“Ti cerco dietro il buio degli occhi”. Il mistero del padre: una lettera a Silvio Perrella
Poesia
Vincenzo Gambardella
Eppure non me la raccontano giusta. Quando vedo che la stampa si concentra con singolare attenzione su un caso, dubito che lo faccia senza un secondo fine. La realtà dei fatti è, nella lettura che se ne dà, il miglior veicolo di una certa idea. Nella fattispecie dell’omicidio di Latina, in cui un carabiniere, padre di famiglia, ha fatto fuori moglie e figlie, gli eventi giocano evidentemente a favore di una certa ideologia imperante che vorrebbe screditare il concetto di famiglia. Naturalmente, la cosa è sottile e silente, non manifesta. Non si dice in modo chiaro. È piuttosto il sottotesto, il messaggio che si evince e che arriva, come il veleno nella pietanza, quando oramai la si è già ingerita. È come il presunto studio scientifico, che sta girando in questi giorni in rete, secondo cui i figli toglierebbero alle donne più di dieci anni di vita. Anche la scienza, si sa, e tutta la sua storia ne è una prova, non è aliena al condizionamento ideologico.
È mia convinzione che questa società ultraliberista abbia un piano segreto, magistralmente perpetrato dai suoi intellettuali organici e dagli scribacchini del potere. Questo progetto, che si potrebbe sintetizzare nel titolo di una delle più note opere del pensiero europeo, ovvero Il tramonto dell’Occidente, sta nel distruggere, frammentare, sminuzzare e poi far disperdere dal vento il tessuto sociale su cui ci siamo retti per millenni. Loro ci vogliono così: atomizzati. È un processo sibillino che va avanti da decenni. La sua forza sta nell’essersi schermato dietro cause apparentemente nobili. Il Capitale riesce spesso a compiere di simili prodezze. Addirittura, come nel ‘68, incanala e guida, a suo piacimento, certi moti spontanei della società, spegnendoli lentamente nella loro carica eversiva e scatenando le loro peggiori forze latenti. Sicché, per intenderci, il comunismo e i diritti sociali vengono mandati allo sfascio, ma si utilizza la banderuola della libertà sessuale per attuare uno schema di distruzione che altrimenti non avrebbe avuto seguito. In fondo la lotta di quel periodo è servita al potere proprio a questo, a scatenare l’individualismo borghese.
L’ultimo stadio di questo triste calvario dell’umano è distruggere il suo collante finale, la famiglia. L’individuo assoluto che ne verrà fuori – per usare un’alta espressione che nasconde il nulla sostanziale di questo nuovo essere – sarà il miglior consumatore possibile. Privo di legami e vincoli, a questa creatura allucinata, con gli occhi iniettati di libertà alla stregua di un cocainomane, non rimarrà che spendere, consumare e consumarsi, spingere la dissipazione e l’entropia sociale al massimo. Come si suol dire di questi tempi, mutuando una eloquente espressione inglese, “like there’s no tomorrow”. E, in effetti, viviamo un po’ tutti così, nella disperazione che porta all’estremismo spericolato del “come se non ci fosse un domani”.
Alla luce di tutto ciò, non suona strano che si spinga verso una certa immagine di famiglia intesa come retaggio barbaro, o errore a cui porre rimedio il prima possibile. Pare, insomma, a leggere le notizie, che la famiglia tradizionale sia il laboratorio delle peggiori aberrazioni. Che tutti i padri siano uccisori dei figli, delle madri, delle suocere. Che la famiglia limiti la donna, la spolpi, la squarti, la riduca in fin di vita e poi le assesti il colpo di grazia. Che ogni famiglia sia come la famiglia di Latina. Che non ci siano gli uomini che rimettono la casa ereditata dai genitori alla moglie che li ha abbandonati, per starci con i figli. E pare pure – udite udite – che se non mantieni anche il ganzo che tua moglie si è preso in casa, dopo la separazione, tu non sia ben visto, perché un po’ troppo retrogrado – uno che, per così dire, non sa portare le corna con fare disinvolto e cool. Ovviamente, nessuno si preoccupa delle carenze economiche che sono spesso alla base di simili gesti sconsiderati. Nessuno si prende la briga di ripensare al caro Marx che, giustamente, vede in tutte queste manifestazioni sovrastrutturali della società una diretta conseguenza di fattori economici, quali per esempio, oggi, disoccupazione e precariato. Per farla breve, nessuno si spinge fino a capire che, in condizioni di disagio finanziario, qualunque abbandono, respingimento, e ulteriore schiaffo morale, potrebbero portare a conseguenze tragiche che non si verificherebbero in situazioni normali.
Signore e Signori, noi stiamo per morire e la cosa bella è che sarà indolore, come una dolce morte – tanto è solo questione di tempo, prima che venga introdotta. Non dovremo neanche lottare perché non sappiamo più farlo, perché ci hanno detto che “tutto, ma non la violenza”, così da potersi risparmiare la dura e sanguinolenta coercizione dei vecchi regimi. Godetevela, godetevela la libertà che vi hanno dato, quella innocua fune a cui, a furia di giocare, vi troverete impiccati.
Matteo Fais