30 Luglio 2019

Paolo Sorrentino gira “The New Pope” (e John Malkovich in veste papale fa convertire frotte di accaniti atei). I romanzi più belli sul Papa? Li hanno scritti Giorgio Saviane, Morselli, Quinzio, Roberto Pazzi… (Con lettura in allegato, in attesa della Mostra/Messa del cinema di Venezia)

Con diabolico cinismo si potrebbe dire che la faccenda dei ‘due papi’ abbia contribuito al cospicuo revival – in termini di pubblicistica, almeno – della Chiesa cattolica. Domenica scorsa, per dire, terminata la Messa – cioè, sciolto l’incanto di un’esistenza davvero ‘diversa’ – tra la foresta delle colonne, sentivo una signora sussurrare a mezza voce, “quello lì” – si riferiva a Papa Francesco – “usurpa il posto che è di Benedetto XVI”. La tizia non è una vaticanista né una teologa, eppure difende la propria opinione con verve da invasato.

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Il balcone di San Pietro a Cinecittà: verità e finzione nel film di Paolo Sorrentino, “The New Pope”; Photo by Gianni Fiorito

M’aggancio qui a una notizia uscita un paio di giorni fa. Paolo Sorrentino mostrerà alla prossima Mostra del cinema di Venezia The New Pope, la serie che segue, papale papale, The Young Pope, pubblica nel 2016. Della serie, prodotta da Sky Studios, HBO e Canal+, si sa che il ‘giovane papa’, l’ammaliante Jude Law, sarà avvicinato e sostituito da un ‘nuovo papa’. John Malkovich. Le fotografie divulgate dall’ufficio stampa Sky (qui potete leggere un servizio sul set) sono di fantomatica bellezza. Malkovich in divisa papale convincerebbe un ateo a darsi alle fauci di Dio.

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Il balcone di San Pietro e la Cappella Sistina ricostruite a Cinecittà con rigorosa raffinatezza portano a pensieri verticali. Che corrispondenza c’è tra la Chiesa cattolica e la sua dimora vaticana? Che grado d’incarnazione esiste tra la Chiesa e un edificio detto chiesa? Che cosa è immaginato, immaginario o autentico della fede? È possibile immaginare Dio? Che affinità esiste tra formula e atto, tra rito e verità? Come si sa, il demonio seduce con un gioco di specchi.

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Intendo dire. Paolo Sorrentino, che ha fiuto narrativo, si è accorto del potenziale romanzesco che cova sotto la sottana vaticana. Di fatto, abbiamo lasciato il ‘tema’ del circuito vaticano, del nitore papale, alla narrativa ‘di genere’, allo scirocco dei Dan Brown. Peccato. Insomma, in Vaticano c’è il rappresentante di un dio che si è fatto carne, in cui la lotta tra la vita e la morte è pungolo di diamante. C’è un uomo che crede che la morte, vinta, si possa vincere, ancora. Non vedo tema più inevitabile di questo. Il papa ha un potere conferitogli dalla realtà spirituale, non dall’elettorato terreno.

