25 Novembre 2018

Sara Moroni balla e vuole fare l’ambasciatrice: il suo viso ci ricorda le poesie piene di fierezza e nostalgia dell’antico Oriente. “A un tratto vederci è come entrare in un sogno…”.

Secondo il mito Clizia è una ninfa che si innamora del Sole, tanto che “il suo amore per il Sole era sfrenato”. La passione verso l’entità irraggiungibile strugge Clizia finché la ninfa, come narra Ovidio nelle “Metamorfosi”, si trasforma in girasole, il fiore che si muove guardando l’astro che nessun occhio umano può vincere né sostenere. “Malgrado una radice la trattenga, sempre si volge lei verso il suo Sole e pur così mutata gli serba amore”. Clizia, figura terrena dell’amore solare, sfrontato e immutato, viene ripresa da Eugenio Montale, in una delle sue liriche più belle, “La primavera hitleriana”: “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi”. Questa è la ragione del titolo che abbiamo assegnato a questa rubrica, ‘Clizia’: la bellezza in ogni sua variante, la solarità di un viso, ci portano al concetto di un amore immutabile, che non cambia mentre ogni forma, preda del divenire, morsa dal tempo, inevitabilmente muta. L’amore che non muta è ciò che permette all’uomo, tramite la visione di una forma vana, di vincere la morte.

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Sara MoroniUn viso è come un paesaggio, è una geografia; studiare un viso richiede la capacità di chi sa, dal palmo di una mano, trarre auspici, filare un destino. Di un viso conquista ciò che sfugge, ciò che non si articola in aggettivi – bello, brutto, nobile, spavaldo – per questo di Sara Moroni affascinano gli occhi, che hanno guizzi d’Oriente, e gli zigomi, che segnalano una vita in avanti, in fuga, a vele aperte. Riminese, Sara si presenta così: “sono una semplice ragazza di quasi 20 anni, ho sempre amato ballare e non credo smetterò mai. Sono una persona super ambiziosa che studia e sogna di sedersi alla scrivania di un’ambasciata”. La foga della vita – il ballo – e la serietà della professione – la scrivania dell’ambasciata. La vita, in effetti, è una danza, radiosa di ambizioni: non esiste contraddittorio o contrasto, ma movimento – dobbiamo imparare i passi della vita. In alcune fotografie, Sara ha l’impronta di una nostalgia remota – come se avesse conficcato una scaglia di anima in un tempo lontano. Nel nostro gioco, avviciniamo un volto a una narrazione, a una poesia. In questo caso, il viso di Sara ci fa andare ai poeti cinesi dell’epoca T’ang, quando i monaci taoisti cavalcavano le tigri e donne dal fascino misterioso, azzurro, dominavano città sospese su pianure infinite e infantili. “Da te mi hanno tenuto lontano il Fiume Azzurro e il mare./ Quante volte monti e fiumi ci hanno divisi./ A un tratto vederci è come entrare in un sogno,/ insieme turbati uno all’altro chiede, ‘dove sei stato?’”. Anche questo è vivere: ritornare a un amore di cui si era dimenticato il senso, chiedere dove sei stato? Prima di rientrare, fieri, nell’infinito.

*Le fotografie sono realizzate da Antonio Tonti.

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