
“Come di fronte a un sacrilegio”. Dialogo con Aurelio Picca, lo scrittore più antico d’Italia
Dialoghi
Francesco Subiaco
Qual è stato il principale contributo della Spagna all’America Latina, quando l’ha scoperta e conquistata? A questa domanda i credenti rispondono la Chiesa cattolica, Cristo, la vera religione. Gli evangelici, così numerosi ora nel nuovo continente, sebbene in qualche modo in disaccordo, finirebbero probabilmente per accettare questa risposta. I non credenti, come chi scrive questo articolo, risponderebbero che, senza il minimo dubbio, il contributo principale è stato la lingua, lo spagnolo o castigliano che ha sostituito le millecinquecento (che alcuni linguisti estendono a quattro o cinquemila) lingue, dialetti e vocabolari parlati in Sud America da tribù, popoli e imperi. Non si capivano: vissero per molti secoli dediti al passatempo di uccidersi.
Molti indigeni e un buon numero di spagnoli morirono di spada e pallottole in quei secoli travagliati, in cui la Spagna riempì l’America di chiese, città, conventi, università e seminari, e in cui migliaia di famiglie spagnole si stabilirono nelle nuove terre, dove hanno lasciato una vasta prole. Molti di noi, latinoamericani, ci sentiamo orgogliosi di essere eredi di quegli umili spagnoli, molti dei quali analfabeti, venuti da tutte le piccole città della penisola.
Lo spagnolo prese piede ovunque, molto presto, unificando culturalmente il nuovo continente da un estremo all’altro, e da allora quella lingua ha avuto la fortuna – senza alcun governo che la promuovesse, nella pigrizia generale di tutte le autorità –, grazie al suo dinamismo, la chiarezza e la semplicità delle sue forme e della sua coniugazione, nonché la sua vocazione all’universalità, la capacità di diffondersi nel mondo fino ad essere parlata oggi nei cinque continenti da circa seicento milioni di persone e di avere in un unico paese, gli Stati Uniti d’America, dove è la seconda lingua viva, circa cinquanta milioni di ispanofoni.
Una lingua non è solo un mezzo di comunicazione; è una cultura, una storia, una letteratura, credenze ed esperienze accumulate, che nel tempo si sono legate alle parole che la componevano e le hanno riempite di idee, immagini, costumi e, ovviamente, conquiste scientifiche. L’introduzione dello spagnolo ha portato agli ispano-americani Grecia e Roma, Cervantes, Shakespeare, Molière, Goethe, Dante e le istituzioni che nel corso della loro traiettoria hanno creato l’Europa occidentale. Adesso sono tanto nostri quanto della Spagna. Più importanti di tutto questo sono le istituzioni che hanno determinato il progresso e la modernità, così come la filosofia che ha permesso di porre fine alla schiavitù, che ha determinato l’uguaglianza tra razze e classi, i diritti umani e, ai nostri giorni, la lotta alla discriminazione contro le donne. In altre parole, la democrazia e la fame di libertà. Tutto questo è stato acquisito dall’America Latina, e molto altro ancora, adottando e facendo propria la lingua spagnola. Senza di lei, né l’Inca Garcilaso de la Vega né Sor Juana Inés de la Cruz troverebbero spiegazione. Né, ovviamente, Sarmiento, Rubén Darío, Borges, Alfonso Reyes, Octavio Paz, Cortázar, Neruda, César Vallejo, García Márquez e tanti altri grandi poeti e scrittori di prosa latinoamericani che hanno arricchito lo spagnolo.
