Leggete La donna giusta di Sándor Márai con qualche precauzione, questo libro è una vera e propria educazione sentimentale. La storia pare sempre la stessa: la moglie, il marito, l’altra. La donna giusta (Adelphi, traduzione di Laura Sgarioto e Krisztina Sándor) è un romanzo organizzato per monologhi, la narrazione procede per confessioni, tutti si vogliono confessare, ognuno ha da dire qualcosa in più, la sua versione deve essere quella assoluta perché quella vissuta. In una storia che sembra il solito triangolo amoroso si nasconde in realtà una tra le più belle educazioni sentimentali di sempre. Dovrebbero proporla alle scuole, come consegna a fine quinto anno per la vita che c’è oltre le mura di contenzione.
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“Non credo affatto che marito e moglie possano restare buoni amici dopo il divorzio. Il matrimonio è il matrimonio, il divorzio è il divorzio. Io la penso così” è una delle prime frasi che la moglie pronuncia all’amica-confessore. Quindi l’altra pare abbia vinto, si tratta di una storia raccontata dalla fine. Il problema principale è che “a quanto pare non si può proprio vivere senza affetti”, è quasi una condanna. