Gli scrittori sono tra gli amanti più mediocri che ti possano capitare: vivono per capitoli. Ne è convinta la sensuale e matura Siga D., una scrittrice senegalese di una bellezza mischiata al dolore, con un “corpo impudico, provato e disapprovato, un corpo senza durezza, ma non spaventato dalla durezza del mondo”. L’angelo nero della letteratura senegalese, il “Ragno madre”, è il personaggio che più seduce del particolarissimo romanzo premio Goncourt 2021 La plus secrète mémoire des hommes, apparso in Italia grazie all’editore e/o e alla traduzione di Alberto Bracci Testasecca: La più recondita memoria degli uomini del giovane Mohamed Mbougar Sarr (nato a Dakar, in Senegal, nel 1990). Mohamed Mbougar Sarr ha pubblicato già tre romanzi, Terra violata (edizioni e/o, premio Ahmadou-Kourouma e Grand Prix du roman métis), Silence du choeur (Présence africaine 2017, premio Littérature-Monde – étonnants Voyageurs 2018) e De purs hommes (Philippe Rey/Jimsaan 2018).
Perché siano amanti mediocri gli scrittori è presto detto: anche sul più bello hanno in testa solo la scrittura, il loro vero amore.
“Perché mentre fanno l’amore pensano già alla scena che quell’esperienza ne fa o ne farà, ogni loro colpo di reni è indebolito da una frase. Se dico qualcosa durante l’amore mi pare quasi di sentire i loro ‘mormorò lei’. Vivono in capitoli. Le loro parole sono precedute da virgolette”.
L’io narrante del romanzo di Sarr è uno scrittore, Diégane Latyr Faye, un giovane africano trapiantato a Parigi, alle sue spalle un breve romanzo Anatomia del vuoto, pubblicato da un editore di nicchia, ma non molto conosciuto. Insomma: qualcosa di vagamente autobiografico, “l’ennesimo nuovo giovane scrittore carico di promesse”. Una ennesima promessa della letteratura africana francofona. Tuttavia, al centro del romanzo c’è un altro romanzo, il leggendario Il labirinto del disumano dell’altrettanto mitico-fantomatico T.C. Elimane. Perché nel cuore del romanzo che ha conquistato il Goncourt nel 2021, c’è la letteratura, eterna chimera ed eterno richiamo, il sogno proibito di un libro che possa davvero cambiare, sconvolgendo, la vita di chi lo legge.
In questo caso, accanto all’idea di un unico libro, c’è anche un autore da stanare, scoprire, scovare, un “Rimbaud negro” dietro la cui misteriosa esistenza, ammantata di enigmi, si srotola un destino e una storia, da rileggere e ritrovare pescando carte d’archivio. Chi è davvero Elimane? Un fantasma:
“Non si incontra Elimane. Ti appare. Ti attraversa. Ti congela le ossa e ti brucia la pella. È un’illusione vivente. Ho sentito il suo fiato sulla mia nuca, un fiato venuto fuori dai morti”.
Leggere può essere un’avventura sconvolgente, che annienta e annichilisce.
“I grandi libri impoveriscono e devono sempre impoverire. Rimuovono da noi il superfluo. Dalla loro lettura usciamo sempre privati di molte cose: arricchiti, ma arricchiti per sottrazione”.
Leggere è una sbornia. Ma anche rileggere non è un cammino agevole. Il libro ti sfinisce. “Inesauribile, mi scruta e brilla come un cranio in un cimitero di notte” scrive Diégane nel suo diario estivo, a luglio 2018. Di un libro di quel livello, o di quell’unico libro, non si può nemmeno raccontare la trama o la storia. Il Labirinto del disumano inizia con questo incipit: “In origine c’era una profezia e c’era un Re, e….”.
