Azzurro, così appare il Garda in quella prima estate italiana del 1951: Stephen Spender, la moglie Natasha e i figli Lizzie e Matthew trascorrono l’estate a Torri del Benaco, all’albergo Gardesana in centro al paese – lo stesso frequentato da Gide.
In un libro agile e lieve come la sua conversazione, Within Tuscany, In Toscana, Matthew esordirà ricordando la vita a Torri con gli occhi del ragazzo di allora, un ragazzo che già avverte quella felicità, con i giorni pieni d’azzurro e la luce del Garda, destinata nostalgicamente e comunque a finire, anche come simbolo.
Sua sorella Lizzie è ancora piccola ma lui ha per sé «tutto il mondo all’aperto» e dalla mattina alla sera gironzola per Torri con una banda di ragazzini in cerca di avventure: «Quell’estate non c’era differenza fra quello che mi succedeva, quello che immaginavo e quello che sentivo raccontare». Memorie e affreschi della quotidianità sul lago risentono indirettamente dell’amore di Matthew per la pittura e la scultura, la seconda in effetti sua professione, e leggendo le pagine di Within Tuscany si ha spesso l’impressione di guardare dipinti di scuola Toscana: perché è là che vivono lui e Maro Gorky, sua moglie, figlia di Arshile e anche lei pittrice.
En passant, Bertolucci ha inserito decine delle opere di Matthew Spender nel set di Io ballo da sola, film in parte ispirato alla sua cerchia di amici artisti, inglesi residenti in Toscana. Una tradizione di secoli ormai, questa linea immaginaria che lega l’isola britannica alla dolcezza del paesaggio toscano: da Chaucer agli Shelley e ai Browning, da Byron a Foster e a Lawrence, fino agli americani Ezra Pound e Henry James, tanto per nominarne alcuni. È il Chiantishire, appunto.
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Ho incontrato Matthew Spender per una giornata dedicata al padre Stephen, qualche anno fa: è entrato nella sala conferenze della Società Letteraria a Verona con passo deciso, la stessa altezza, le lunghe gambe e la stessa zazzera candida che Stephen aveva nella maturità, come scrive Brodskij: «con i capelli bianchi come neve, gli occhi grigio-azzurri scintillanti, il sorriso di scusa che presiede al suo metro e ottanta leggermente ricurvo, sembra (…) l’allegoria di un inverno benevolo in visita alle altre stagioni» (In Memory of Stephen Spender, On Grief and Reason).
L’accompagnava Giuseppe Lorenzini, proprietario dell’albergo “Gardesana”, dove gli Spender soggiornavano. In quell’occasione abbiamo parlato di poesia, della Toscana e di una rivista che ricordavo, con foto della sua casa sulle colline italiane. Credo sia stata l’ultima volta che Matthew Spender è venuto a Verona. All’invito di tornarci, rispondeva con humour in una mail di due anni fa: “È da qualche anno che non mi sono mosso verso il nord d’Italia. Al massimo, arrivo ogni tanto a Milano per vedere dottori o avvocati, due categorie di professionisti che si accumulano man mano che s’invecchia”. Il ritratto degli Spender sul Garda è uscito nel volume Poeti, Sognatori viaggiatori, e Matthew l’ha ricevuto per posta.
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Sul loro soggiorno a Torri – quell’estate e la seguente – lui parla anche nella biografia del padre A House in St. John’s Wood, In Search of My Parents, commosso ricordo di entrambi i genitori.
Torri evidentemente piaceva a Spender: da giovane l’aveva frequentato varie volte, da solo o con amici, e in quell’estate del 1951 ci porta la famiglia. Il loro arrivo crea da subito un qualche scompiglio perché la madre Natasha, brillante pianista, ha portato con sé il proprio strumento, che sarà faticosamente issato al Gardesana: «Avevano dovuto sradicare la ringhiera della scala a chiocciola per farlo entrare» (Within Tuscany).
Ogni giorno, dalle finestre aperte dell’albergo, la musica di Natasha si spande a lungo in riva al lago. Anche Stephen lavora. «Abbiamo per noi l’intera ala di un albergo – scrive Stephen a John Hayward il 12 luglio –, offertaci a poco dall’albergatore perché André Gide occupava queste stesse camere». Torri, ricorda Matthew, «era affascinata dagli stranieri raffinati che ci arrivavano per le vacanze…» (A House…).
Dalla scrivania di Spender (anche oggi nella stessa posizione di allora) si vede il lago: nel porticciolo le barche oscillano a pelo d’acqua, i nomi dipinti a mano sul legno verniciato di bianco e blu, le funi che le fermano agli ormeggi. Oltre il porto, il fuoco azzurro dell’acqua arretra in lontananza fino al cupo centro profondo, e i giorni limpidi la penisola di Sirmione esce dall’orizzonte nella foschia celeste. Le colline accerchiano la sponda lontana: alla famiglia inglese Torri sembra un “piccolo mondo antico” meridionale.
