimonianze offerteci dalla tradizione, questo dei moderni sofisti per cui tutto è falso non è a rigore un’opera di revisione storica, ma un capovolgimento da equilibristi, un gioco funambolico per dimostrare che il bianco in realtà è nero. Il peggio non è costituito dai negazionisti nudi e crudi, che sono più facilmente confutabili e smentibili (i sostenitori dell’ inesistenza delle camere a gas!), ma dai negazionisti che si camuffano da revisionisti, dai pappagalli che somministrano ai loro incauti lettori la cicuta di una storia non solo ‘falsificabile’, come le proposizioni scientifiche, ma irrimediabilmente falsa e ‘relativa’, in una forma di relativismo ancor più insidioso di quelli di natura estetica e latamente culturale che ci siamo sforzati di descrivere in alcuni articoli precedenti. 

La verità storica è del proprio tempo in quanto noi leggiamo e filtriamo il passato attraverso gli occhi del presente ed un interesse che non può non essere squisitamente contemporaneo ma, al contempo, la verità è anche di ogni tempo e in quanto tale è antirelativista per eccellenza. Essa è, con le parole immortali di Tucidide, uno ktema es aiei, un acquisto per sempre, e se potrà mutare l’asse interpretativo sulla figura di Napoleone come su qualsiasi altro personaggio od evento della storia antica o moderna non potrà mai mutare il nucleo profondo di verità fattuale che è sotteso alle varie ermeneutiche storiche. 

Le verità del proprio tempo mutano, ma ruotano in orbita attorno a una Verità più profonda e immodificabile.

Nell’antica parabola indiana ripresa da Scheler in funzione antirelativista, alcuni saggi ciechi sono chiamati a dare una descrizione di un elefante che si staglia dinanzi a loro. Le descrizioni dei ciechi sono ovviamente tutte differenti tra loro, non potendo esperire l’elefante col senso della vista, ma l’elefante è unico e la difformità delle testimonianze non inficia la sua esistenza oggettiva.

La storiografia dovrebbe servire a liberarci dalla storia, non ad addossare sulla nostra schiena il fardello sempre più gravoso di un passato che non vuole passare e che è costantemente sfruttato per meschini scopi ideologico-politici, per gretti interessi di natura pratica del tempo presente. La storia vera non piange e non sorride, nel suo volto di Sfinge impassibile si limita a guardare e vivisezionare le vicende umane da un piano superiore, al di sopra della mischia, ed è tale in quanto è sempre ‘giustificatrice’ (nel senso non morale, ma della prospettiva storica), mai ‘giustiziera’ e proprio in questo si individua il discrimine fra lo storico onesto, che analizza in tal senso ‘giustificando’ e lo storico disonesto (in realtà un politico sotto mentite spoglie), che invece vuole sempre fare giustizia, servo del suo spirito giustiziero e giacobino nel senso deteriore a un moralismo del tutto antistorico. 

Molti studiosi illustri, da Piero Calamandrei a Carlo Ginzburg hanno insistito (seppur con declinazioni molto diverse fra loro) sull’analogia fra l’indagine processuale e l’indagine storica, fra l’ufficio dello storico e quello del giudice chiamato appunto a giudicare in merito alle diverse testimonianze probatorie. La storiografia non è né potrà mai essere scienza esatta e nemmeno il più ingenuo dei positivisti oggi si sognerebbe di instaurare un parallelo convinto tra il metodo delle indagini naturalistiche e il metodo delle indagini storiografiche. L’esclusione della storiografia dal novero delle scienze esatte non significa che ad essa sfugga la verità, ma semplicemente che il suo oggetto è una verità di altro tipo, sempre rivedibile e reinterpretabile a seconda delle lenti e dei prismi del proprio tempo ma costituita comunque da un nucleo inscalfibile e inscindibile, un atomo di certezza storica che non consente alcuna fissione. 

Ne consegue che non è tutto falso, come asserito dai più o meno abili prestigiatori del nostro tempo, ma che tutto è rivedibile, concetto che è esattamente antitetico al sofisma dell’identificazione del racconto storico tramandatoci dalla nostra tradizione culturale con una congiura tesa a obnubilare la nostra percezione del vero. La storia, insomma, è oggettiva e soggettiva nello stesso tempo e la sua certezza corrisponde non a quella del dato di fatto epistemologico, ma alla coscienza del certo; essa è affidata al ricordo e all’ autorità, non all’ analisi e alla dimostrazione di natura matematica. 

