16 Giugno 2023

Sandro Onofri, il vero erede di Pasolini. Il ritorno di uno scrittore indignato e imprescindibile

Se non fosse morto (a 44 anni, per un male incurabile) Sandro Onofri avrebbe raccolto, meglio ovvero più dignitosamente di tutti, il testimone di Pier Paolo Pasolini. Non che Pasolini avesse bisogno di testimoni, essendo già divenuto (ben prima della sua scomparsa) un autore imprescindibile per chiunque intenda accostarsi seriamente alla letteratura italiana. Non in quel senso. Erede, più che testimone. Figlio del medesimo talento e della stessa drammatica urgenza. Della stesse febbre civile, che in nessun altro scrittore italiano ha più raggiunto gli stessi livelli di limpidezza, purezza e disinteressata (soprattutto economicamente) indignazione. 

Un giorno mi tenne mezz’ora al telefono di casa dei miei, che all’epoca era ancora quell’apparecchio goffo e panciuto fornito dalla monopolista SIP. Era il pomeriggio del 9 ottobre 1998, il primo governo di Romano Prodi cadde a causa delle fronde interne di Fausto Bertinotti e delle barricate della sinistra radicale. Continuava a ripetere nella cornetta «non si può, non si può far cadere un governo così! Ma come si fa? Ma non abbiamo capito niente, così facciamo solo il suo gioco… ». Di chi stessero facendo il gioco i detrattori del Prodi I° si deduce abbastanza facilmente, ma Onofri aveva capito prima e meglio dei suoi colleghi del Diario e dell’Unità che non si stava solo verificando un avvicendamento politico ma scrivendo un passaggio epocale. E così sarebbe stato, a conferma del suo intuito per il vento e per le direzioni che avrebbe preso. Questa, forse, la lezione più grande che ha lasciato. Da uomo e narratore. Rinunciando alle protezioni del mestiere, ma mettendo il corpo dello scrittore al servizio del proprio tempo e della propria scrittura. Una militanza totale, oggi quasi nostalgica ma allora reale (e soprattutto autentica).

Quando insieme a sua moglie Marina compì quel lungo e meraviglioso viaggio negli USA, stando lontanissimo dalle città ma avventurandosi nelle pianure e nelle montagne che l’Occidente ignorava quasi per missione, Onofri donò ai lettori il più grande omaggio alla libertà della sua carriera (parola che avrebbe odiato) lettereria. Da quel viaggio nacque Vite di riserva, un fantastico reportage nei posti in cui la presunta cultura suprematista aveva ricacciato le minoranze etniche che pure abitavano quel Continente da molto prima che Colombo ci arrivasse. Avesse potuto, Onofri sarebbe corso a Palos insieme a Massimo Troisi e Roberto Benigni (Non ci resta che piangere, 1984), per provare a fermare le tre Caravelle, per impedirgli di salpare alla volta del Nuovo Mondo. Avesse potuto, Onofri avrebbe aderito al grido di allarme di Greta Tunberg per salvare il pianeta. Sentiva le cose, le avvertiva sulla pelle prima che si verificassero, prima che le raccontasse. Per esempio, aveva intuìto che l’arroganza dell’Occidente avrebbe irrimediabilmente nuociuto del resto del mondo. Ecco perché ritengo che Sandro Onofri avrebbe potuto essere l’unico figlio, il solo erede (letterario e civile) ufficialmente riconosciuto da Pier Paolo Pasolini. Perché anche quando si è cimentato nella narrativa l’ha fatto raccontando l’Italia che stava cambiando in peggio, avvertendoci del fatto che le cose si stavano mettendo male, che stavano saltando le misure tra gli individui.

Una narrativa in quegli anni sostenuta dalle brillanti analisi interpersonali di Andrea Carraro e Sebastiano Nata, ma anche dall’ultimo Pier Vittorio Tondelli, tuttavia Sandro Onofri era diverso da tutti perché come Pasolini viveva senza filtri e precauzioni, senza distinzioni e protezioni, tutto ciò che gli succedeva – da uomo, nella vita di tutti i giorni, nei corridoi della sua amatissima scuola – diventava magma per poter scrivere dell’avventura in cui si sentiva non protagonista ma tramite. Ecco perché Onofri è stato innanzi tutto un grande testimone, un tramite tra l’oblio che avevamo davanti e la dignità che avremmo potuto (diceva lui) ancora «recuperare». E invece…

Con una scelta editoriale degna delle sigle più attente, Loretta Santini (Elliot) ha deciso di ripubblicare l’intera opera di Sandro Onofri cominciando dal romanzo di esordio Luce del Nord (prima edizione Theoria, 1990). Arricchito da una postfazione di Nicola Fano, il romanzo racconta di un certo Angelo che torna a Roma dagli Stati Uniti, dopo un periodo di 

«inutili tentativi lavorativi ed esistenziali. Nella sua città di origine trova un mondo popolato di padri assenti, amori futili, amicizie superflue; un gran darsi da fare senza la conquista di veri risultati, un girare a vuoto per dimostrare di essere chi magari non si è. Angelo non fatica ad ambientarsi in questa moderna forma di inferno, anzi, si adatta facilmente e riesce a volte a trasformarla in un paradiso. Un paradiso dell’ipocrisia, dove si può essere cattivi sembrando buoni, dove le bugie si trasformano in favole». 

La scrittura fa il resto, rendendo questo esordio un libro di invettive – silenziose ma feroci – contro la classe dirigenziale e politica italiana, che in fondo stava chiedendo alle donne e agli uomini del Paese di arrangiarsi, di provvedere da soli alla composizione di un popolo e soprattutto alla medicazione di ferite sociali che già sanguinavano. 

Luce del Nord seguiranno, cadenzate dai piani editoriali di Elliot, le altre opere di Sandro Onofri. Intorno al quale, oserei dire finalmente, si avvertono un nuovo respiro e un interesse che incoraggiano, dopo anni di dimenticanza colpevole se non addirittura intollerabile. Sta riprendendo vita il premio letterario a lui dedicato, si moltiplicano scuole e biblioteche (soprattutto quelle specializzate in letteratura da viaggio) a lui dedicate.

«Sandro Onofri è stato uno degli scrittori italiani più significativi non soltanto per l’asciuttezza dello stile e per la capacità di portare il lettore all’interno della realtà del suo tempo (gli anni Ottanta e Novanta), ma soprattutto perché ha saputo riconoscere i segnali che anticipavano il nostro. Questa lungimiranza nella visione del mondo e delle relazioni interpersonali rende oggi i suoi romanzi di una modernità sconvolgente, un messaggio di allerta, ancora valido a trent’anni di distanza, su ciò che siamo e possiamo diventare».

Con la speranza che almeno questa riedizione delle opere di Sandro Onofri avvenga in piena consapevolezza e sintonia con lo spirito dell’autore, affinché non si ripetano esperimenti come quelli precedenti in cui la riproposizione delle sue opere si è consumata per meccanica industriale: se c’era una cosa che Sandro odiava era la sciatteria editoriale, convinto com’era che «gli editori possono influenzare l’opinione di un popolo, migliorarla, completarla, per esempio come avviene da sempre in Francia e in Inghilterra…». Parole che lette all’indomani della beatificazione di certi editori che santi non sono stati (e nemmeno gli sarebbe piaciuto) restituiscono la lungimiranza di uno scrittore che sapeva leggere le cose prima che accadessero. Un figlio di Pasolini, uno dei pochissimi che lui avrebbe riconosciuto. 

Davide Grittani

*In copertina: Alberto Sughi, Uomo sul letto, 1962

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