Da quando sono a Parigi, mi succedono strane cose nei confronti di Sartre.
A Buenos Aires lo ammiravo da tempo. A tu per tu con i suoi libri e con la superiorità del lettore, visto che, volendo, potevo liquidarlo con una smorfia, mi ero trovato costretto a temerlo come si teme qualcuno più forte di noi. Ma a Parigi mi appare addirittura come una Tour Eiffel sovrastante l’intero panorama.
La cosa è cominciata quando – per curiosità – ho deciso di verificare in quale misura l’intelletto francese abbia assimilato l’esistenzialismo sartriano… Portando la conversazione su Sartre, sondavo discretamente scrittori e non-scrittori sulla loro conoscenza di L’Essere e il Nulla. Le mie indagini hanno prodotto strani risultati. Innanzitutto è venuto fuori (come del resto mi aspettavo) che quelle idee popolavano, sì, le teste francesi, ma allo stato larvale, attinte un po’ qua e un po’ là, soprattutto dai suoi romanzi e dal suo teatro: vaghe e frammentarie nozioni circa l’“assurdo”, la “libertà” e la “responsabilità”, da cui comunque pareva evidente che in Francia L’Essere e il Nulla era un’opera quasi sconosciuta… Il seguito delle mie osservazioni non è stato meno interessante. Sono stato colpito dall’antipatia con cui se ne parla: forse, più che con antipatia, con un sotterraneo desiderio di uccidere. “Sartre? Ah, sì, ma ormai non fa che ripetersi!”. “Sartre? Certo, certo, ma ormai è roba datata…”. I suoi romanzi? I suoi drammi? “Sostanzialmente non sono che illustrazioni delle sue teorie”. La sua filosofia? “Nient’altro che la teorizzazione della sua arte”. “Sartre? Come no, però ora basta, non la smette più di scrivere e poi è uno sporcaccione, non un poeta, e poi tutta quella politica… Praticamente Sartre è finito su tutti i fronti”.
La cosa mi ha dato da pensare… Nella nostra ammirazione per gli artisti c’è una buona dose della bontà della vecchia zia che complimenta il bambino per non mortificarlo: l’artista è riuscito a entrare nelle nostre grazie, si è a tal punto conquistato la nostra simpatia che ammirarlo ci rende felici e il non ammirarlo ci costerebbe troppo. Lo si vede chiaramente nel modo in cui i francesi trattano Proust, nutrendolo a zuccherini perfino nella tomba: se li è conquistati. Sartre, invece, a quanto mi risulta, è l’unico grande artista contemporaneo che sia personalmente detestato. In paragone alla sartriana montagna di rivelazioni, un Borges d’Argentina è un brodino per letterati. Ma Borges lo coccolano, e a Sartre danno addosso… Solo per ragioni politiche? Sarebbe una meschinità imperdonabile! Meschinità? E se questa animosità fosse solo una questione di meschinità e non di politica? Che Sartre sia odiato perché è troppo grande?
…Lui era l’energia liberatrice, l’unica capace di salvarli dalla bruttezza – anzi, dirò di più: la bruttezza francese accumulata per secoli negli appartamentini, dietro alle tendine, tra i bibelot e ormai incapace di sopportare se stessa, aveva espresso Sartre come un minaccioso messia… era l’unico che potesse distruggere tutti quei loro ristoranti, salotti, cilindri, gallerie, cabaret, feuilleton, teatri, tappeti, foulard… ridurre in cenere il Louvre, gli Champs-Élysées, e le statue, e place de la Concorde al tramonto! E il Bois de Boulogne! Invece di sembrarmi scandaloso, trovavo ammirevole che quella filosofia fosse nata in un francese fisicamente non attraente, ma dotato di una così appassionata sensibilità artistica. Chi più di lui aveva il diritto di pretendere il ritirarsi dietro l’oggetto, dietro il corpo, addirittura dietro l’“io”, nella sfera del pour soi, dove si esiste per se stessi?
Sartre, non Proust! L’impotenza di Proust in confronto alla potenza creatrice di Sartre! Come fanno a non vederla? Metà delle deduzioni in L’Essere e il Nulla mi appaiono inaccettabili, non corrispondono alla mia più profonda esperienza di vita e sono convinto che il suo cogito non possa restare nel suo assolutismo; malgrado la sua unicità, richiede un qualche altro principio complementare altrettanto fondamentale e antinomico – giacché è evidente che, nella sua applicazione pratica, questo pensiero pecca gravemente di unilateralità: è come se un dio bifronte venisse privato di una delle sue facce. È solo una mezza verità. Per me Sartre, come moralista, psicologo, esteta e politico è solo la metà di quello che dovrebbe essere… Comunque, è lui, e nessun altro, quello che sfonda le porte chiuse. Quello che in Proust e in tutta la letteratura francese è una continuazione, ma ormai vicina alla fine, in Sartre assume il carattere di un inizio, di una partenza.
Io, polacco… io argentino… slavo e sudamericano… io scrittore sperduto a Parigi e desideroso di un pungiglione con cui punzecchiarli… io, malinconico amante di un passato scomparso… cercavo di allearmi con Sartre contro Parigi. Ed ero fortemente tentato di fare loro lo scherzo di elevare e distinguere qualcuno che avevo già archiviato.
Witold Gombrowicz
*Il testo è tratto da: Witold Gombrowicz, “Diario. Volume II (1959-1969)”, Feltrinelli, 2008