Dati di fatto. In UK la massima onorificenza assegnata a un letterato è la carica di ‘Poet Laureate’. In Italia, i premi che vanno per la maggiore – Strega, Campiello – vanno ai romanzieri, anche se l’Italia è – è noto – terra di modesti romanzieri – tolto Manzoni e tolto Verga – e di grandi poeti. Avete ragione, certo. In UK vanno di moda, da sempre, le parrucche, i club, le medaglie e gli allori. E pure i poeti. Eppure, appunto, un fatto è un fatto: in UK il poeta è tenuto in giusto pregio, la poesia si legge, i poeti – autorevolmente, bislaccamente, causticamente, grottescamente – sono nel centro dell’agone e dell’agorà, hanno un ‘ruolo’ – che poi può essere sputtanato. In Italia, dove la poesia moderna è nata – con Petrarca – e dove è nato il concetto di ‘poeta laureato’ – lo fu Petrarca – il poeta conta soltanto nei circoli festivi dei poeti di provincia, e l’alloro lo usa per insaporire la zuppa coi ceci, non gli è concesso altro. I poeti, in Italia, sono fuori dalle scuole, fuori dai giornali che contano, fuori dalle università e dalle case editrici, fuori dai premi che premiano grosso, fuori dai canoni e fuori legge. Che figo, dirà il culturista della controcultura. Per nulla, rispondo. I poeti, in Italia, sono talmente fuori che fanno girare le palle, sonoramente, da quanto son diventati patetici: per un verso – arpeggiano manco fossimo in bucolico Ottocento – o per l’altro – fanno finta di averlo duro, ma la virilità linguistica non si raggiunge per difetto di aggettivi bensì per eccesso di genio – per non dire l’altro ancora – le masse di poeti ‘normodotati’ che canticchiano la vita ‘normale’ con pose cantautorali.
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Esempio di retroguardia culturale. I ‘poeti laureati’ inglesi. Si presume siano la quintessenza della poesia inglese. In Italia, a parte due poeti e mezzo (William Wordsworth, Ted Hughes e Alfred Tennyson, quest’ultimo noto ai sopraffini), chi li conosce, chi li traduce, chi li pubblica? Per dire solo del Novecento: mai letti Robert Bridges, John Masefield, Cecil Day-Lewis – il padre di Daniel, l’attore – John Betjeman? Appunto. Gli ultimi due ‘poeti laureati’, poi, sono editorialmente disintegrati, mi riferisco a Andrew Motion (incarico risolto dal 1999 al 2009) e a Carol Ann Duffy (tradotta dai piccoli, speciali, almeno, Crocetti e Le Lettere), che indosserà la corona poetica fino al maggio del 2019. La cosa non è grave dal punto di vista meramente lirico ma ‘sociale’: questi poeti, infatti, intervengono a pieno titolo – e spesso a gamba tesa – nella vita ‘politica’ occidentale, scrivendo, agendo, movimentando. E noi? Stiamo a guardare, ignari e ignoranti.
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Il prossimo ‘poeta laureato’ dovrebbe essere Simon Armitage. Giovane il giusto – classe 1963 – ha ottenuto i premi giusti – nel 1999 è stato nominato ‘Millennium Poet’, l’anno scorso ha vinto il Pen America Award, qualche giorno fa gli hanno affibbiato il ‘Queen’s Gold Medal for Poetry’, andato, tra gli altri, a W.H. Auden, Philip Larkin, Robert Graves, Derek Walcott, di fatto il gradino preliminare alla ‘laurea’ – e dal 2015 siede sulla prelibatissima cattedra di poesia all’Università di Oxford. Simon Armitage è un grande poeta perché come i grandi poeti alterna una lingua scanzonata, gergale, bruta, a una nitidezza classica, sta tra melma e stelle e quando Mondadori, nel 2001, pubblicò una raccolta delle sue Poesie, per noi poetini con la cerbottana fu una festa, una fiera. Va detto che da allora, editorialmente, in direzione contraria al crescente successo pubblico – e alla crescita lirica – di Armitage, in Italia, s’è visto poco. Guanda, sia benedetta, ha pubblicato nel 2015 In cerca di vite già perse e nel 2011 il lavoro di Armitage dentro l’epos medioevale (Sir Gawain e il cavaliere verde; ma Armitage ha lavorato pure scavando l’Odissea e il mito di Artù). Per un autore che ha pubblicato una ventina di raccolte poetiche (le ultime: The Unaccompanied per Faber, l’anno scorso; Flit, quest’anno, esito di una residenza allo Yorkshire Sculpture Park) e un’altra ventina di libri, compresi un paio di romanzi, quasi nulla.
