In un breve aforisma di Del pensare breve, Manlio Sgalambro accusa gli studiosi di insegnare Schopenhauer solo «per divertire», intendendo così che la grandezza filosofica del saggio di Francoforte è sminuita fino al ridicolo. Non che lo scrittore siciliano, pur uno schopenhaueriano professo, abbia reso miglior servizio all’autore della Welt. Ma per lo meno ebbe ragione nel rilevare questa stortura. Salvo rarissimi casi, infatti, Schopenhauer è preso assai poco sul serio ed è sempre fatto passare per una prefica, così come Leopardi, al quale per lungo tempo si è negata persino dignità filosofica.
Chi però non si lascia irretire dagli impiegati statali e dagli improvvisatori, conosce bene la profondità e la ricchezza di Schopenhauer, e lo tratta con l’attenzione e il rispetto dovuti. È il caso di Alessandro Novembre, segretario della sezione italiana della Schopenhauer-Gesellschaft e autore di un poderoso e stupendo lavoro dedicato al Giovane Schopenhauer (Mimesis Editore), vòlto a ricostruire la genesi della metafisica della volontà sin dai primi passi. Ed è così che uno studioso dal nome autunnale rinverdisce i languenti, almeno in Italia, studi schopenhaueriani.
L’opera è la rielaborazione della sua tesi di laurea e sebbene ogni tanto Novembre si esprima in maniera inutilmente complicata e la faccia troppo lunga, si tratta di un lavoro che dovrebbe leggere e anzi studiare non solo qualsiasi schopenhaueriano, ma anche qualsiasi appassionato di filosofia. Novembre conosce bene il tedesco e può così attingere a una ricchissima bibliografia ancora più vasta di quella disponibile nella nostra lingua. Inoltre ogni tanto corregge qualche traduzione della bibliografia nostrana, il che non guasta. Ma i suoi due maggior meriti sono anzitutto aver posto e affrontato in maniera approfondita un tema di notevole importanza; e in secondo luogo, di farsi leggere con notevole slancio. Non è facile trattare certi argomenti in maniera così spigliata, a tratti persino appassionata, e ciò nonostante espositivi i difetti cui accennavo.
C’è un punto del Giovane Schopenhauer da rilevare e a cui vorrei aggiungere qualcosa.
Novembre dimostra che Schopenhauer, al contrario di altri, è come se avesse sperimentato su di sé l’esistenza della volontà e che quindi il cuore del suo pensiero non provenga da congetture, ghiribizzi, ipotesi, tentativi o da pregiudiziali teoretiche, bensì per così dire dal di dentro. Venne poi il percorso chiarificatore, che, seppur relativamente breve (il filosofo pubblicò il suo opus magnum a nemmeno trent’anni) non fu facile. Mutatis mutandis Schopenhauer compì a un dipresso il medesimo percorso di certi mistici d’Occidente e d’Oriente ed è per questo che quando incontrò Meister Eckhart, i Veda e il buddhismo saltò sulla sedia. Ma il filosofo di Danzica non si limitò, come quelli, a lanciare messaggi criptici e che si prestano alle interpretazioni più bislacche. Cercò invece un fondamento concreto e solido alla sua visione del mondo. Diciamola così: egli si provò a coniugare sapienza orientale e scienza occidentale.
Ma perché ci si dovrebbe immergere in un’opera simile?
La risposta è semplice e complessa a un tempo e bisogna tornare a ciò che dicevamo all’inizio.
La filosofia di Schopenhauer è molto più “scientifica” di quanto si creda e non è affatto una specie di prontuario esistenzialistico da sfoderare all’occasione per suscitare scalpore o, appunto, per divertire, come quasi sempre accade anche da parte di insospettabili studiosi. Alla breve, Schopenhauer non è un Cioran. E crea davvero imbarazzo dover dire qualcosa che pur essendo sotto gli occhi di tutti viene bellamente ignorato.
Ci si ricordi che il filosofo non si accostò da subito alla filosofia, ma studiò dapprima medicina, e che dopo la pubblicazione del Mondo, come attesta la Metafisica della volontà, tenne dietro ai più aggiornati studi delle così dette scienze esatte per dimostrare la fondatezza del suo pensiero centrale: la volontà quale essenza del mondo. A conti fatti Arthur Schopenhauer, nonostante alcune aporie teoretiche e nonostante alcuni errori commessi a causa dell’arretratezza delle suddette scienze, è uno dei pochissimi filosofi, e sicuramente il primo dopo Kant, a prendere in considerazione la realtà concreta dell’esistenza e che non si lasci imbambolare da certe chiacchiere religiose o dai «sogni di un visionario», che poi sono la stessa cosa.
