15 Gennaio 2019

Se Walt Disney fosse vivo ci farebbe un cartone animato: quella volta che Franca Rame mi ha scritto… Ovvero, sull’irresistibile brio (diciamo così) di Valentina Lodovini

Filippo è una persona diretta ed essenziale. Nella vita si occupa di cinema e fa il regista, ed ha sviluppato nel tempo un’allergia al teatro. Non sempre: dipende da chi c’è in scena. Mi scrive se lo accompagno a vedere Valentina Lodovini al “Pazzini” di Verucchio, impegnata in “Tutta casa, letto e chiesa” di Franca Rame. E aggiunge: “Pur di smurcinarle le tette sarei disposto a farmi tagliare i pollici delle mani”. Non ho istinti splatter, però davanti a un’affermazione di questa portata la distanza tra Rimini e il bellissimo borgo romagnolo diventa un batter di ciglio. Non ho pregiudizi verso le attrici di cinema e nemmeno gli attori. Il palco ti spoglia e mette in luce bravura e difetti. E non permette “tagli”, lì è buona la prima, con inciampi, raggi di sole, opacità e stanchezza.

*

I miei dubbi non erano sulla Lodovini, ovviamente, ma sul testo: la Rame l’ha portato a teatro nel 1977 e dopo 40 anni la voglia di ascoltare un pippone sul femminismo, sul “ce l’ho ed è mia e decido io cosa farne e a chi concedermi”, era a livelli delle suole delle scarpe. Però mi piacciono le frizioni, i contrasti, le discrepanze, le sfide. E soprattutto capire come una ragazza di 40 anni, burrosa e tanta e molto cinematografica, si sa confrontare con un testo-manifesto. La risposta è arrivata subito: i ‘drammi’ (ovviamente comici) che vive la protagonista (o meglio, le protagoniste dei singoli quadri) sono di una realtà ancora presente e, a modo suo, devastante. La forza dello spettacolo, un’ora senza intervallo, si gioca tutta nell’assenza dell’uomo, presente solo come evocazione, fantasma, controprotagonista negativo.

*

In macchina Filippo parla delle tette della Lodovini. Io penso a Franca Rame, a quando mi ha scritto chiedendomi se poteva pubblicare sul suo sito l’intervista che feci a suo marito Dario Fo. Il Nobel era salito a San Marino con una sua personale pittorica. Scrissi, molto e tanto. E Franca apprezzò. Un umile operaio della scrittura e la donna di cultura. La bestia cucciola e la regina del palco, la donna illuminata. Se Walt Disney fosse vivo, ci farebbe un cartone animato. Dove io sarei la bestia che non diventerà mai principe azzurro.

*

In macchina, all’andata, penso ai grandi monologhi. Alle attrici quarantenni, alla difficoltà di emergere delle nuove leve, alle scuole di talenti, alla crisi dei drammaturghi, ai testi per la scena.

In macchina, al ritorno, mentre Filippo traccia un elogio alle tette e al sedere della Lodovini, penso che mi piacerebbe vedere lei o Sabrina Impacciatore (ottima attrice, ottima davvero) impegnate in “Emma B. vedova Giocasta” di Alberto Savinio.

*

Non un testo “femminista” ma piuttosto “femminile”, quello che Valentina Lodovini vive sul palco con energia, bella fisicità e interessante esercizio mnemonico: balla, si contorce, si alleggerisce per poi diventare donna. Per diventare, senza finzione, su quattro donne: la casalinga rinchiusa in casa dal marito, la donna che diventa oggetto sessuale a disposizione delle voglie dell’uomo, un’operaia che continua a lavorare e, in chiusura, Alice (forse il personaggio meno incisivo).

Attorno a un elemento totemistico di deciso impatto teatrale – un lettino da analista che diventa talamo per accoppiamenti animaleschi, rifugio, sedia, riparo ma anche ring e specchio – l’attrice si spoglia (in senso figurato), passa da registri linguistici più lievi e fanciulleschi a quelli più drammatici, senza perdere mai la bussola: vuole “accompagnare” il pubblico a riflettere sui rapporti tra donne e uomini, ma senza giudicare. E così incocca l’arco verbale e lancia: a un polveroso “contesto il fatto dell’incintamento della donna e del maschio mai” (retaggio del femminismo) fa da contraltare l’amarezza del “vorrei vivere con te e non abitare con te”, che racchiude, con ogni probabilità, le vere distanze tra i generi. Ma è nella scelta lievemente vernacolare della donna operaia che Valentina Lodovini mette la propria firma sul testo: la sua caratterizzazione vocale, realizzata attraverso una parlata gergale della zona del Valdarno, è una perla che dona profonda veridicità alla storia, e fa scendere il personaggio dal palco per portarlo nella vita vera.

*

Filippo è tornato a casa con tutte le dita. Anch’io, ovviamente. Anche se non siamo tutto “casa, letto e chiesa”

Alessandro Carli

Gruppo MAGOG