Non basta toccare il principesco culo di una svedese per aggiustare i gusti letterari dei nobili giurati del Premio Nobel.
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La soluzione è stata, per così dire, ‘nordica’. Pare che il bel fotografo maritato con una giurata del Nobel per la letteratura – bella pure lei e pure poetessa – ci abbia provato con una tipa di troppo (la principesca Victoria). Per una sontuosa palpata, il colosseo del Nobel s’è spappolato: nel 2018, han detto, il premio al più grande scrittore del pianeta – secondo loro – non sarà assegnato. In realtà, non è proprio così.
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Basterà la parolina magica, new, per dare nuova credibilità a un premio – il Nobel per la letteratura – ambito per ragioni non proprio nobili (i soldi)? Per assegnare il New Prize in Literature – cioè, il Nobel-non-Nobel del 2018 – è stata creata una New Academy (cioè: Den Nya Akademien), l’accademia di transizione tra lo scandalo sessuale e la resurrezione dell’accademia svedese. La New Academy, si legge, “è stata fondata per garantire che un premio letterario internazionale sia assegnato nel 2018, ma anche per ricordare che la letteratura dovrebbe essere associata alla democrazia, all’apertura, all’empatia e al rispetto”. Finalmente i nordici svelano le loro alate opinioni letterarie in quattro parole: democrazia, apertura, empatia, rispetto. Quattro parole che forse van bene come galateo elementare per uscire a cena con degli sconosciuti. La letteratura, però, è tutt’altro, è il contrario.
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La letteratura è antidemocratica, perché non ha bisogno di un consesso pubblico, elettorale, per giustificarsi. La letteratura è aperta a tutto, è ovvio, non ha alcuna preclusione, ma è chiusa, è l’esito del linguaggio specifico di un singolo scrittore, che in quel libro non inventa tanto una trama ma una lingua, prima inesistente. La letteratura non è empatica, è antipatica: dice sempre ciò che non vogliamo sentirci dire, ci ferisce, ci irrita, ci fa incazzare. La letteratura è irrispettosa: non ha rispetto per le regole grammaticali (altrimenti, basta un burocrate o uno scrivano o un computer a redigere un capolavoro), non ha rispetto per forme né norme, è anormale, è un mostro, non rispetta il prossimo, rovescia i tavoli e spacca piatti e bicchieri, uno scrittore non ha rispetto neanche per altri scrittori, eventualmente li idolatra per ucciderli, perché nell’arte ne resterà soltanto uno, il sommo, gli altri sono l’appendice dell’ovvio, l’appendino del già scritto.
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Anche il sistema di voto della New Academy è antiletterario: è ‘popolare’, manco la letteratura si facesse ad alzata di mano. Il voto di una falange di scrittori e librai e artisti misconosciuti passati per la New Academy ha partorito 47 nomi, passati al vaglio da una giuria di misconosciuti, che ha estratto il poker. Candidati ufficiali al Nobel-non-Nobel del 2018, il solito noto (Haruki Murakami), il grande scrittore ‘di genere’ (Neil Gaiman), la rifugiata politica (Kim Thúy, vietnamita che ha trovato casa in Canada), la scrittrice politicamente doc (Maryse Condé, viene da Guadalupe, studia in Francia, Le muraglie della terra è, invero, un bel libro). Alchimia perbenista: due uomini e due donne, un giapponese, un inglese, l’Oriente, i Caraibi, i ricchi e i poveri.
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Non che la New Academy capisca di letteratura più della vecchia accademia svedese: gli unici italiani tra i 47 papabili sono due donne, Silvia Avallone e Elena Ferrante, che ci sta come il prezzemolo. A questo punto, perché non hanno nominato Massimiliano Parente, Gianluca Barbera, Francesca Serragnoli, di certo molto più capaci – formalmente, narrativamente – del duo Avallone+Ferrante? Il povero Cormac McCarthy, che ha scritto alcuni dei romanzi più possenti degli ultimi decenni, resta nel dimenticatoio del possibile, che vergogna.
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Un premio del tutto privo di senso andrebbe chiuso per sempre – non fosse che gli scrittori, specie nel Sud Europa, fanno la fame e sono tendenzialmente tendenziosi e lacchè. Io propongo di premiare i morti: Ezra Pound, Rainer Maria Rilke, Anna Maria Ortese… i soldi li usiamo per aprire fondazioni, per implementare gli studi letterari, non diversamente da quelli matematici o in fisica quantistica.
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Altrimenti. Al premio democratico – cioè, anti-letterario – preferisco, senza provocazioni, l’incoronazione. 8 aprile 1341, Roberto d’Angiò, re di Napoli, acconsente all’incoronazione di Petrarca. Ci fa schifo che un potente incardini la corona d’alloro sul cranio di un poeta? Certo. Ma visto che Accademia Svedese o New Academy che sia, è sempre un giro di potentati e di poterini, tanto vale che sia un potente a scegliere il poeta o lo scrittore più grande. Meglio ancora. Dovrebbe essere uno scrittore a incoronare il proprio successore. Cormac McCarthy che incorona l’erede; Simon Armitage che elegge il proprio pupillo. Intendo. L’unica forma di ‘premio’ plausibile è quello in cui un artista riconosce il genio di un altro, passandogli il carisma. Il resto è muffa museale, parapiglia di idioti che sbriciolano l’individualità di un creatore nel catino del volemose bene, gente che usa il Nobel per garantirsi una cena gratis, per avere spunti al dialogo mentre dilagano le portate e tintinnano i bicchieri di cristallo.
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Al premio – creato per fini pubblicitari – bisogna sostituire l’elezione, l’altezza. Chi non è incoronato, non rosola nell’invidia: riconosce e rilancia. Se Petrarca ha ottenuto l’agognato alloro, è Dante ad aver scritto il poema planetario, assoluto. (d.b.)