
“Io sono molte persone, capisci? E una non deve sapere dell’altra”. Marina, l’estremista
Letterature
Fabrizio Coscia
Poi viene l’attimo in cui vuoi rompere tutti i vetri e tutte le finzioni. Trovare il punto, il piccolo foro, in cui la vita entra nel sogno, l’atto letterario diventa reale, si fa re. Da anni perlustro con l’immaginazione Artide e Antartide. Perché? Chissà. Estraggo due ragioni. Uno. L’innocenza. Quella estensione bianca, come un angelo fiocinato, al suolo, che trema. L’innocenza è feroce, uccide, è fredda. Secondo. Le spedizioni. Disumane. Le storie di Umberto Nobile e di Robert Falcon Scott. Perché l’uomo ha l’urgenza devastante di percorrere le zone estreme, inabitabili? Non può starsene a casa, al caldo, sul divano? No. L’uomo è quello che mette l’impossibile in una tazza da caffè, che muore per una causa inutile, ma bella, che si spende per il gusto di fecondare l’ignoto. Ma questa, appunto, è letteratura. Chi i Poli li conosce, Artide e Antartide, i gemelli bianchi, infuocati di ghiaccio, è ovvio, fa poca teoria. Eppure. A un certo punto. Quando l’ascia della solitudine e del dolore ti fa lo scalpo. Penso che una specie di rivelazione, di radiazione ti passi da parte a parte. Quella cerco, forse. Per questo, ho cercato Michele Pontrandolfo. Classe 1971, arrampicatore, paracadutista, in vent’anni di attività s’è fatto 18 spedizioni polari, di cui 13 da solo. Una sintesi della sua attività è sul sito personale: “Ad oggi è l’unico italiano ad aver tentato 3 volte la madre di tutte le spedizioni la traversata dell’Oceano Artico fino al Polo Nord geografico da solo, ha attraversato interamente la Groenlandia prima da est a ovest poi da sud a nord, ha attraversato in 4 distinte spedizioni il quarto ghiacciaio più grande al mondo, ha raggiunto il Polo Nord geo magnetico e magnetico da solo, ha organizzato due spedizioni in Antartide nel 2015 e nel 2016”. Quello che stupisce, dialogando con Michele, è una specie di angelica leggerezza. Pontrandolfo è attratto dal Polo per la necessità di inabissarsi nell’indimenticabile, “il solitario è egoista di emozioni”, mi dice. Ti racconta dei Poli con lucidità, come se ti portasse a visitare la sala da pranzo, senza ossessioni agonistiche. E quando lo solletico con la parola ‘estremo’, lui ti spiazza con estrema grazia, “anche leggere la Divina Commedia di Dante può essere ‘estremo’… dico questo perché dal mio punto di vista io non ho fatto mai nulla di estremo nella mia vita”. Forse il Polo, questo desiderio di azzerarsi, la cruna del rischio, fa anche così. Depura dall’ovvio. Disarma. Denuda. Sgrossa gli aggettivi. Affila le ossa. Ti pietrifica nella sincerità.
Che cosa affascina del Polo?
Del Polo affascina quel punto inesistente “immaginario” che è il novantesimo parallelo. Affascinano le difficoltà per raggiungerlo, affascinano le titaniche spedizioni del passato che hanno tentato la conquista dei due poli, affascinano i racconti dei protagonisti dell’epoca. Come diceva Umberto Nobile… “Quella solitudine immensa dove ognuno si sente re di se stesso: tutto questo, una volta provato, non si dimentica più ed esercita un fascino al quale non è possibile resistere”.
Perché si percorre l’estremo Nord, e, in assoluto, l’estremo?
Il termine estremo è un qualcosa di relativo. Ritengo che anche leggere la Divina Commedia di Dante potrebbe essere ritenuto “estremo”… dico questo perché dal mio punto di vista io non ho fatto mai nulla di estremo nella mia vita, ho solamente cercato di raggiungere degli obiettivi e allo stesso tempo conoscere, vedere, provare e vivere nuovi sensazioni ed emozioni.
Intendo: a te come è venuto in mente di andare lassù?
Per anni ho desiderato portare la nostra bandiera ai due poli cercando di farlo solamente con le mie forze perché volevo tentare di fare quello che Umberto Cagni (vedi Duca degli Abruzzi) tentò nel 1900 assieme ad altri due marinai: raggiungere il Polo Nord geografico. Purtroppo non ci riuscì, ma battè il record di Nansen, da sempre l’esploratore polare per eccellenza, superando gli 86 gradi di latitudine nord. Ritengo che per quell’epoca, fu un esempio straordinario di sacrificio nel tentare il raggiungimento di un punto che per secoli focalizzò epiche imprese polari e immani disastri navali.