“Volevo raccontargli la storia del libro, o almeno l’insignificante parte di cui ero al corrente, ma capii subito che la storia stessa non me l’avrebbe permesso, perché formava un racconto cannibale i cui denti mi rosicchiavano dall’interno. È al tempo stesso una storia impossibile da raccontare, da dimenticare e da tacere. Ma che fare di ciò che non è raccontabile né dimenticabile né riducibile al silenzio? Wittgenstein ha scritto qualcosa in proposito? Sì, ha detto che su ciò di cui non si può parlare è bene mantenere il silenzio”.
Diégane soffre e confessa al suo amico il libro-tormento-letteratura. “Io non avevo nessuna voglia di soffrire e neanche di morire, così dissi quel che sapevo, in realtà ben poco, e quando smisi di parlare non mi sentii sollevato o triste, ma semmai dolorante nel corpo e nell’anima, come se quel frammento di esistenza pesasse tonnellate e millenni, e la massa della sua età si fosse abbattuta sul mio essere mentre cercavo di raccontarlo”. Il Labirinto del disumano, esattamente come la letteratura, è anche incompiuto, dolorosamente. La letteratura visita lo scrittore, sotto le sembianze di una donna dalla bellezza terrificante.
“Farfugliai che la stavo cercando. Lei si mise crudelmente a ridere e disse che non apparteneva a nessuno. Mi inginocchiai, la supplicai: Passa una notte con me, una sola, miserabile notte. Scomparve senza una parola. Determinato e borioso, la inseguii: Ti prenderò, ti metterò a sedere sulle mie ginocchia, ti obbligherò a guardarmi negli occhi, sarò uno scrittore! Ma nel percorso notturno arriva sempre quel terribile momento in cui risuona una voce che ti colpisce come un fulmine rivelandoti o ricordandoti che la volontà non basta, che il talento non basta, che l’ambizione non basta, che essere una buona penna non basta, che aver letto molto non basta, che essere famoso non basta, che possedere una vasta cultura non basta, che l’impegno non basta, che la pazienza non basta, che inebriarsi di vita pura non basta, che allontanarsi dalla vita non basta, che credere nei propri sogni non basta, che disossare la realtà non basta, che l’intelligenza non basta, che commuoversi non basta, che la strategia non basta, che la comunicazione non basta, che non basta neppure avere cose da dire e non basta il lavoro accanito”.
Perché non basta niente di tutto ciò che potrebbe essere una condizione, un vantaggio. Quando si tratta di letteratura, non basta nessuna di queste qualità perché scrivere esige altro. Ecco dunque che il giovane Diégane, alter ego del giovane Sarr, promessa della letteratura francese di origine africana, arriva a capire, lui che pure con queste stesse parole ha conquistato il prestigioso premio Goncourt, che non serve e non giova alla letteratura il corollario letterario della vanità. Scrittori
“troppo pigri per pensare e pensarsi attraverso la letteratura, troppo asserviti ai premi letterari, alle lusinghe, alle cene mondane, ai festival, agli assegni e ai circuiti per cercare di truccare o inceppare la letteratura perbene, troppo scadenti come lettori o troppo amici per leggersi reciprocamente e dirsi con coraggio le cose che non funzionavano, troppo pusillanimi per osare una rottura attraverso il romanzo, la poesia e nient’altro: diari zero, saggi zero e mezzo, fantascienza e gialli zero sbarrato, il teatro se la cavava molto meglio”.
Ma allora che razza di romanzo è La più recondita memoria degli uomini? Nella profezia del Labirinto del disumano si dice che il sovrano otterrà il potere assoluto in cambio di un sacrificio: uccidere e bruciare gli anziani del regno. In cambio di queste morti crescerà una fitta foresta mostruosa: il labirinto del disumano. È la metafora della letteratura di quattrocento e rotte pagine, forse un affresco, certamente un’allegoria, la ricerca labirintica e il ricordo senza pace di un’ombra fra le ombre di un passato che si fa presente e che non potrà mai più tornare in vita.
Questo romanzo non parla di niente. È tutto il resto. È letteratura.