03 Novembre 2020

“Fantasia senza giudizio. È l’unica cosa che so fare”. Intervista ad Alessandro Gori (aka Lo Sgargabonzi)

Qualche tempo fa “Internazionale” lo ha salutato come il miglior comico che abbiamo in Italia. Luttazzi ha dichiarato invece che la sua comicità è fascista. Vive appartato in Val di Chiana, si muove solo per necessità, tiene una rubrica settimanale su “Rolling Stone” e potrebbe parlarti per ore del Mostro di Firenze. Il suo ultimo libro, una raccolta di racconti, si intitola Jocelyn Uccide Ancora.

Leggendo i suoi testi, all’apparenza molto comici, quello che mi arriva alla fine è l’atroce urlo dell’uomo davanti alla morte come unica e inequivocabile certezza. La sua opera, in un certo senso, vuole traghettare il fruitore verso questa conferma?

In realtà non voglio traghettare da nessuna parte il lettore. Non ho l’urgenza di comunicare niente, ma esprimo solo me stesso, rivolto i miei meandri, faccio cozzare ingredienti apparentemente inconciliabili e vedo che storia sbrodola fuori. Fantasia senza giudizio. È l’unica cosa che so fare.

Ma dove porta, almeno nell’inconscio, questa fantasia? Esprimere se stessi a volte non è un urlo liberatorio per svincolarsi da convinzioni e certezze che crollano?

Non te lo so dire dove porta. Credo che esprimere senza sconti la propria parte più atavica, cruda, scarnificata e per certi versi astratta sia un modo per ‘purificarsi’, per vivere raccontandosela il meno possibile.

Nel privato qual è il suo rapporto con la morte?

Il peggiore possibile, che è il solo che abbia senso. Nella morte non ci vedo niente di buono, anche perché sono legato alla vita in maniera bulimica. La mia infanzia è accaduta negli anni ’80, ho introiettato il materialismo e il consumismo come valori positivi e auspicabili. Gli spiritualismi e le ricostruzioni cognitive non hanno mai fatto breccia su di me. Mi fanno ridere quelli che dicono che non hanno paura della morte perché ‘fa parte della vita’ o ‘rientra nella natura’. Davvero gli basta questa sciarada per rassicurarsi? La natura quindi è cosa buona? Io se penso a una cosa buona penso ai gelati Big Sensation della Bo-Frost e ai giochi da tavolo di Reiner Knizia. Della natura invece la penso come Herzog: tutto il male possibile. E non credo nella risata che sdrammatizza la morte. Al contrario, credo in quella che la drammatizza, che mette la lente sul nostro dolore irrisolvibile, sui nostri genitori che si sfasciano davanti ai nostri occhi. La risata isterica del condannato a morte. Per me la comicità è come giocare violentemente con un simulacro della vita per sentire il rumore che si fa quando si spezza.

Quindi la natura, più che affascinare, mette orrore? Insetti che si sbranano tra le foglie, serpenti velenosi che scivolano tra le frasche amazzoniche. Più che bellezza io vedo razzia selvaggia, insicurezza. Un buco nero infinito e disagiante.

La natura prima ci illude e poi ci umilia, ci fa invecchiare e morire senza risparmiarci niente, lasciandoci totalmente consapevoli di tutto questo. E fa lo stesso alle persone che amiamo, che si accartocciano sotto i nostri occhi, che aspettando il pranzo di Natale pregano in piedi attorno al tavolo e negli ultimi anni si siedono e negli ultimissimi non capiscono cosa gli succede intorno. Anche impazzire per una storia d’amore che finisce ha a che fare con tutto questo. Chiudere la porta e sapere che quella persona non la bacerai mai più, da lì a che sarai tornato niente.

Molti dei suoi scritti sono infarciti di prodotti di consumo, film, musiche, luoghi e personaggi di un recente passato. Tempi non lontani da questi (il ventennio ’80/’90) che si potrebbero legare alla tarda adolescenza. La scrittura quindi è un modo per congelare il tempo? Per fermarlo in quegli anni dove, apparentemente o almeno per molti di noi, tutto andava bene?