Come si sopravvive, nei luoghi polari. Disciplina, ossessione, preparazione, fortuna?
Non pratico nulla in particolare come preparazione mentale, cerco però di pensare a quello che ho svolto nel passato in altre spedizioni polari. I ricordi sono spesso un allenamento psicologico perfetto che effettuo tutto l’anno… mi risulta semplice e normale. Questo mi aiuta a sopravvivere in quelle lande desolate e gelide.
Qual è stato il momento più duro che hai superato?
Il momento più duro? In realtà sono molti momenti più duri… il primo in assoluto è quando lascio la mia famiglia. Più che “il momento”, “i momenti” più complicati solitamente sono nella fase organizzativa dell’impresa, quando ancora il progetto è un embrione. Studio dei materiali, attività con i media, impostazione del sito web, social network, studio del percorso, contatti con agenzie di supporto, attività con le banche, ricerca delle assicurazioni, preparazione brochure, finire l’allenamento… Ancora non è tutto perché il momento realmente più complicato è il recupero dei fondi necessari a coprire le spese della spedizione. Mesi di telefonate, viaggi in mezza Italia, incontri con vari manager d’azienda, per cosa? Per sentire sempre le stesse risposte, “ci piace l’iniziativa, ma non rientra nella nostra mission”, “abbiamo già chiuso il budget”, oppure “non si preoccupi, le faremo sapere”. Questi sono i veri momenti complicati che potrebbero demotivare una persona se non sufficientemente caparbia nel perseguire i propri obiettivi.
Il freddo, il bianco. Che esperienza si prova? Immagino che oltre al ghiaccio sia agghiacciante anche la solitudine. Che cosa hai scoperto di te nell’estremo Nord? Intendo: oltre alla dimensione ‘agonistica’ dell’impresa, immagino ce ne sia una ‘spirituale’.
Ho organizzato 18 spedizioni polari, e tutto sommato non sono poche considerando la fatica nel prepararle. Quattro spedizioni le ho compiute assieme a altri compagni, e ancora oggi conservo dei ricordi straordinari, indelebili che saltuariamente si fanno vivi nei miei pensieri. La condivisione delle sofferenze in determinate situazioni di vita può diventare unica. Soffrire e gioire assieme ad altre persone rende speciale quel preciso istante. Quindi non avrebbe un senso logico scollegare questo ‘cordone ombelicale’ per avventurarsi in nuove strade. Invece proprio qui nasce il bello della storia… Osare, provare nuove emozioni, nuove sensazioni. Cosa diceva Steve Jobs? Stay hungry, stay foolish, restate affamati, restate folli. Ma analizzando bene la frase, il significato che voleva dare Steve era ed è molto più profondo di quanto potrebbe sembrare di primo acchito. Quando decidi di avventurarti in un’impresa in solitaria, vuol dire che hai fame, molta fame e allo stesso tempo sei particolarmente folle. Questa fame però non devi saziarla completamente; devi alimentarla con la giusta quantità di cibo. In questo modo non sarai mai sazio, e la fame che ritorna dopo qualche tempo ti permetterà di continuare in quell’avventura ‘folle’ che è il solitario. Forse un po’ egoista? Come tutti. Con un’unica differenza: il solitario è egoista di emozioni.
Sei passato da Artide ad Antartide. Perché? Quali sono le differenze?
Le spedizioni mi hanno dato la possibilità di conoscere una piccola parte del mondo, e questa piccola parte di mondo mi sta insegnando a vivere. L’avventura la svolgo si in solitaria, ma prima di iniziarla concretamente, vivo dei periodi assieme ad altre persone e grazie a queste persone ho sempre avuto la possibilità di imparare cose nuove nella vita. L’impresa che io svolgo non è solamente esplorativo-sportiva, il valore umano è incalcolabile, ricordi, emozioni, parole, incontri, condivisioni, sapori, odori, pianti, amicizie, abbracci, racconti, insegnamenti… tutto questo rende speciale ogni singola spedizione, nel bene e nel male. Dall’Artide all’Antartide è un passaggio “obbligato”, nel senso che continua la fame e il desiderio di conoscenza ambientale, e in solitaria si moltiplica quella voglia di follia assoluta. Artide è prevalentemente ghiaccio marino, Antartide e interamente ghiaccio di continente.
Come si torna dal bianco sconfinato alla città umanizzata?
Ritorno con la voglia di vedere, abbracciare e baciare il mio unico figlio… lui mi sta insegnando a esplorare il mondo.
Ora. Che esplorazione stai preparando?
A settembre partirò per una nuova avventura, ma non dico nulla ancora.