22 Marzo 2019

“Ho riportato Limonov in Occidente, lotto contro Amazon e vi racconto perché senza Stalin non esisterebbe Israele”: dialogo con Sandro Teti, un personaggio degno di John le Carré

Piuttosto scapigliato, sorriso sornione, occhi che puntano a una pianura solcata dagli Sciti. Sandro Teti è inafferrabile – anche per contattarlo, devi compiere un sillogismo tra mail, cellulare, voce. Quando lo incontro, per provvidenziale fatalità, a Varese, è appena tornato da Baku, Azerbaigian, e si inalbera per la vicenda di Aleksandr Dugin, il filosofo russo censurato da Amazon, che ha deciso di non vendere più le sue opere. Un precedente vergognoso (su Amazon, per dire, puoi acquistare tranquillamente il Mein Kampf di Hitler). Di Sandro Teti so che con la sua casa editrice, con sede a Roma, ha pubblicato Zona industriale di Eduard Limonov, che è stato ‘il caso’ della scorsa stagione, ma lui mi dice “sai che ho appena pubblicate una antologia delle Poetesse azerbaigiane”? Formidabile, dico. Poi mi parla del prossimo romanzo di Limonov che sta per pubblicare, Il Boia, della sua prima vita – o la terza o la quinta – passata nell’allora Unione Sovietica, presso l’agenzia stampa Novosti, e del Baku International Multiculturalism Centre, di cui guida la filiale italiana. Già che c’è, mi passa un libro, Il manoscritto incompleto, scritto da Kamal Abdalla, super intellettuale azerbaigiano, una specie di Nome della rosa di laggiù – per altro, è piaciuto pure a Eco –, con la prefazione di Franco Cardini. L’ho detto, Sandro Teti – che fa l’editore per amore e passione e guadagna come consulente per i paesi post-sovietici – è un personaggio inafferrabile, ci vorrebbe un Carrère per identificarne la carriera, o un John le Carré, è meglio. Il padre, Nicola Teti, stampava Il Calendario del Popolo, rivista storica – nasce nel 1945 – legata al Pci, ora editata dal figlio, il quale pubblica, nel catalogo polimorfico, Masse armate ed esercito regolare di Giap, lo stratega militare vietnamita, le memorie del Premio Nobel per la fisica Žores I. Alfërov, un libro sulla Transiberiana e uno su Aleppo. Guerra e diplomazia, e il fatidico Perché Stalin creò Israele, di Leonid Mlečin – con scritti di Luciano Canfora, Enrico Mentana, Moni Ovadia a stornare i pregiudizi – che “pone in risalto una verità inconfutabile: senza l’Unione Sovietica guidata da Stalin probabilmente lo Stato d’Israele non avrebbe visto la luce. Perché Stalin creò Israele si basa sui documenti originali ora desecretati dagli archivi del Politbjuro e del Comitato centrale del Partito comunista, dei servizi segreti e del ministero degli Esteri dell’Unione Sovietica”. Qualcuno, sapendo che vorrei attraccare in Novaja Zemlja alla folle ricerca della Zembla di Vladimir Nabokov, ora territorio militare che s’incunea nel mare Artico, mi tocca dentro, chiedi a Teti con lui in Russia vai dappertutto. Poi parliamo di sciamanesimo, di poeti, di Azerbaigian, che per me è un nome che evoca Alessandro Magno. Sto bene, nella bruma dell’enigma. (d.b.)

Amazon censura i libri di Aleksandr Dugin, autore che per altro ti appresti a pubblicare. Come mai? Cosa sta accadendo? Rischiamo un regime da Grande Fratello dove a dominare è il “corretto”? Che posizione dovrebbero prendere gli editori?

Il caso Aleksandr Dugin è di estrema gravità, tuttavia non so se preoccuparmi di più per questo atto di censura o per l’assordante silenzio che lo ha avvolto. Come sai, le due case editrici italiane che hanno pubblicato i suoi libri sono state avvisate da Amazon, con una laconica mail, dell’avvenuta rimozione dal portale di vendita delle opere del filosofo russo.  Tutti i media mainstream italiani hanno ignorato la notizia, di cui si è parlato solo in modo sporadico su mezzi di comunicazione non molto diffusi. Questo costituisce un pericolosissimo precedente, che potrebbe in futuro colpire indiscriminatamente qualsiasi pubblicazione. Di fatto, abbiamo affidato un potere sconfinato a un singolo colosso, che non è tenuto a rispettare criteri di equità nella scelta dei contenuti da vendere e da diffondere. Come sai, io condivido solo una parte delle idee di Dugin. Mi interessa soprattutto la posizione che ha assunto sul conflitto azerbaigiano-armeno e avrei voluto pubblicare un suo libro sull’argomento. Il fatto che Dugin sia considerato di estrema destra, anche se lui respinge questa definizione e sostiene che il concetto di destra e di sinistra è superato, non esime gli editori collocati nell’area opposta dall’insorgere e a dal prendere posizione contro la messa all’indice dei suoi libri. È proprio a loro che mi voglio rivolgere e farmi parte attiva per coinvolgerli nella condanna di questo atto di pirateria.

La tua casa editrice ha rapporti specifici e speciali, con Baku, con la Russia. Che cultura e che aria politica si respirano laggiù?