Tuttavia, contrariamente a quanto sarebbe naturale, la gioia e l’orgoglio di un paese la cui lingua ha acquisito nei secoli un’universalità che ha davanti a sé soltanto l’inglese, dal momento che il mandarino e l’hindi sono troppo complicati e locali per essere autentiche lingue internazionali, nella stessa Spagna, la terra in cui quella lingua è nata e si è evoluta e in seguito ha ereditato il mondo intero, come scoprì, tra gli altri, il grande Don Ramón Menéndez Pidal e i suoi discepoli, esiste da qualche tempo una campagna, da parte degli indipendentisti e degli estremisti, per abbassarla e diminuirla, bloccandole la strada e cercando (molto ingenuamente) di abolirla o sostituirla. È successo ancora una volta, con la nuova legge sull’istruzione che l’attuale Governo del Partito Socialista e Unidas Podemos ha approvato, con un solo voto in più del necessario, con il sostegno di Bildu, la continuazione di ETA, l’organizzazione terroristica che ha ucciso quasi novecento persone, che ora ha abbandonato la lotta armata scegliendo l’integrazione. E con l’apporto, naturalmente, di Esquerra Republicana, i cui principali leader sono stati condannati dai tribunali spagnoli per aver indetto un referendum sull’indipendenza della Catalogna, vietato dalla Costituzione del 1978, attualmente in vigore.
La trattativa che ha permesso questa alleanza, sulla quale alcuni socialisti non sono d’accordo, è stata molto semplice. Il governo di Pedro Sánchez doveva approvare il progetto di bilancio davanti alle Corti Generali. Per questo motivo Unidas Podemos ha attirato i voti del Partito nazionalista basco (PNV), Bildu ed Esquerra, e questi, senza perdere tempo, si sono affrettati a concederli fintanto che il governo accettasse di modificare la legge, sopprimendo il carattere “veicolare” dello spagnolo che afferma specificamente la Costituzione. Questo è il motivo per cui il castigliano o la lingua spagnola è diventata, secondo questa legge, una lingua nascosta o clandestina. Chi prova a comprendere questa legge, chiamata “Legge Celaá” dal ministro dell’Istruzione che l’ha concepita, rimane sorpreso che in un progetto che stabilisce le forme di istruzione in tutto il paese, lo spagnolo o castigliano compaia solo di passaggio. Lo spagnolo, la lingua che è nata in Castiglia, quando il paese era semi-occupato dagli arabi e che è diventata una lingua universale, dov’è? È una lingua sminuita, messa a tacere, ignorata dalle lingue locali parlate dalle minoranze, e uno dei ministri del governo ha avuto l’audacia di dire che tutto lo scandalo sorto a questo proposito sarebbe stato evitato se lo spagnolo non avesse ‘avvelenato’ il clima scolastico in Catalogna, dove alcune scuole, che rispettano le leggi, facevano le ore di lezione di spagnolo a cui sono obbligate, che però la maggior parte delle scuole catalane non rispettano. La legge afferma che le lezioni in spagnolo o castigliano costituiscono un diritto di tutte le persone nate in Spagna. In quante comunità autonome bilingue viene soddisfatta questa disposizione? Solo in minoranza, temo. Ebbene, anche se sembra impossibile, la campagna contro lo spagnolo nella terra natale di Cervantes è ancora in corso. Sarebbe un vero suicidio se questa idiozia prosperasse, non per lo spagnolo o la lingua castigliana, che ha più che assicurato il suo futuro nel resto del mondo. Piuttosto, per la Spagna, perché strapparle la lingua sarebbe strapparle l’anima. È impensabile che il paese in cui sono nati il castigliano, Quevedo e Góngora, così come centinaia di scrittori che hanno dato prestigio e dimensione universale allo spagnolo, sia oggetto di una vittoriosa campagna di discriminazione. Essa non può e non deve prosperare. Noi ispanofoni, che formiamo la stragrande maggioranza nel paese, dobbiamo impedire questo assurdo tentativo di sottovalutare e sottomettere lo spagnolo di fronte alle lingue periferiche. Firmiamo i manifesti necessari e scendiamo in piazza tutte le volte che sia necessario: lo spagnolo è la lingua della Spagna e nessuno la seppellirà.
Mario Vargas Llosa
*L’articolo è pubblico in origine su “El País”, il 6 dicembre 2020, come “La lengua oculta”; la traduzione italiana è di Diana Mazon