06 Giugno 2023

“Per assomigliare a te stesso devi inventarti di continuo”. Siegfried Lenz, il grande scrittore che non ha bisogno di alzare la voce

Non c’è nessun bisogno di alzare la voce quando si ha da dire qualcosa di veramente importante. Questa è la prima lezione fornita da Siegfried Lenz (1926-2014), uno scrittore che dei mezzi toni ha fatto un’arte. Come tedesco, ha attraversato e vissuto sulla sua pelle gli anni più terribili del Novecento: nazismo, Seconda guerra mondiale, il durissimo periodo post-bellico, la guerra fredda, ed è un narratore implacabile del male, ma senza mai perdere la misura delle cose e soprattutto degli uomini. Una dote rara e preziosa, che per molti versi mi ha riportato alla mente Theodore Fontane, un altro grande della letteratura tedesca che mi è molto caro.

Lenz è autore di diversi romanzi e racconti, ma il suo libro più noto è senza alcun dubbio Lezione di tedesco, uscito nel 1968 e che in Germania ha avuto uno straordinario successo prima di essere tradotto in molti Paesi. Chi ha detto che il pubblico non sa riconoscere le opere di qualità?

Il protagonista del romanzo è Siggi, un ragazzo finito in riformatorio su un’isola del fiume Elba vicino ad Amburgo, il quale, costretto per punizione a scrivere un tema su “Le gioie del dovere”, racconta la storia del padre, un poliziotto incaricato dal regime nazista di comunicare a un pittore, suo caro amico d’infanzia e che da ragazzi gli aveva salvato la vita mentre stava annegando, il divieto di dipingere perché la sua arte è considerata “degenerata”, i suoi quadri devono essere “verboten und verbrannt”, proibiti e bruciati.

«A quel tempo gli avevano proibito di dipingere, e mio padre, la guardia della stazione di polizia di Rugbüll, aveva il compito di controllare che l’ordine fosse rispettato, a qualsiasi ora del giorno e della notte e in qualsiasi stagione; doveva (per ricordare anche questo particolare) impedire qualsiasi idea e realizzazione di nuovi quadri, nonché le indesiderate infrazioni circa la luce: nella sua veste di poliziotto, doveva insomma curare che a Bleekenwarf non si dipingesse più!»

Nel corso della storia il ragazzo-narratore si avvicina sempre di più al pittore e si allontana dal padre. Agli occhi di Siggi lentamente il senso di libertà che emana dalle parole dell’artista prevale sul cieco senso del dovere del poliziotto. Uno dei grandi pregi del romanzo è la possibilità di assistere in presa diretta alla formazione di una coscienza. Quel processo magico e decisivo che tutti abbiamo attraversato e che ci ha permesso di diventare quello che siamo. È una seconda nascita, per molti versi più importante anche di quella biologica. Dopo, una volta divenuti adulti, vivremo la nostra vita, ma la personalità ormai si è formata e i giochi sono già fatti. Senza che ce ne accorgessimo tutto era già stato deciso dall’imprinting emozionale che ci ha silenziosamente formato negli anni dell’adolescenza.

«Sai che cosa significa vedere? Moltiplicare, significa. Vedere è penetrare e moltiplicare, o anche inventare. Per assomigliare a te stesso devi inventarti di continuo, a ogni sguardo. Solo se inventi concretizzi».

Siamo in un piccolo paese di provincia, lontano dagli eventi della grande storia e Lenz si dimostra un maestro nello scavare all’interno dei rapporti tra i vari personaggi e nell’approfondire temi complessi come la responsabilità individuale, il confronto tra il bene e il male, il senso del dovere, la forza rivoluzionaria dell’arte e soprattutto quello che in Germania è stato il grande tema della cosiddetta “letteratura delle macerie” dopo la fine della Seconda guerra mondiale: la “colpa” tedesca relativa all’adesione al nazismo con quello che ne è seguito. Il fascino del libro è che tutto questo non avviene in una dimensione drammatica, ma piuttosto in un quieto e dimesso contesto provinciale nel quale piccole storie personali possono diventare universali, vicende in apparenza minime assurgono ad archetipo del bene e del male.

I toni più lirici Lenz li riserva alla natura, descritta magnificamente nelle pagine del romanzo. Chi ha avuto la fortuna di fare un viaggio da quelle parti può ritrovare intatto il fascino del fiume Elba, le dune di sabbia lungo le sue rive, il vento sferzante del Mare del Nord, le grida dei gabbiani. Soprattutto in una sera d’estate, quando a quelle latitudini il sole tramonta molto tardi, consiglio a tutti di fermarsi a guardare questo vero e proprio paesaggio dell’anima, con lo scorrere lento e maestoso delle acque sotto un cielo di insostenibile bellezza dove le nuvole si rincorrono senza sosta, avvolti da un silenzio che profuma di eternità. Un’esperienza che ti rimane dentro per sempre.

Lezione di tedesco è un romanzo magnifico, la dimostrazione che è ancora possibile fare vera, grande narrativa. Un autentico piacere per il lettore e un salutare schiaffo a tanti giovani presunti leoni della letteratura contemporanea, da una parte convinti che il mondo ruoti intorno al loro ombelico e dall’altra schiavi della retorica degenerata dell’ideologia. Qui invece niente prediche, niente facce perennemente corrucciate a testimoniare chissà quali drammatici casi di coscienza, niente facili indignazioni di panna montata. Solo il lieve sorriso di Siegfried Lenz, che ha sempre amato definirsi semplicemente “un narratore di storie”, naturalmente raccontate con i toni bassi perché «Chi sa parlare sottovoce viene ascoltato».

Silvano Calzini

Gruppo MAGOG