Credo che in parte sia così. È il tentativo totalmente fallimentare di creare un tinello confortevole dove trattenere ancora un po’ quei ricordi, le polaroid estive, i fantasmi delle persone amate, prima che se ne vadano senza ritorno, prima che la proteina beta-amiloide abbia la meglio anche su di loro.

Se dovesse davvero congelarsi nel tempo e per sempre. Dove accadrebbe e come?

Milano Marittima, 1990. Io al mare coi miei genitori giovani e la musicassetta di Fiki-Fiki compilation comprata dai vu-cumprà.

Alcuni racconti nel suo ultimo libro (come l’incontro con Nanni Moretti o il concerto di Vinicio Capossela, che spesso interpreta anche nelle sue apparizioni live) paiono, ad una prima lettura, assolutamente fantasiosi. Un perfetto marchingegno di scrittura comica creativa. Scopro invece che è tutto vero (o quasi), semplicemente una cronaca di quello che le è realmente capitato. Debbo dedurre quindi che questo effetto grottesco, surreale, comico sia dato dal fattore tragico in cui versa l’intera umanità; un infinito e continuo horror vacui quotidiano?

In realtà c’è la voglia di spogliare il Re guardandolo dal basso e adoperando quel sarcasmo oggi un po’ dimenticato in favore dell’ironia. È quello che facevano anche gli Squallor raccontando il mondo della canzone impegnata. O lo stesso Paolo Villaggio. Da amante della commedia dell’imbarazzo, ho sempre preferito il sarcasmo all’ironia. Sull’umanità di cui parli invece ho tutta la simpatia, l’affetto e la pena possibili. Non ho mai creduto che un bravo comico debba essere un misantropo, anzi. Il mio essere crudele è solo propedeutico ad accogliere e comprendere tutti, da Alfredino Rampi a Vlad Tepes III passando per Corrado Tedeschi.

La tua immagine pubblica è coperta letteralmente dall’assenza. Sei presente (sui social, nelle interviste, addirittura in tv) ma coperto, mascherato, distorto. Sei vivo ed invisibile. Come un Banksy della stand-up comedy. Mi racconti l’origine di questo scomparire pubblicamente pur rimanendo sempre e comunque necessariamente presente?

È molto semplice: purtroppo sono il fratello di un pentito. Mio fratello maggiore, di cui non faccio il nome e che per fortuna non ha il mio stesso cognome, ha ucciso sessanta persone.

Beh, ottimo. Sta lavorando anche ad un fumetto, o meglio, ad una graphic novel. Mi racconta la genesi di questo suo nuovo progetto?

Nasce dalla voglia di scrivere qualcosa senza tentazioni comiche e in cui il silenzio valga più della parola, start-up a cui credo sempre meno. L’Età dei Mortali è un fumetto che racconta, attraverso trenta brevi sequenze per lo più mute, la solitudine di trenta diverse persone dinnanzi al proprio destino ultimo, al caos indeterministico. Mi piace immaginarla come un’opera ascetica che documenti il dolore atavico di chi, come noi, ha avuto la sfortuna di nascere in quei millenni quando ancora si moriva.
Ho la fortuna di realizzare questo fumetto col pittore abruzzese Marco Pace, di cui sono stato accanito fan ben prima di questa nostra collaborazione.

Dopo tre romanzi e una raccolta di racconti (Jocelyn Uccide Ancora, uscito per minimum fax è del 2018) sta preparando delle nuove storie che andranno a formare una raccolta in qualche maniera speculare a quella uscita due anni fa. Anticipazioni in proposito?

Non ho mai inteso Jocelyn Uccide Ancora come un mero stoccaggio di racconti, ma l’ho composto come fosse un disco prog, con accelerazioni, rampe, interludi, glissando e dissolvenze incrociate. Adesso sto scrivendo Confessioni di una Coppia Scambista al Figlio Morente, un libro apparentato a Jocelyn ma dal sapore molto diverso. Sempre per fare un paragone musicale, mi piace immaginarlo diretto come un disco live. Non arrivo a dire punk perché non ho mai amato il genere, ma diciamo gli Oasis a Knebworth nel 1996. E, forse per reazione alla lavorazione in contemporanea con L’Età dei Mortali, è comunque un libro meno oscuro e più divertito del fratello maggiore e anche della mia media. Madonna, mi rendo conto che a questo punto dell’intervista bisogna che ricordi a chi legge che sono un comico. Poi ti dico qualche battuta sul governo Gentiloni da aggiungere in postproduzione.