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La grande letteratura italiana, preoccupata, forse, per il fatto ‘sociale’ o per la questione ‘morale’, ha ignorato il Vaticano e i suoi sotterranei e sotterfugi (per sfottere Gide). Di romanzi dedicati all’inquietudine papale – non rientra nel club il meraviglioso Quinto evangelio di Pomilio – senza malie noir (il ‘genere’, in impasto italico, sul tema è agguerrito e pimpante e più informato di una presunta narrativa ‘alta’, altra; faccio solo due nomi: Fabio Delizzos e Marcello Simoni) ne conto pochi. Il libro più noto resta Il papa di Giorgio Saviane, del 1963, finalista allo Strega – finì buon ultimo della ‘cinquina’, in una edizione di lusso vinta da Natalia Ginzburg con Lessico famigliare sopra Rien va di Tommaso Landolfi, La tregua di Primo Levi e Un giorno di fuoco di Beppe Fenoglio – e vincitore del Campiello. Questo romanzo sull’abisso della ‘chiamata’, “su un possibile papa fuori di ogni schema fisso… pieno di pagine memorabili” (Nazareno Fabbretti), fu tradotto in inglese (The Finger in the Candle Flame) e in spagnolo (El papa), ottenne un più che discreto successo di pubblico, vi fu l’intenzione – prima di Sorrentino – di tradurlo in film. C’erano già produttore (Cecchi Gori) e sceneggiatore (Massimo De Rita, che avrebbe scritto un’altra pellicola tratta da un romanzo di Saviane, Eutanasia di un amore, con Ornella Muti e Tony Musante). Il progetto, però, saltò: “Non se ne fece nulla. L’ho detto più volte: Saviane era un antipatico, non faceva il lacchè, non gli piaceva mendicare attenzioni”, mi disse la moglie, Alessandra Del Campana.

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Con Roma senza papa, il romanzo fanta-vaticano di Guido Morselli, come si sa, Adelphi comincia la pubblicazione di un’opera anarchica e totalmente postuma; uno dei romanzi meno noti di Sebastiano Vassalli, La notte del lupo (1998), piglia avvio dall’attentato a Giovanni Paolo II tentato da Ali Agca. Roberto Pazzi è tra i rari scrittori italiani viventi attenti al ‘tema’: Conclave (2001) è uno dei suoi romanzi più alti, a cui va legato, per ‘partecipazione’ narrativa L’erede (2002) e per altezza filosofica Vangelo di Giuda (1989). Anche Ferruccio Parazzoli è scrittore che fiorisce tra le asperità religiose: cito soltanto 1994. La nudità e la spada (1990), Il fantasma di Dio (2013), Missa solmenis (2017). Di stampo diversamente narrativo è il libro di Sergio Quinzio, Mysterium iniquitatis (1995), dove si raccolgono “le encicliche dell’ultimo papa”, un prometeico Pietro II.

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La ‘rinuncia’ di Benedetto XVI, il fratres carissimi sussurrato l’11 febbraio del 2013, mi è parso un tuono, uno squarcio, una ‘novità’ nella Storia come quelle, folgoranti, che possono accadere solo grazie a chi regna sull’invisibile e ha ragione sopra i morti. Vi scrissi un libro, Rinuncio, pubblicato da Guaraldi, che ha avuto un insperato (stando ai miei canoni mefistofelici) ‘successo’ – al Campiello, nella tarda primavera del 2014, fu eletto da Monica Guerritore come il libro più bello ed estremo del convegno –, fu tradotto in lavoro per il teatro. Tra lettori che vivono nei sotterranei, quel libro continua la semina (Piergiorgio Odifreddi, impertinente ateo, impenitente matematico, lo ha apprezzato e lo ha donato, di recente, a Benedetto XVI). The New Pope sarà presentato a Venezia – due puntate –, durante la Mostra/Messa del cinema che si svolge dal 28 agosto al 7 settembre. Lego qui due brandelli da Rinuncio, come spartito, nell’attesa. (d.b.)

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Sul prato di fronte alla mia cella, la neve si è accumulata in un cerchio. Sembra, sotto la luce, un lago, un foro che risucchia il cielo e le montagne. Arrancando, sono giunto alla finestra, mi sono arrampicato con il mento, che poi ho aggiustato presso il vetro. La pozza di neve mi affascina perché mi ricorda il lago di Rimsting. I lupi vi si avvicinavano avidi di vedere la propria immagine riflessa. A volte si gettavano nel lago, emergendone freddi, grigi come stelle comete. Sono certo che speravano di diventare uomini. Ma la loro forma, inflessibile, non mutava e questo ha esasperato la rabbia, ha dato crescita ai denti. Poiché la trasformazione non si era adempiuta, si esprimevano mordendo i compagni, attaccando il villaggio, desiderandone i bambini. Il lago, nella mia immaginazione, era Dio.

