05 Novembre 2020

“Ti piacerebbe passare con me il resto della tua vita?”. Parole, corpi, tradimenti. Nella camera azzurra di Georges Simenon

Era vero. In quel momento tutto era vero, perché viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire”. Tony e Andrée sono nudi, dopo il sesso, in quella che Tony chiama “la camera azzurra” dell’albergo di suo fratello. Tony è sposato con Gisèle e ha una figlia. Andrée è sposata con Nicolas, che ha una malattia ereditaria; non hanno figli.

Le parole contavano poco. Parlavano così, per il puro piacere di parlare, come succede dopo l’amore, quando il corpo è ancora eccitato e la testa un po’ vuota”. Quanto contano le parole tra due amanti è l’esatto punto di frattura del patto. Tony e Andrée tradiscono entrambi i propri coniugi ma soprattutto tradiscono a vicenda la stasi della loro condizione. Gli amanti sanno che vivono quella passione senza alcuna percezione di futuro, senza alcuna possibilità di resa. Sanno perfettamente che nel momento esatto in cui uno dei due si proietta fuori dalla camera, fuori dal presente, il patto è rotto. Ma l’accordo si rompe sempre. Le parole dette all’inizio finiscono per essere volutamente dimenticate, per essere sostituite dai gesti, dalla sfrenatezza del momento. Le parole contavano poco, solo per Tony. Andrée invece si aggrappa ferocemente a quelle parole, sono per lei la tensione verso l’uscita di quella camera, la forza muscolare che spinge a ruotare il polso e ad aprire la serratura. Le parole tra due amanti si incidono nei muri con le unghie, restano affisse per anni a quelle pareti, sono promesse che chiedono di compiersi. “Ti piacerebbe passare con me il resto della tua vita?” “Certo”; è questa la linea di frattura.

Registrava automaticamente le parole di Andrée senza prestarvi una particolare attenzione. Non più di quanto facesse con le immagini o gli odori. Come poteva sapere che avrebbe rivissuto quella scena decine e decine di volte? E sempre in uno stato d’animo diverso, da un punto di vista diverso…”. Uno dei due vive stretto al presente, il momento della camera azzurra non allunga le dita su niente, sente la mancanza del corpo dell’amante solo dopo qualche giorno. Come fosse un richiamo fisiologico, un richiamo semplice del corpo. Non ha alcuna proiezione, il desiderio chiede di essere esaudito solo nell’attimo in cui può compiersi davvero. L’altro invece soffre del presente, non gli basta e con le parole costruisce navi di desideri. Una volta una persona mi ha detto che l’amore non si dice mai, poi ha fatto l’errore di iscriverlo in un simbolo. Quel simbolo è diventato una specie di talismano, lo porto ancora con me, lo scrivevo ai margini delle pagine che leggevo. Ora è per me un monito: anche dare all’amore la forma di un simbolo equivale a tradirne la potenza. Vogliamo comprimerlo e farlo nostro, dire di possederlo, “avere un amore” in realtà vuol dire proprio perderlo.

Ecco infatti che Simenon fa raccontare questa storia a Tony alternando monologhi interiori a dialoghi durante gli interrogatori. Sappiamo che Tony è stato arrestato, dalla condizione della fine conosciamo l’inizio. Dove la parola ha piantato il suo seme nero. Dove l’amore pare sia stato detto. “Si sentiva puro, innocente. Contava solo ciò che stava vivendo. Un maschio vigoroso e una femmina appassionata che avevano goduto l’uno dell’altro”, mentre lei invece chiede una promessa. Chiede la parola.

Com’è diversa la vita nel momento in cui la si vive e quando la si analizza a distanza di tempo! Turbato dai sentimenti che gli venivano attribuiti, Tony era arrivato al punto di non saper più distinguere il vero dal falso, il bene dal male”. La camera azzurra di Simenon ci insegna in modo esemplare come la diversa percezione di importanza della parola può salvare una vita o distruggerla, come l’amore non vada mai pronunciato per essere conservato.

“Cosa l’ha attratta in sua moglie?”, “Non lo so. Non me lo sono mai chiesto” (…) “Vuol dire che non è mai stato sfiorato dall’idea di divorziare?” “Proprio così” “Neanche negli ultimi mesi?” “Mai” “Tuttavia, lei ha detto alla sua amante…, “Ma, insomma, lo vuol capire che in realtà io non ho mai detto niente? Era lei che parlava! Se ne stava lì, nuda sul letto. E io ero nudo davanti allo specchio: avevamo appena… Ma sì, lo sa perfettamente. In quei momenti non si bada alle parole. Sentivo a stento quel che diceva. Anzi, se proprio lo vuole sapere, per un po’ ho seguito con lo sguardo una mosca…”. Prima di avvicinarci a qualcuno dovremmo chiedergli cosa ne fa delle parole, se le appende come quadri in sala, se le cura come i gatti curano il proprio pelo, oppure se le parole sono come una mosca, che si posi sulla frutta o sullo sterco non ha importanza, vola e si sposta, si perde di vista in un attimo.

Clery Celeste

*In copertina: una tavola di Ferenc Pintér, grande illustratore di Maigret

Gruppo MAGOG