Questa è una domanda che necessiterebbe di una risposta lunga e articolata. Baku e l’Azerbaigian sono una frequentazione “giovane”, rispetto alla Russia. Iniziò tutto con la conoscenza di Kamal Abdulla, il rettore dell’Università di Studi Slavi di Baku, una delle più importanti al mondo al di fuori della Russia. Con Kamal, affermato scrittore, ho pubblicato due romanzi, entrambi prefati dal professor Franco Cardini, uno dei quali, Il manoscritto incompleto, ha avuto ottima critica in Italia e l’apprezzamento personale di Umberto Eco, con il quale io e l’autore abbiamo avuto il piacere di parlare a lungo nella sua casa di Milano. Ho avuto l’opportunità di conoscere da vicino la ricchezza della cultura e della storia dell’Azerbaigian, un Paese collocato in un’area nevralgica dal punto di vista geopolitico e geostrategico. Dopo Kamal, ho incontrato molti altri esponenti dell’intelligencija azerbaigiana e proprio da questo Paese è iniziato il mio percorso di conoscenza degli altri popoli e culture turcofone. Infatti ho pubblicato testi di autori kazaki, turchi e kirghisi. Sono particolarmente legato alla Russia, avendo lavorato a Mosca all’età di vent’anni, presso l’agenzia di stampa Novosti, che aveva 59 redazioni in altrettante lingue diverse, tra le quali l’italiano. Questa immersione totale nel mondo sovietico – non frequentavo “occidentali” – mi ha molto legato a quella terra. Seguo tuttora quotidianamente gli avvenimenti politici, culturali ed economici, non solo della Russia, ma anche di diversi altri paesi dello spazio postsovietico. Preferisco affrontare singoli temi che generalizzare e per questo non me la sento di rispondere in poche righe alla tua specifica domanda.

Limonov. Stai per pubblicare un suo romanzo. Di cosa parla? E come hai conosciuto Limonov? È davvero un personaggio così difficile?

Il libro Il Boia narra la storia, segnata da due omicidi, di un immigrato polacco di 30 anni che conduce nella New York di inizio anni Ottanta – dove viveva anche Limonov – un’esistenza da loser e che si realizza pienamente solo attraverso il sesso, unico strumento con cui riesce a riscattare la sua condizione di fallito. Il protagonista sottomette le donne dell’alta società newyorkese coinvolgendole in giochi perversi sadomaso, all’insegna della violenza. Conobbi Eduard Venjaminovič nel febbraio del 1992, di fronte a quello che era stato fino a pochi mesi prima il Museo Lenin, a due passi dal Cremlino. Era lì che si radunava l’embrionale ed eterogenea opposizione al regime ultraliberista di Eltsin, a cui partecipavano personalità come Dughin e Anpilov, leader del movimento “Russia lavoratrice”, e militanti anarchici, trotskisti, monarchici, stalinisti.

Il libro che vorresti pubblicare, quello che sei più fiero di aver pubblicato.

Sono sincero, è una domanda a cui non saprei rispondere. Ci sono diversi autori che mi appassionano molto, tuttavia non c’è un testo specifico che sogno di pubblicare. È difficile dire di quale dei miei libri io sia più orgoglioso. Ne cito comunque due. Il libro Zona industriale di Limonov, non tanto e non solo per il suo contenuto, ma per tutto quello che l’ha accompagnato. Sono fiero di essere riuscito a riportare in Occidente Eduard dopo più di vent’anni. Dopo la guerra in Bosnia, infatti, cui aveva partecipato nel 1995 al fianco dei serbi, ha fatto ritorno in Russia, che non ha più lasciato perché prima finì in carcere e poi fu privato del passaporto per lungo tempo. Un altro dei motivi per cui non si è più spostato è stato per la sua paranoia di essere arrestato per avere combattuto nell’ex Jugoslavia. Sono riuscito a convincerlo che, non avendo lui compiuto crimini di guerra, non avrebbe corso alcun rischio e quindi l’anno scorso gli ho organizzato un tour di presentazioni che ha avuto un grande successo: il Salone del Libro di Torino, Roma, Firenze, Pistoia, Ferrara, Milano, il “Barlich” di Varese. Un altro libro a cui sono legato è Perché Stalin creò Israele dello storico russo Leonid Mlečin. Fui molto colpito da questo testo che scovai nella mia libreria preferita di Mosca e che decisi di pubblicare, dopo averlo letto tutto d’un fiato ed essermi confrontato con alcuni miei amici storici. Si tratta di un libro interessantissimo e serio basato sui documenti desecretati del Politburo, dei Servizi segreti e di Stalin, che svelano non solo il ruolo decisivo dell’Urss nel fare approvare dall’Onu la risoluzione che sancì la nascita di Israele, ma soprattutto il massiccio sostegno militare voluto da Stalin per il nascente Stato ebraico, in violazione dell’embargo delle Nazioni Unite. Il testo, che ho tradotto personalmente, ha avuto due edizioni e ha suscitato un notevole dibattito.

Questo è un paese di rari lettori, dove è notoriamente difficile vivere di cultura, figuriamoci facendo il piccolo, tenace editore. Tu come fai?

Come faccio? Tanta passione, tanta fatica e purtroppo, per rendere sostenibile la casa editrice, sono spesso costretto a trasferire i proventi della mia seconda attività, legata alle consulenze che svolgo in alcuni Stati dello spazio postsovietico.

*In copertina: Sandro Teti insieme a Eduard Limonov ostenta il libro che gli ha editato, “Zona industriale”

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