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A Torri tutto ruota intorno al lago: «Il lago dominava la nostra vita» dirà Matthew. Ci sono gli amici delle gite in bicicletta, le partite di pesca che rendono pesciolini da friggere in padella o esemplari enormi da fotografare, gli scalzi e abbronzati bambini del paese colti in sottofondo dall’obiettivo del fotografo a osservare turisti, passanti e abitanti locali.
Nel 1951 la guerra è finita da anni, ma non il suo lascito: l’Italia frequentata dagli Spender è un paese povero, quasi ottocentesco. «Non era affatto difficile in questo ambiente sprofondare nel diciottesimo secolo», commenta Matthew a proposito di una decorata biblioteca senese. Il che è vero e a maggior ragione per un borgo di pescatori poveri del lago.
Stephen arriva a Torri con dietro di sé molta gloria letteraria. Agli esordi paragonato a Shelley, è tra i poeti emblema della propria epoca, l’interludio tra le due guerre che nei «college di dandy, ricchi e aristocratici» di Oxford – narra in The Temple – ha messo in luce lui e Isherwood, MacNiece e Day Lewis, il “gruppo degli anni Trenta” sotto l’egida di Auden. Evelyn Waugh scolpisce la storia in un mood sarcastico: Auden, Isherwood e Spender per lui sono i tre giovani scrittori «che hanno aggredito e catturato un decennio». Comunque, per loro la poesia è «sacra e segreta vocazione»: così nel celebre World Within World, l’autobiografia di Spender uscita da pochi mesi e già scelta ‘Libro del mese’ dalla Book Society.
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Matthew ricorda di esser rimasto solo a Torri una settimana, perché i genitori tornano in Inghilterra per i rispettivi impegni. La vita del borgo gli offre però molto da fare, molto da fantasticare: «per un bambino dominato da una passione esclusiva, un momento può riempirsi di quella che appare un’eternità di divorante nostalgia».
Decantando gli anni che separano presente e passato, la scrittura ritrova tracce lontane, bagliori e frammenti di memorie, «stralci di ricordanze» leopardiane: o «frammenti della nostra vita in Italia». Il semplice sottotitolo di Within Tuscany – Reflections on a Time and Place – in italiano si colora in “Considerazioni di un artista inglese sull’arte, gli usi, i costumi e le stranezze degli italiani tra i quali vive”. Splendono il pianoforte di Natasha alzato contro lo sfondo azzurro del Garda, il profumo di una pianta dai rami che oltrepassano un muro al sole, il prato dove le orme di piccoli piedi scompaiono in giochi esaltati. Sottratti al flusso eterogeneo del vivere, restano i momenti d’oro, gli attimi puri nella prospettiva dell’adulto che ricorda: occasioni, atmosfere, un viso o un riflesso sull’acqua di un lago italiano. Scene e visioni: «Un silenzio riempito da cicale. Un giardino quadrato ricoperto da un cubo frusciante di insetti».
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Matthew chiama quasi sempre suo padre Spender, semplicemente. Per Spender la poesia è dedizione assoluta, «lo scopo più serio della vita», la «maturità dell’anima»: «In ciò che creavo potevo essere ciò che ero» (World…). Dopo l’impegno civile – la speranza di riuscire a salvare la civiltà e il dovere di contrastare le tirannidi di ogni segno – per lui veniva il disincanto espresso con parole tristi e brillanti: «Siamo stati la Generazione Divisa degli Amleti che trovarono un mondo dissestato e non riuscirono a rimetterlo in sesto». Spender s’impegna a raccontare un’epoca che non ha voluto fermare la propria corsa, s’indigna per l’assenza di orrore all’orrore del nazismo, assiste alla parabola della civiltà europea, definitivamente consegnata al “mondo di ieri” con lucidità visionaria: “La guerra aveva strappato il pavimento della sala da ballo da sotto i piedi della classe media inglese. La gente somigliava a ballerini sospesi a mezz’aria che, malgrado ciò, riuscivano miracolosamente a fingere di ballare ancora. Eravamo consapevoli dell’abisso ma non vedevamo nuovi valori che potessero sostituire quelli che ci avevano sorretto nel passato”. (World…)
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A Torri, il tempo pare invece sospeso. I muri delle case scendono all’acqua, peschi carichi di frutta macchiano di rosa gli orti. Tra i vicoli stretti del paese risuona il tamtam degli zoccoli ai piedi dei ragazzi. Matthew gira con indosso magliette Marx and Spencer, quasi una sorta di uniforme che Natasha ha portato da Londra. Il borgo con il porto e il castello in rovina, ancora lontani dal turismo di massa, offrono pace e lenti ritmi arcaici. I figli dei pescatori raccontano storie locali e «i bambini del paese mi rincorrono gridando ‘Poeta!’ – Stephen riferisce sempre a Hayward –. Suppongo che Catullo abbia loro insegnato a farlo con i poeti in visita».