Se la filosofia è la cornice metodologica della ricerca storica essa è appunto un metodo, non applicabile con scientificità assoluta, invischiato in tutti i limiti cui sono soggetti gli strumenti di ricerca umani. La filosofia e la storia sono saldamente interconnesse ma non si fondono integralmente l’una nell’altra. Nate per soddisfare le più alte esigenze teoretiche dello spirito umano, dovrebbero rendere possibile, nel mondo ideale, una vita guidata da norme razionali pure, cosa purtroppo impossibile perché anche le idealità più elevate si trovano poi a dover confliggere con la natura ineliminabile dell’umano. 

Per parafrasare il detto di Hegel, la storia è una maestra di vita che non ha avuto allievi, e qualcosa di simile si può dire anche della storiografia, obbligata a vagliare sempre e in forma ricorrente le testimonianze su cui fonda il proprio terreno. Scrive Croce in una paginetta dell’Estetica:

“La convinzione dello storico è la convinzione indimostrabile del giurato che ha ascoltato i testimoni, seguito attentamente il processo, e pregato il cielo di ispirarlo. Sbaglia, senza dubbio, alle volte; ma gli sbagli rappresentano una trascurabile minoranza di fronte ai casi in cui si coglie il vero. E perciò il buon senso ha ragione contro gl’intellettualisti nel credere alla storia, la quale non è già ‘favola convenuta’, ma ciò che l’individuo e l’umanità ricordano del loro passato. Solo per paradosso si può dubitare che siano mai esistite una Grecia e una Roma, un Alessandro e un Cesare, che il 1° novembre 1517 Lutero affisse le sue tesi alla chiesa di Wittemberg o che il 14 luglio 1789 fu presa la Bastiglia. Che ragione rendi tu di tutto questo? domanda il sofista. L’umanità risponde: ‘Io ricordo’”.

L’autorità del ricordo e la persistenza della memoria storica rendono giustizia delle mistificazioni più flagranti (si vedano i famigerati “Protocolli dei Savi di Sion”) o dei negazionismi più assurdi, da quello ricordato in principio che rimosse Napoleone dal palcoscenico della storia sino a quelli moderni che vorrebbero elidere il genocidio degli Armeni o la Shoah, le fosse di Katyn o gli eccidi staliniani, negazionismi che si squalificano da sé ma la cui critica va lasciata agli storici, non alle aule dei tribunali. 

Processare penalmente un negazionista equivale a fargli un’inopportuna pubblicità e a ricadere nel Maesltrom della censura quando è necessaria invece la libera circolazione delle idee, anche delle idee più distorte e perniciose, in quanto la loro soppressione con mezzi legali sortisce in realtà l’effetto opposto. La verità storica non è normabile legalmente, con buona pace dei giustizialisti della storia. 

Di altra natura e comunque tendenziosi e falsificatori sono anche i ‘Libri Neri’ che tanta fortuna hanno avuto negli ultimi decenni, dal LIbro Nero del Comunismo a quello degli Stati Uniti, dal Libro Nero del Capitalismo a quello dell’Islam. Non assistiamo qui a falsificazioni intenzionali o a negazionismi colossali, i dati storici riportati sono invece nella maggioranza dei casi sostanzialmente corretti. L’errore pernicioso di queste operazioni di natura in realtà profondamente antistorica è di sostituire appunto l’acredine moralista alla valutazione imparziale, la tesi a priori alla spassionata disamina dei fatti, e di accomunare in un unico giudizio di condanna di volta in volta i fenomeni storici, le religioni, le ideologie, i sistemi economici senza tenere conto che si tratta di realtà di immane complessità, in cui il bene e il male si intrecciano talvolta in grovigli inestricabili.

E di bene e male lo storico non può e non deve parlare.

La società e la storia americana o la società e la storia della Russia sovietica, ad esempio, sono sistemi con contraddizioni profonde e con elementi sia positivi che negativi talmente variegati e legati tra loro che nessuna analisi storica degna di questo nome potrà mai unire in una condanna indiscriminata. L’auspicio è che si esca una buona volta dalle pastoie del moralismo storico e che il giudizio storico riacquisti la propria ‘moralità’ proprio nell’innalzarsi sopra ogni morale convenuta. Solo in quanto tale esso sarà veramente, per tornare alle suddette parole di Tucidide, un acquisto per sempre. 

Alessio Magaddino

Gruppo MAGOG