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Mi è caro, Simon Armitage, è chiaro. Mi è caro anche per una questione di affetti, per così dire. Su Il Riformista – il quotidiano fondato da Antonio Polito un’era giornalistica fa – Flavio Santi, scrivendo l’articolo più ispirato e corretto riguardo all’opera di Simone Cattaneo (ancora vivo), capì tutto, “Cattaneo è il nostro Armitage (per dimostrare questa tesi una volta ho fatto uno scherzo tremendo a un critico: gli ho passato un gruzzolo di poesie di Cattaneo spacciandole per primizie di Armitage. Non vi dico l’entusiasmo dell’illustre studioso per quegli “inediti”…)”.
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Quindi, sì, volevo chiudere l’articolo proponendo un analogo del ‘Poet Laureate’ anche per l’Italia – insomma, riproponiamo ciò che fu nostro, che ci appartiene – ma poi… Questo non è un Paese perduto, è un Paese di perdenti, che pensano che il poeta sia perso, che la poesia sia inutile quando è la sola cosa che ci resta da fare, la poesia. Oltre al ‘poeta laureato’ ci vuole – come in UK – il sistema editoriale che pubblica la poesia, i lettori di poesia, i poeti nelle accademie – per davvero – a schiantare l’accademismo, i poeti nei tiggì, i poeti invitati in Parlamento per far capire al resto dell’assemblea che cosa è l’uomo, cosa è la vita, cosa l’economia. Quindi, sì, io sono contento se Armitage diventa ‘Poet Laureate’ per una piccola cosa, insignificante, forse, ma decisiva per me. Se Armitage diventa ‘laureato’ lo sarà, con lui, anche il mio amico Simone. Nel frattempo, ho tradotto per voi il proclama di Armitage pubblicato un mese fa. Titolo: cos’è il ‘Poet Laureate’ secondo me. Direi, un buon discorso di insediamento. D’altronde, un poeta che afferma, con solare potenza, che i poeti del futuro saranno migliori di questi, di oggi, se adeguatamente promossi, è un vero poeta, non è uno che dorme sugli allori del proprio ego. (d.b.)
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Il linguaggio è la nostra invenzione più grande. Come strumento per comprendere noi stessi e il mondo, niente gli è pari. La poesia è il linguaggio più profondo, la poesia è la nostra conquista più grande.
Per questo, la ‘laurea’ è il più alto onore e onere per la poesia e il ‘laureato’ dovrebbe essere il guardiano di questi ideali. L’alloro dovrebbe essere assegnato a un poeta riconoscibile e autorevole, un poeta ammirato dai poeti e dal pubblico, un poeta allo stesso tempo esperto ed entusiasta, un poeta che è un eccellente interprete nell’arte di cui sarà campione e ambasciatore. Nessun altro lo sarà.
Dovrebbe essere un poeta predisposto all’ascolto più che alla chiacchiera, alla lettura più che alla scrittura, che pensi al lavoro degli altri poeti più di quanto essi facciano tra loro, che conosca e che si interessi profondamente dei poeti del passato, perché ce ne sono molti e molti sono migliori di noi. Se ti metti in testa la corona di alloro e non hai letto tutto Beowulf o l’Iliade o non sai chi ha scritto Lycidas o non sei in grado di recitare una poesia di Saffo o di Emily Dickinson, o non conosci neanche una poesia di Derek Walcott, beh, non sei degno di quel ruolo. Sarai imbarazzato alla prima intervista. La maggior parte della migliore poesia mai scritta è disponibile per tutti per questo non leggerla – anche soltanto per criticarla – è imperdonabile.
La ‘laurea’ pretende esperienza e dignità. Non dobbiamo nominare il sindaco del Paese dei Balocchi o la mascotte delle nostre aspirazioni quotidiane. O qualcuno che ha pubblicato quattro libri, ha il seggio in cinque commissioni, è giudice in sei premi ed è una brava persona, o qualcuno che è un amministratore nel negozio dei valori contemporanei, e in secondo (o in terzo) luogo un poeta.
Se vuoi concorrere, devi essere in grado di valicare la tastiera e di scendere dalla torre d’avorio, lasciare i tomi polverosi, la soffitta illuminata dal sole, l’aula degli anziani, e prepararti ad andare nelle scuole, nelle prigioni, nelle comunità, negli ospizi. Probabilmente devi avere almeno trent’anni. Dovrai felicemente andare nei teatri, nei festival e nei locali notturni a vedere e ad ascoltare la poesia che viene declamata e rappresentata. E dovresti avere in mente un progetto a lungo termine, come il Poetry Archive di Andrew Motion o il premio per le nuove opere di Carol Ann Duffy. E dovresti pensare a come incoraggiare e promuovere i poeti del futuro – perché ci saranno, saranno più di noi, saranno migliori di noi.
Simon Armitage