22 Ottobre 2018

Scriveva solo con il sangue, convinta che lo scrittore è un torero: una lettera d’amore di Marguerite Duras

Una certa schifiltosità mi allontanava da lei. Due cose, più che altro. Scriveva breve, semplice, per lampi verbali. Ai miei occhi da condor, non bisogna volare sotto la quota detenuta da Hermann Broch, William Faulkner, Virgina Woolf. La fama, poi, m’irretiva. Il film di Jean-Jacques Annaud del 1992, la storia della farfalla minorenne tra le braccia del ricco cinese. Erotismo carnevalesco rispetto ai film, per dire, di Wong Kar-wai – dove l’amore si spreca nella resa, nell’irraggiungibile.

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DURASPoi. Mi irritava il fatto che fosse brandita come simbolo di certo ‘femminismo’, facinorosa faccina da femmina alpha. C’erano però altri aspetti intriganti: l’intransigente di sinistra che viene cacciata dal partito comunista francese nei Cinquanta per “perverso spirito politico” – sfotteva chi non le garbava – “frequentazione di locali notturni” e, insomma, “tradimento del partito con atti piccolo-borghesi decadenti”. Il partito così, firmo la sua condanna; lei non cadde. Mai.

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La fine. Poi. Reclusa. In casa. La donna dalle molte sofferenze e dalle cospicue gioie. Non voleva nessuno con sé. Ispirata da sé sola, incurante delle critiche degli intellettuali di Francia che la ritenevano qualcosa di più di una scrittrice ‘rosa’, certo, ma ben al di sotto del pantheon letterario conveniente.

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Vent’anni fa Laure Adler firma per Gallimard la sua biografia. “Sapeva scrivere solo con il sangue”, ha dichiarato la biografa. “La sua vita fu un corpo-a-corpo contro il secolo, contro gli uomini, contro l’amare. Lottò anche con la scrittura: ogni manoscritto è stato scritto e riscritto almeno otto volte. L’alcol, infine, il suo ‘buco nero’, ‘l’ombra interiore’. Pensava che tutti potessero scrivere: semplicemente, bisognava avere il coraggio di sfidare il ‘buco nero’. L’alcol la aiutava. La sua vita è stata una totale assunzione di rischio, lo scrittore come un torero nell’arena”.

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“L’amante di Cholen si è assuefatto all’adolescenza della fanciulla bianca fino a delirarne. Il piacere che prende da lei, ogni sera, impegna il suo tempo, la vita. Con lei non parla quasi più”; “La prende come prenderebbe la sua bambina”; “Ci eravamo ingannati. L’errore che avevamo fatto, in qualche secondo ha invaso l’universo. Lo scandalo era di proporzioni divine”. L’amante, pubblico nel 1984, è l’anti-Lolita. Nessun gioco verbale ma il giogo telegrafico della semplicità – si scrive come si martella un chiodo. Parla la bimba-ragazza e non l’amante tramortito dal desiderio. Siamo in Indocina, mica negli Usa: non c’è perversione pervasiva, ma la geometrica lucidità di un fatto.

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Marguerite Duras è diventata un marchio – quanti la imitano, da allora, inappetenti ai vocabolari? Tributo alle epigrafi, tribunale di una scrittura disincarnata, disincantata. E se fosse più brava lei dei tronfi tromboni del romanzo d’avanguardia, da mille&passa pagine? Penso a Claude Simon. Lo osannavo, a quel tempo quando ‘difficile’ significava ottimo, quando ‘che cavolo vuol dire?’ significava ha certo molte cose importanti da dire.

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A 70 anni la Duras rievoca ciò che le è accaduto da ragazza, nelle colonie dell’Est, nei Trenta. Questa è una lettera, che appartiene a quegli anni – senza data né luogo – come fratturata dal nulla – mentre s’incede nell’amare, nell’incenerire. (d.b.)

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Tu.

Mai questa parola mi è parsa prossima all’infinito, perché contiene cose vaste nella sua sostanza misera. Inoltre, poiché ha il carattere di essere un segno eccezionale tra noi, non permetterò che sia subordinata alle vicende della grammatica. Vorrei che questa lettera fosse senza origine; ma l’arrivo, che non pregiudicherò, mi opprime, ti segnalerà che non ci sarò più. Il cattivo stato di mia nonna, il trasporto in una clinica, in un’età in cui la lotta per la vita consiste nel voler morire a casa propria, non crea l’atmosfera adatta a un rapido monologo, il cui merito più grande è penetrare nella tua stanza. Non rimpiango la violenta repressione che ho imposto alla mia natura, che per tutta la notte, splendida, ha toccato tutti i paesaggi familiari al nostro pensiero e ai nostri sensi. Non lo rimpiango perché questa immagine astratta, quasi senza entità, che mi perseguita, esprime un profumo che provoca speranza, mi lascia in un rapimento simile a quello che si prova penetrando un bosco… siamo due prismi violenti, la luce bianca è scaturita da noi, la corda vibra, scatenando una sinfonia; l’intensità di gioia e di dolore è uguale, una, e brucia per fondersi in un unico essere, non c’è dualità in una gioia simile… Nasconderò la mia inquietudine rischiando di arrivare al punto decisivo del calcolo delle probabilità? Non ti arrabbierai perché conosce la mia mania di perseguitarmi. Intollerabilmente stupido chiudere questa lettera quando cade la sera. Mi scuserai. Il folletto ha smesso di scherzare; la piccola viola tace; al mattino riprenderà la sua cantilena, che per te sarà dolce. Ti risveglierò con un sogno fantomatico, e quando riconoscerò il tuo sguardo, andrò via. Ti mormorerò qualcosa, comunque. La ‘gente’ non dà credito all’amore.

P.S. Il folletto potrebbe bussare alla tua porta, ora…

Marguerite Duras

Gruppo MAGOG