Gli Spender non sono sempre soli: amici – artisti, scrittori e poeti – vengono a salutarli o si fermano qualche giorno sul Garda, come Day Lewis in viaggio di nozze. Ci sono cene e gite sul lago, ci sono ombre di ulivi tra rovine romane:
La penisola di Sirmione si stende nel lago
Come chi parli spingendosi al centro
Dell’acqua cerchiata di monti … (Sirmione Peninsula)
Quando gli amici se ne vanno, Natasha torna alla musica, Spender alla letteratura: «Le lettere sono una danza, segni viventi su una pagina patinata: sembrano capaci di vibrare come una ringhiera metallica percorsa dalla punta di un bastone. Sentendo il sangue affluirgli al viso, lo scrittore sa che c’è stato un tormento in cui lui è stato legittimato» (World…). La ringhiera-sequenza di parole precorre casualmente, di poco, quella vera tagliata all’albergo “Gardesana”.
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Sul lago Stephen traduce Rilke e prepara una selezione di poesie. Nella grafia inclinata, ringrazia il proprietario del “Gardesana” «per i tre mesi più felici (per noi) dalla guerra, trascorsi a Torri del Benaco». Il paese sul lago gli ricorda la terra di Omero: «Non ho scritto una poesia su Torri, ma eccone una scritta guardando il lago dalla mia camera e pensando alla Grecia». «Settembre 1951» la data. In Attica (in italiano) il titolo:
Ancora, ancora vedo questa forma sdoppiarsi:
La spalla nuda di una cima tracciata
Contro il cielo, che declina con delicatezza al
Gomito; poi di nuovo la discesa all’incavo
Del polso di una mano che riposa
Sulla solida spianata.
Ancora, ancora, un braccio teso dalla spalla
Che s’appoggia a terra. Come se gli dei dall’alto
Busto, il capo e le membra invisibili,
Avvolti dal cielo o affondati in terra,
Qui lasciassero tuttavia dita tese quali segni
Tra cielo e piana; e facessero questo paesaggio
Dolce, come steli greche, dove i morenti
Mutati sono in pietra da un gesto lieve d’aria,
Mentre indugiano nel loro addio infinito.
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La lirica sarà poi pubblicata in raccolta con delle varianti, ma questa versione è ancora oggi alle pareti di una sala dell’albergo:
IN ATTICA.
Again, again, I see this form repeated:
The bare shoulder of a peak outlined
Against the sky: declining gently to
The elbow; then once more the scooped descent
To the wrist of a hand which rests
On the solid plain.
Again, again, an arm outstretched from the high shoulder
And leaning on the land. As though the torsoed
Gods, with heads and lower limbs invisible,
Plunged in the sky or buried in the earth,
Yet left fingers tended here as signs,
Between the sky and plain; and made this landscape
Gentle, like Greek steles, where the dying
Change to stone on a gesture light as air,
Lingering in their infinite departure. Stephen Spender, Sept. 1951 (per gentile concessione di Giuseppe Lorenzini).
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L’estate gardesana al termine si lascia dietro una mareggiata di sogni e di ricordi. Con «questo strano amore per Torri del Benaco», gli Spender riportano a Londra immagini di memoria quasi corale: un muro assolato e una lucertola ferma, attaccata ai sassi. Campi o orti coltivati a fiori, destinati al mercato in Piazza Erbe a Verona. La collina che sale verso il cielo alle spalle del Garda. Le lucertole che «diventano dragoni» e le caprette bisonti sotto la lente d’ingrandimento della fantasia infantile di Matthew. Un compagno indovina bizzarramente l’ora con precisione assoluta, osservando l’obliquità dei raggi del sole che sembrano «un’estensione dei suoi capelli» (Within Tuscany).
A Torri il crepuscolo raduna pieni e vuoti l’acqua del lago sparisce «nell’ombra della sponda lontana». E in quell’ombra s’annida il cuore dell’elegia – da Virgilio a noi –, desiderio acuto d’illuminare di nuovo brani di passato, portarne un riverbero nel futuro.
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La decisione paterna di soggiornare sul Garda (padre e figlio ci torneranno insieme nel 1988) contribuirà a far amare l’Italia a Matthew, anzi, a “Matteo”: “mi ha convinto che l’Italia è un paese dove la simmetria fra paesaggio, viuzze, orticelli – persino parafanghi delle biciclette – ha un ritmo intrinseco, che non consiste in una serie di pensierini sconnessi come in Inghilterra. È un paese unito da ritmi quasi impercettibili, anche se il suono che ne emerge somiglia talvolta a quello di un remoto conflitto”.
Matthew e Maro Gorky vivono nel Chianti dal 1968, da allora in love with Italy, le sue leggiadre cadenze e i suoi reconditi dissidi. Entrambi continuano a dedicarsi alle loro rispettive arti: la scultura di Matthew, la pittura di Maro.
*In copertina: Stephen Spender, al centro, tra W.H. Auden (a sinistra) e Christopher Isherwood, nel 1931