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«Che fine di merda ha fatto mio padre, certo, ma io sono finito a pulire la merda del nonno»: la confessione di quell’uomo mi sconvolse. Ero stato eletto Papa da poco, per questo, immagino, dimenticai la veste, vestendomi come un cardinale. L’uomo compiva degli studi nella Biblioteca Vaticana riguardo all’esicasmo – più tardi scoprii che aveva scritto un libro sui sacerdoti suicidi. Lo incontrai nell’atrio della Biblioteca e lui mi affrontò con quella frase. Non era cupo né scontroso, parlava con gioia. Mi disse che il padre si era suicidato quando aveva dieci anni, per questo, adulto, si prendeva cura dei nonni paterni. «La nonna bestemmia e spera nella rapida morte del coniuge», mi disse sorridendo. A seguito di un incidente il nonno, novantenne, era immobilizzato a letto. L’uomo gli cambiava ogni mattina il pannolone, «afferro le macerie della sua merda con le mani, rifiuto i guanti», mi disse, e disse che vortici di vomito gli perforavano la gola e lo stomaco. Eppure, resisteva. «Per la depressione la nonna si scava il viso, fino a deformarlo, perché nell’aldilà nessuno possa riconoscerla», mi disse. Gli risposi, sconvolto, che forse doveva ricorrere a degli infermieri, farsi aiutare. Replicò con il silenzio, con la serenità dei martiri. Mi parve che quella fatica non fosse una pena ma una gloria. «Nella cacca del nonno vedo Dio», mi disse e per me fu inaccettabile, entrai nell’aula, senza benedirlo. Più tardi mi accorsi che era stato lui ad estorcere la mia confessione di impotenza.

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Due papi che pregano insieme: non è questo un segno diabolico? Le schiene bianche e grevi, simili ai cancelli della Città di Dio. Ma una volta varcati, come scrivono i mistici bizantini di ritorno dalle proprie visioni, ad attendere il fedele è una falange di giaguari. Incaricati di divorare l’anima per vomitarla davanti a Satana. Il Paradiso non è un premio, ma una tentazione, un artificio del demonio. La vita è il premio concessoci da Dio e il dolore la medaglia. I nostri ricordi s’incardinando negli animali e nelle piante: altrimenti, perché guardarli provoca in me un abisso di memorie? Testimonio che non incontrerò mai Papa Francesco, il mio successore. Ma la Curia saprà narrare una storia diversa: non escludo che abbiano da tempo stanato il mio sosia. L’immagine dei due papi non smette di ossessionarmi. Essi mi sembrano i purissimi chiodi che hanno trafitto, come rose, le mani di Cristo. Oppure, mi appaiono come i due ladroni al fianco della Croce: chi sarà il redento?

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Georg carissimo,

per anni ho considerato piazza San Pietro come le fauci di un lupo bianco. Le colonne mi parevano i denti enormi della bestia e il pavimento la spianata del palato. San Pietro è un luogo che divora, che espropria l’anima: quando ne usciamo siamo davvero migliori, che conversione attraversiamo? Ora, da lontano, San Pietro mi pare una culla e la Chiesa un bambino. In questa visione, i lupi, allora, sono i papi, che con continua avidità divorano il bambino. La forza della Chiesa è in questa secolare strage dell’innocente, che forse è una ostinata ricerca di Cristo. Eppure, la Chiesa è fondata dai fedeli più che dai sacerdoti. Ma i fedeli, senza il Papa, sono come lupi esiliati dal branco: l’inverno salderà il loro muso con una museruola di ghiaccio, per sopravvivere dovranno imparare a cibarsi d’erba, aspirandola con il naso, con gli occhi. Da sempre la fede è una questione di sopravvivenza e il cristianesimo una coltivazione di larici nel deserto.

Davide Brullo

*In copertina: Jude Law e John Malkovich in “The New Pope”, di Paolo Sorrentino; fotografia di Gianni Fiorito

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