Cosa legge ma soprattutto perché scrive?

La lettura non è mai stata una mia passione, tanto che in vita mia avrò letto dieci libri a dire tanto. Non per snobismo, è proprio che mi distraggo (per colpa mia, sia chiaro). In compenso non ho mai nemmeno avuto una vera passione per la scrittura, altrimenti scriverei tutti i giorni e invece trovo sempre una scusa per non farlo. Però mi ha sempre affascinato la libertà che la scrittura ti offre. Puoi sognare il tuo film perfetto e non riuscire a realizzarlo mai. Se invece il tuo kolossal lo vuoi scrivere, ti basta un computer. E nessun errore sarà mai irrisolvibile, potrai tornare su quella storia ogni volta che vuoi, migliorarla e metterla a fuoco come se tu stessi allestendo un diorama. In questo la scrittura è il contrario dell’esistenza. Sono sempre stato creativo e mi è venuto naturale far confluire la mia creatività in un media che mi mettesse a mio agio.

Viviamo in una società dove in pochissimi realmente usufruiscono dell’arte ma per contro, grazie soprattutto a internet, c’è una bulimia di proposte artistiche (tutti sono musicisti, fotografi, comici, registi). Ha senso oggi, in questo caos, portare avanti qualsivoglia progetto?

Non me lo sono mai chiesto. Dico la cosa più banale del mondo, ma io scrivo per me stesso. Se poi quello che scrivo interessa anche ad altri meglio ancora. Sinceramente mi dispiacerebbe se qualcuno rinunciasse alla propria creatività solo perché di proposte in giro ce ne sono troppe. 

Quindi non è la “morte in faccia” che la fa scrivere?

La morte in faccia peggiora tutto, pure la voglia di scrivere. Non capisco chi dice che l’ombra della falce fienaia renda la vita degna d’essere vissuta. Per me rende solo i rientri a casa più deprimenti.

Come mai il caso sul mostro di Firenze è motivo di un suo interesse, oserei dire, quasi morboso, tanto da dedicare all’evento interi show?

Quello del Mostro di Firenze è quasi un unicum, un caso misteriossimo dove più ti ci addentri e più il buio si fa fitto. Non è che manchino gli indizi. Al contrario, ce ne sono troppi e portano dalle parti più disparate. E quel caso negli anni si è rivelato una sandbox di ipotesi tutte clamorosamente suggestive. I contadini usciti dalla notte, il mercenario di Prato, il medico ritrovato suicida nel Trasimeno, la malavita sarda, Zodiac, i servizi segreti deviati, le sette. E poi c’è la complessa figura di Pietro Pacciani, che se non fosse stato il padre padrone che era, oggi gli dedicherebbero le piazze come vittima di malagiustizia.
Ho imparato più a scrivere appassionandomi a questa vicenda che leggendo i libri dell’ottimo, alcalinico “Pasternak”.

Ma perché un attaccamento così forte da documentarsi così tanto e aver intervistato addirittura l’avvocato del Vanni, Nino Filastò? Sete di sapere che va oltre la mera cronaca. Mi pare un detective privato, tipo Harry Angel, che cerca in qualche modo di sbrogliare la matassa.

Ma no, io nella matassa mi ci infilo crassamente ma non ho l’ansia di sbrogliarla né sarei in grado di farlo. Sia chiaro: mi piacerebbe che si arrivasse a una soluzione, a costo che la destinazione valga quanto è valso il viaggio

In conclusione, cosa aggiungere?

Vendo carburatore Pinasco anno 2015 seminuovo telefonare ore pasti.

Fabrizio Testa

Gruppo MAGOG