Ho incontrato Mister Kurtz… Le mille vite di un mito
Cultura generale
Dare una regola alla scrittura, che è frutto dello sregolamento e figlia la sregolatezza, è una ingenuità, è come dire che Dio, l’inafferrabile, è effettivamente nella cabbala dei dieci comandamenti, il codice civile per tenere a bada quegli incivili che andavano dietro il primo vitello dorato che passa, o nella ramanzina domenicale del prete, atta a imbambolare i buoni di cuore. Non esistono ‘regole’ che regolino la scrittura, che è tale perché infrange ogni regola. Per questo, le regole – decaloghi, cataloghi, monologhi – compilate dai grandi scrittori sono interessanti come spunto e come fonte, sono utili per entrare nella mente – laboriosamente menzognera – di quel particolare scrittore. Insomma, le regole redatte dagli scrittori non sono il cuore della loro scrittura: sono la bile, l’esito rabbioso della loro lotta contro il ‘mostro’, la scrittura.
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Di ‘regole’ ce ne sono tante. Ci sono le regole monastiche e quelle che narrano la clausura della scrittura. Ce ne sono di inutili e anche di interessanti. I ragionamenti di Robert Louis Stevenson e di Julio Cortázar sono raffinatissimi, le opinioni letterarie di Anton Cechov sono tenere, le mitologiche prefazioni di Joseph Conrad e di Henry James sono pezzi d’arte, il decalogo di Horacio Quiroga è formidabilmente folle. Tra le ‘regole’ dettate da un contemporaneo, mi paiono degne di letture quelle di Liliana Heker, che ho pubblicato qui. Non è questione di ispirazione, in questo caso, ma di spirito, la spiritualità della scrittura.
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Ora. Il giorno dell’Epifania – volgarmente, ‘befana’ – anche J.K. Rowling, per titillare il pubblico, ha dettato le sue regole On Writing. Ammetto di non essere un fan di Harry Potter – arrivo a preferire i film rispetto alla sciatteria estetica dei libri – ma la storia della Rowling (dal niente al tutto, dalla disperazione alla fama) è affascinante; come ha un certo fascino l’ansia di J.K. di accreditarsi come scrittrice in grado di dettare le regole del gioco. Eccole, ad ogni modo, le sue regole, costruite intorno a cinque concetti capitali.
Lettura. Specialmente per gli scrittori giovani. Non puoi diventare uno scrittore capace senza essere un devoto lettore. Leggere è il modo migliore per analizzare cosa rende interessante un libro. All’inizio probabilmente imiterai i tuoi scrittori preferiti, ma è un buon modo per imparare. Troverai la tua voce, dopo un po’.
Disciplina. I momenti di pura ispirazione sono gloria, ma la maggior parte della vita di uno scrittore, è cosa consueta, risiede nel sudore più che nell’ispirazione. Devi scrivere anche se la musa non collabora.
Resilienza e umiltà. Rifiuto e critica sono parte della vita di uno scrittore. Riprendersi e andare avanti ha un valore inestimabile se vuoi sopravvivere alla valutazione del tuo lavoro. Il critico più acuto e duro spesso risiede nel tuo cervello. Parte della ragione per cui ho passato sette anni dall’idea della “Pietra Filosofale” alla pubblicazione è dovuta al fatto che ho rigettato per mesi il manoscritto, certa che fosse spazzatura.
Coraggio. La paura di fallire è la ragione più triste che ti impedisce di fare ciò che devi. Infine, ho trovato il coraggio di presentare il mio primo libro ad agenti ed editori nonostante mi sentissi una fallita. Non è meglio essere una persona che ha concluso il proprio progetto, piuttosto che uno che parla continuamente di ciò che avrebbe desiderato fare?
Indipendenza. Intendo: resistere alle pressioni che ti intimano di seguire religiosamente i Dieci Consigli perfetti per scrivere un bestseller, che ti insegnano cosa devi assolutamente fare per guadagnare un milione di dollari con la scrittura. In definitiva, nella scrittura è come nella vita, il tuo compito è fare il meglio di ciò che puoi, migliorando i tuoi limiti se è possibile, accettando il fatto che le opere d’arte perfette sono solo un po’ meno rare degli esseri umani perfetti. Trovo conforto nelle parole del grande giornalista e attore Robert Benchley: “Mi ci sono voluti quindici anni per scoprire che non avevo alcun talento per la scrittura, ma non potevo rinunciarvi, a quel tempo ero troppo famoso”.
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Insomma, cose di buon gusto e di buon senso, i buoni consigli di una casalinga, di una prozia in vena di eccitazioni. Ci sono però un paio di cose che la Rowling dice, di un certo interesse. La prima è astrale. “Non riesco davvero a separare la ‘vita’ dalla ‘vita da scrittore’, è più un bisogno che un amore”. Chi scrive è impastoiato nel groviglio della scrittura – fino a rischiare afasia e soffocamento. E poi. “Non sopporto le liste, non sopporto chi mi dice cosa ‘devi fare’, nella vita e nella scrittura. Qualcosa si ribella in me quando qualcuno mi dice cosa devo fare e come devo comportarmi per avere successo. La verità è che ho avuto successo andando in una direzione che per la maggior parte delle persone era un vicolo cieco, rompendo tutti gli schemi della narrativa per ragazzi che funzionava negli anni Novanta, quando i protagonisti maschili erano fuori moda e la scuola era un anatema e nessun libro ‘per bambini’ doveva essere più lungo di 45mila parole”. Scrittura è rompere gli schemi. Banale ma vero. C’è più sale in J.K. che nella Scuola Holden, che nella scolarizzazione degli scrittori italici. (d.b.)