“Non dobbiamo salvare il mondo”. Friedrich Dürrenmatt, l’amministratore del caos
Letterature
Alessio Trabucco
In Wilhelm c’erano delle profondità da lui stesso insospettate, qualche elemento remoto dei suoi pensieri gli suggerì che il compito della vita, il vero compito – portare il proprio fardello, provare vergogna e impotenza, sentire il sapore di quelle lacrime rattenute –, il solo compito importante, il più alto compito era proprio quello.
Grande scrittore Saul Bellow, premio Nobel per la letteratura nel 1976, nato in Canada da genitori russi e poi trasferitosi a Chicago. Ai miei occhi la sua maggiore qualità è quella che si evince dalle parole appena riportate: i fallimenti sono tanto importanti quanto i successi. È una citazione tratta da La resa dei conti, pubblicato nel 1956, uno dei suoi romanzi più significativi, ma, non so perché, meno ricordati. Il titolo originale inglese sarebbe Seize the Day, che letteralmente potrebbe essere tradotto con Cogli l’attimo, ma una volta tanto trovo che il titolo adottato nell’edizione italiana sia più significativo perché esprime meglio il senso del libro in questione e ancora di più quello di tutta l’opera narrativa di Bellow, che per molti versi è l’antitesi della rappresentazione dell’eroe americano per antonomasia, quello che lotta e si batte con tutte le proprie forze per affermarsi e conquistare il successo.
La resa dei conti è la storia di un quarantenne separato e senza lavoro, alle prese con il fallimento della propria vita, un tema ricorrente anche in molti altri romanzi di Bellow, dove ritroviamo il protagonista dopo una serie di scelte sbagliate alle prese con la dura realtà, obbligato a guardarsi allo specchio e a fare i conti con se stesso, costretto appunto a una sorta di resa dei conti. Constatata la propria sconfitta di fronte a un mondo sempre più inconcepibile, l’eroe di Bellow reagisce in vari modi: per esempio Herzog, protagonista dell’omonimo romanzo, si rinchiude in una vecchia casa di campagna e comincia a scrivere lettere che non spedirà mai, alla sua famiglia, agli amici, ai giornali; Tommy Wilhelm, il protagonista della Resa dei conti, invece si lascia andare alla deriva, facendosi umiliare dalla ex moglie che continua a spremergli sempre più soldi, da un falso amico che lo coinvolge in affari sballati che lo ridurranno sul lastrico e soprattutto dal padre, suo vero contraltare; già perché mentre il figlio è sempre stato un sognatore incapace di accettare la realtà quotidiana, il padre è la personificazione di un sano e concreto pragmatismo. Ça va sans dire, che ogni riferimento al rapporto di Franz Kafka con il proprio padre non è affatto casuale.
Per riuscire a sopravvivere Tommy Wilhelm deve nascondere tutte le sue debolezze, i suoi sentimenti più veri. Uno sforzo immane per un uomo come lui. Leggendo il libro seguiamo il suo calvario durante una giornata qualunque a New York, passando da un grande albergo alla Borsa, per ritrovarlo alla fine sempre più solo, perso tra la folla della metropoli. Nelle ultime pagine del romanzo troviamo una descrizione splendida e struggente di quel senso di estraneità alla vita, agli altri, che forse qualche volta è capitato di provare anche a noi, magari proprio camminando per le strade di una grande città:
«E la grande, grande folla, la inesauribile marea di milioni di persone di ogni razza, si riversava sulla strada, si spingeva e si affrettava, di ogni età, di ogni tendenza, in possesso di ogni segreto umano, antico e futuro, in ogni faccia il perfezionamento di un particolare motivo o essenza: Io lavoro, io spendo, io lotto, io penso, io amo, io tengo stretto, io do, io invidio, io bramo, io disdegno, io muoio, io nascondo, io chiedo. In fretta, molto più in fretta di quanto qualsiasi uomo possa contare. I marciapiedi erano più larghi di tutti gli altri marciapiedi; anche la strada era immensa, e oscillava e scintillava e sembrava a Wilhelm che vibrasse fino al limite della sopportazione».
Tommy Wilhelm è un uomo trafitto dal dolore e dall’impotenza, sgomento davanti alle ridicole certezze e ai falsi valori di chi gli sta intorno, frastornato da una società che contiene tutto e il contrario di tutto, dove diventa impossibile distinguere quello che vale veramente. Un uomo costretto ad ammettere che nella sua vita ha fallito, nudo di fronte ai propri limiti, ma anche consapevole per la prima volta che forse il senso della vita è proprio negli errori.
Sì, perché nascosta tra le righe sembra muoversi la sensazione che il fallimento completo vuol dire anche liberazione dall’obbligo del successo a tutti costi e dalla schiavitù di tanti falsi ideali. E allora, dopo tanto buio alla fine, in lontananza, Tommy Wilhelm riesce a vedere una fioca fiammella di luce tremolante. Forse.
Silvano Calzini