
“Tacete, o maschi”. Letteratura, scuola, genere
Società
Alessandro Agostinelli
Dopo il lungo periodo di chiusura imposto dall’emergenza sanitaria di tipo virale, anche alle scuole è stato consentito di riprendere le attività. L’evento, come mai era successo prima, è stato accompagnato da un infantile entusiasmo ed è stato celebrato come una rinascita, un retour à la vie che soltanto qualche mese prima era da molti considerato impensabile. Un girotondo felice di politici, dichiarazioni fatte con trasporto, sospiri di sollievo per attese finite sono stati il corollario di questo ritorno in classe preannunciato da tempo e voluto con determinazione. Eppure il sospetto che la fierezza di una tale decisione mascheri o sia nient’altro che l’apparato simbolico di quella narrazione ideologica che la scuola non smette di raccontarsi e di propagandare all’infinito, prende in me il sopravvento.
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Ma chiariamo subito alcuni punti. Primo, l’uso che qui si fa del termine ideologia non sottende nessun discorso di natura politica. Esso, invece, è utilizzato esclusivamente per dare un nome allo strumento di speculazione con cui si cercherà di analizzare il fenomeno che ci riguarda: la scuola. Secondo, l’ideologia è potenzialmente buona. Il che vale a dire che essa ha la sua forza nella persuasione, non nella costrizione. (Almeno all’inizio). Terzo, per funzionare, l’ideologia non deve necessariamente essere portatrice di verità ma avere dalla sua – come si è già detto – un registro del simbolico efficace e potente. Quarto e ultimo punto, l’ideologia, in quanto tale, è riconoscibile soltanto dal di fuori dell’apparato ideologico che la sostiene (infatti, come affermava Louis Althusser, “l’ideologia è sempre quella altrui, mai la propria”).
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In concreto, dunque, un’ideologia va costruita sapientemente e messa alla prova dei fatti. Meno si ravvisano i suoi segni maggiore è il successo. Il metodo persuasivo che essa adopera fa sì che non appaia né costrittiva né repressiva come un potere autocratico. Ecco, è a questo meraviglioso apparato di illusioni che la scuola si è perennemente prestata senza riserve e senza opporre alcuna resistenza. Anzi, l’ideologia che la sostiene e che, in quanto “apparato ideologico di Stato” essa alimenta, vuole che la scuola rappresenti la soluzione a ogni problema, che essa debba dare risposte a qualsiasi emergenza (sociale, educativa, sanitaria…), che essa – pour ansi dire – sia necessaria e buona, sempre e comunque. Tuttavia il bene e la necessità che la scuola esibisce, e allo stesso tempo custodisce e protegge maternamente, sono perlopiù sconosciuti oppure si riducono alla solita solfa della formazione, dell’educazione o, peggio ancora, dell’istruzione. Elementi disciplinari che, anche loro, non c’è dubbio, hanno una forte carica simbolica: il presunto successo professionale, l’affermazione personale, la larvata possibilità di un avvenire, eccetera. Insomma, né più né meno che delle chimere.
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Che persino gli studenti si siano fatti megafono di questa ideologia e pochi giorni fa abbiano manifestato – tale è il potere demagogico dell’ideologia – per una scuola accogliente, una scuola che li difenda (dal contagio virale, immagino) e li faccia sentire al sicuro (“Tornare a scuola in sicurezza” era uno degli slogan pitturati sugli striscioni) fa senza dubbio pensare che in realtà non vogliano una scuola ma una mamma, il seno abbondante di una balia, ossia nulla di diverso da quello che finora la scuola è stato per loro. Delle audaci contestazioni studentesche del passato, dunque, non è rimasto che un giulivo corteo di mammole.
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Questa convinzione ideologica (ma potremmo dire anche mitologica), che spinge prevalentemente sulla capacità della scuola di offrire soluzioni a ogni problema, a ogni miseria umana, a ogni sventura e afflizione sociale, è ciò che l’ha resa irrimediabilmente vecchia, assolutamente materna e sussidiaria. Incapace di reagire criticamente alle trasformazioni e ai cambiamenti epocali, tutto quello di moderno che essa fa è imitare goffamente organizzazioni aziendali e processi manageriali dai quali però esclude a priori l’eventualità di un fallimento o di una bancarotta, l’infelice probabilità della non riuscita o dell’insuccesso.
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Diciamola tutta, l’ideologia crea inconscio. Oggi si arriva a scuola sapendo già cosa vi si troverà. Il bambino di pochi anni che vi mette piede per la prima volta è già sapientemente informato – potremmo dire istruito – su cosa la scuola gli insegnerà. E questo perché l’inconscia narrazione ideologica sulla e della scuola lo ha raggiunto ancor prima che egli ne abbia varcato i cancelli d’ingresso. L’ideologia agisce e funziona “a tempo pieno”, ovunque, dappertutto, epidemicamente. La scuola è buona, è utile, è necessaria, questo e nient’altro dice l’ideologia. (È il caso di ricordare che l’ultima riforma scolastica, nata già con i capelli bianchi, è stata chiamata La buona scuola?). Anche adesso che l’implacabile contagiosità del Sars-Cov-2 spaventa, preoccupa e aggredisce gran parte della popolazione mondiale, l’ideologia che gli si oppone spavaldamente – con la mascherina chirurgica calata sul volto! – è la sola, necessaria e altrettanto implacabile riapertura delle scuole. Più o meno come tirare sassi contro un drago. Non c’è una seria discussione che valuti l’opportunità di esporre all’evenienza di un contagio milioni di studenti, docenti e personale scolastico eppure c’è un solo coro e una sola melodia: riaprire le scuole è cosa buona e giusta, anzi, necessaria. Tutto qui.
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Una scuola nuova, non ideologica né mitologica, dovrebbe cominciare a riflettere e valorizzare prima di tutto quell’immenso patrimonio culturale “non-necessario” e “inutile” che essa ha da offrire, dovrebbe riservarsi l’opportunità di tirarsi indietro e mettersi da parte di fronte a problemi e situazioni ai quali oggettivamente non può dare risposte o soluzioni. Una scuola nuova, non materna, dovrebbe cominciare a non essere più ausiliaria, accessoria, e contemplare, tra le varie possibilità, il proprio fallimento e la sua inidoneità. Una scuola nuova dovrebbe dire «Il re è nudo!» e smascherare l’ideologia. Il che significa rinunciare anche a quella strisciante presunzione di onnipotenza mettendo in bilancio, una buona volta, la perdita del primato educativo. La scuola non ha da esibire successi e medaglie, essa non può né deve supplire a funeste lacune e mancanze altrui. Ma mi rendo conto che la bolla ideologica è confortante e il mondo che si osserva dal suo interno è caleidoscopico e pieno di meraviglie.
Vincenzo Liguori
*In copertina: una classe di bambini alle prese, nel 1935, con i gargarismi per prevenire l’influenza (la fotografia è tratta da qui)