In conseguenza di ciò, trarrebbero giovamento dal pensiero schopenhaueriano anche gli scienziati medesimi. Ma anch’essi hanno le fette di salame sugli occhi e gli orecchi intasati di cerume. Ecco due esempi eloquenti.
In un recente libro di Arnaldo Benini e intitolato Neurobiologia della volontà (Raffarello Cortina Editore), l’autore cita volentieri, oltreché ovviamente scienziati, anche filosofi, tra cui Hume e – io lo considero tale – Edgar Allan Poe: ma il nome di Schopenhauer non compare nemmeno una volta. Caso ancor più sconcertante è Daniel Wegner, forse il più celebre studioso, come si titola un suo libro, dell’Illusione della volontà cosciente (in Italia stampato da Carbonio Editore). Ma come sia possibile occuparsi di coscienza e di volontà senza riferirsi a Schopenhauer è un mistero, o per meglio dire: una vergogna, che mette a nudo la sprovvedutezza e la saccenza di certi scienziati. Non ci si dimentichi mai che la filosofia senza la scienza è zoppa, ma la scienza senza la filosofia è cieca. Roger Penrose, uno dei matematici e fisici più geniali del nostro tempo, non si perita di ammettere di essere un platonico, e così Paolo Zellini. Ho citato Penrose perché credo che un incontro tra lui e Schopenhauer potrebbe essere fecondo.
Certamente ci sono plurimi momenti nel pensiero di Schopenhauer che possono far storcere il naso a molti, a cominciare dal concetto di noluntas, che per l’appunto rischia di restare ed essere soltanto un concetto, quindi un prodotto della mente, e non una realtà pratica. Chi abbia un po’ di dimestichezza con certa letteratura spirituale e soprattutto con gli ambienti connessi, sa benissimo che, se non per brevi istanti e in condizioni favorevoli, è possibile ottenere quel distacco, per dirla con Meister Eckhart, necessario a passare indenni dalle tempeste della vita. Sarò stato distratto o sarò ottuso, ma in tanti anni non ho mai veduto nessun predicatore di siffatta attitudine, taluni anche considerati dei “maestri”, metterla in pratica, anzi: erano più identificati e invischiati col mondo e con le loro elucubrazioni di un bazzicabarbieri o di un camallo. D’altra parte lo stesso Schopenhauer disse: «Ho detto cosa è un santo ma io non lo sono». Almeno era onesto.
Prima di togliere il disturbo vorrei rilevare alcuni “dettagli” bibliografici per dimostrare una volta di più quanto Schopenhauer sia snobbato dagli “addetti culturali”, siano essi professori di accademia (e con loro Schopenhauer se l’è cercata con La filosofia da università: ma a giusta ragione!), editori e sedicenti colleghi. Se infatti di un Nietzsche, di un Marx, di uno Heidegger, per non parlare di un Sartre o di una de Beauvoir, hanno tramandato persino i conti del droghiere, le passeggere ubbie e anche le imprese d’alcova, una vastissima parte del materiale schopenhaueriano è ancora inedita in lingua italiana.
Si pensi che l’Adelphi iniziò a pubblicare il Nachlaß, ossia il lascito, solo nel 1994 e fino ad oggi ne sono usciti – peraltro a prezzi proibitivi per un filosofo che voleva farsi leggere da tutti – soltanto il primo e il terzo, quest’ultimo nel 2006. L’epistolario, documento essenziale per penetrare nella testa di chiunque, scarseggia: abbiamo quello, assai istruttivo, con la madre e la sorella Adele (La famiglia Schopenhauer, Sellerio) e quello ancor più importante con i discepoli, pubblicato in due tomi da Pensa Multimedia di Lecce, che è una miniera quasi senza fondo, anche grazie al bel saggio del curatore, Domenico M. Fazio.
In compenso pullulano certe diavolerie editoriali in cui si tentano antologie e “strappi murali”, quando è risaputo o dovrebbe esserlo, che Schopenhauer detestava simili sgangheratezze e che il suo pensiero deve essere colto nella sua interezza, altrimenti è meglio leggere un romanzo da diporto. E dire che i nostri tempi, dal punto di vista sia morale sia teoretico, trarrebbero un incommensurabile beneficio da una lettura sistematica e attenta di Schopenhauer. Il lavoro di Alessandro Novembre lo dimostra ampiamente. E buona lettura a chi ha orecchi per intendere.