
“Verso tutte e sei sono colpevole intimamente…”. Kafka & le donne
Letterature
Antonio Coda
Fu Stephen King a dichiarare ai quattro venti che Shirley Jackson era la sua icona e che L’incubo di Hill House, è, insieme al canonico Giro di vite, “il più formidabile racconto inquieto scritto nell’ultimo secolo di letteratura inglese”. Lei, piuttosto, per la quota di anni che è vissuta (48, dal dicembre 1916 alla tarda estate del 1965), si lamentava del marito fedifrago – Stanley Edgar Hyman, critico letterario di successo che prediligeva le ‘ninfette’ – e di come è difficile fare la scrittrice quando hai poco tempo da dedicare alla scrittura, assediata da quattro figli, cani, gatti, pulizie, necessità di sfamare la banda. Ciò non le ha impedito, in ogni caso, di essere tra i grandi scrittori ‘gotici’ americani, una esteta nell’arte del racconto (da La lotteria, del 1948, in poi). D’altronde, diceva, “Mi danno sui nervi le persone che pensano che cominci a scrivere quando ti siedi alla scrivania e afferri la penna e finisci di scrivere quando posi la penna; uno scrittore scrive sempre, vede ogni cosa attraverso una densa nebbia di parole, adatta in rapide descrizioni tutto ciò che vede, annota, continuamente. Come un pittore non può sedersi al banco, mentre prende il caffè, senza notare i colori che lo circondano, così uno scrittore non lascia sfuggire alcun gesto inconsueto senza dargli una descrizione verbale, non dovrebbe mai lasciare alcun istante privo di descrizione”. I libri della Jackson (tra cui Paranoia, Lizzie, Abbiamo sempre vissuto nel castello) sono editi in Italia da Adelphi. L’ultimo, per la traduzione di Simona Vinci, s’intitola La ragazza scomparsa e allinea tre racconti lietamente enigmatici, colmi di salvifico cinismo. Queste sono le prime pagine del racconto che dà il titolo al volume.
***
Canticchiava, stonata, aggirandosi qua e là per la stanza e spostando gli oggetti con delicatezza, senza smettere di canticchiare. Betsy, curva sulla scrivania, irrigidì le spalle e chinò la testa sul libro con enfasi, sperando che quella parvenza di concentrazione potesse in qualche modo comunicare un desiderio di silenzio, ma la cantilena proseguì. Prendendo in considerazione l’idea di un gesto teatrale, scaraventare per terra il libro o urlare di fastidio, Betsy si disse, una volta di più, però non puoi prendertela con lei, proprio non puoi, e affondò ancora di più la testa. «Betsy». «Mmm?». Betsy, sempre fingendo di studiare, si rese conto che avrebbe potuto descrivere ogni singolo movimento compiuto nella stanza fino a quell’istante. «Senti, io esco». «E dove vai? A quest’ora?». «Esco lo stesso. Devo fare una cosa». «Vai, allora» disse Betsy; solo perché uno non vuole prendersela, non è che debba necessariamente mostrare interesse. «Ci vediamo dopo».
La porta sbatté e Betsy, con sollievo e con un senso di freschezza, tornò al suo libro. Di fatto, fino alla sera successiva, nessuno le domandò dove fosse la sua compagna di stanza. E anche allora fu solo un accenno, che a malapena la spinse a pensarci: «Sei sola, stasera?» le chiesero. «Lei è uscita?». «Non l’ho vista per tutto il giorno» disse Betsy. L’indomani, Betsy cominciò a preoccuparsi, soprattutto perché l’altro letto era ancora intatto. Le si affacciò alla mente il mostruoso pensiero di dover andare dalla direttrice del campo («Avete sentito di Betsy? Si è precipitata da Zia Jane a dire che la sua compagna di stanza era sparita, quando la poveretta non si era mai mossa da…»), e cominciò a chiedere in giro, curiosa, formulando ogni volta la domanda come se niente fosse; nessuno, venne fuori, l’aveva più vista dalla sera di lunedì, quando aveva detto a Betsy: «Ci vediamo dopo» e se n’era andata. «Pensi che dovrei andare a dirlo a Zia Jane?» domandò Betsy il terzo giorno. «Be’…». L’altra ci pensò su. «Sai com’è, potresti passare tu dei guai, se è scomparsa sul serio».
La direttrice, una donna rassicurante, tollerante e spiritosa, abbastanza anziana da poter essere davvero la zia di tutte le istruttrici del campo, e abbastanza saggia da apparire esperta agli occhi delle ragazze, la ascoltò con attenzione e chiese: «Quindi mi stai dicendo che è sparita da lunedì ser? E oggi è giovedì?». «Non sapevo cosa fare» spiegò Betsy candidamente. «Poteva essere tornata a casa, o…». «O…?» domandò Zia Jane. «Ha detto che doveva fare una cosa» disse Betsy. Zia Jane prese il telefono e domandò: «Puoi ripetermi il suo nome? Albert?». «Alexander. Martha Alexander». «Chiama a casa di Martha Alexander» disse la direttrice dentro la cornetta del telefono, e dalla stanza accanto, nel bell’edificio rivestito di boiserie che veniva utilizzato come segreteria e, all’altro capo, come cucina, sala da pranzo e salone ricreativo, lei e Betsy udirono la voce di Miss Mills, l’assistente di Zia Jane, pronunciare in tono nevrastenico: «Alexander, Alexander», mentre sfogliava pagine e apriva cassetti. «Jane?» chiamò all’improvviso. «Martha Alexander da…?». «New York» disse Betsy. «Credo». «New York» ripeté Zia Jane dentro la cornetta. «D’accordo» disse Miss Mills dall’altra stanza. «Scomparsa da lunedì» rammentò a se stessa la direttrice, consultando gli appunti sul taccuino. «Ha detto che doveva fare una cosa. Abbiamo una fotografia?». «Non mi pare» disse Betsy, incerta. «O forse da qualche parte potrei averne una». «Anno?». «Spirito della foresta, credo» disse Betsy. «Cioè, io sono uno Spirito della foresta, e di solito mettono insieme Spiriti della foresta con Spiriti della foresta, e Follette con Follette, e Cacciatrici con…». Si interruppe perché il telefono sulla scrivania aveva preso a squillare, e la direttrice sollevò la cornetta e disse brusca: «Pronto? Parlo con Mrs Alexander? Sono Miss Nicholas, dal Campo estivo femminile Phillips, dodici-sedici anni. Sì, esatto… Bene, Mrs Alexander, e lei come sta? Ne sono lieta. Mrs Alexander, la chiamo per controllare che sua figlia… Sua figlia, Martha… Sì, esatto, Martha». Inarcò le sopracciglia guardando Betsy. «Vorremmo accertarci che sia a casa o che voi sappiate dove si trova… Sì, dove si trova. Ha lasciato il campo all’improvviso lunedì sera senza firmare il registro, e naturalmente è nostra responsabilità che le ragazze che soggiornano qui da noi, anche se tornano semplicemente a casa…». Si fermò, e i suoi occhi si concentrarono all’improvviso su un punto del muro. «Non è lì?» domandò. «E sa dove si trova, allora?… Magari gli amic?… C’è qualcuno che potrebbe saperlo?». Hilda Scarlett, l’infermiera del campo, che tutti chiamavano Will Scarlett, non trovò traccia, nel registro dell’infermeria, di nessuna Martha Alexander. Seduta di fronte a Zia Jane, si torceva nervosamente le mani e continuava a ripetere che le uniche ragazze in infermeria, al momento, erano una Folletta con orticaria da rovere velenosa e uno Spirito della foresta in preda a un attacco isterico. «Sai bene» disse a Betsy, con la voce che si alzava di tono «che se fossi venuta da noi nel momento stesso in cui se n’è andata…». «Ma io non lo sapevo» replicò Betsy, impotente «non sapevo che se ne fosse andata». «Temo…» disse meditabonda Zia Jane, voltandosi a guardare Betsy con l’aria di chi è costretto a portare un fardello non necessario e molto spiacevole «…temo proprio che dovremo avvisare la polizia». Al capo della polizia, un gentilissimo padre di famiglia che di cognome faceva Hook, non era mai capitato di far visita a un campo estivo femminile; le sue figlie non andavano pazze per quel genere di attività, e Mrs Hook diffidava della brezza notturna; era anche la prima volta che allo sceriffo Hook capitava di dover ricostruire degli avvenimenti. Gli era stato concesso di restare in carica tanto a lungo perché la sua famiglia era nota in città, perché era simpatico ai giovanotti del bar del posto, e perché, dopo vent’anni di ubriachi chiusi in cella e ladruncoli arrestati dietro confessione, vantava una carriera immacolata. In una cittadina come quella vicino al Campo estivo Phillips, i reati sono commisurati al carattere degli abitanti, e un cane rubato o un naso rotto sono sostanzialmente i fatti più clamorosi da segnalare. Non c’erano dubbi riguardo alla totale incapacità dello sceriffo Hook di affrontare la scomparsa di una ragazza dal campo estivo.
Shirley Jackson
*Il brano è tratto dal volume: Shirley Jackson, “La ragazza scomparsa”, Adelphi 2019
**In copertina: Shirley Jackson con i figli, North Bennington, Vermont, 1956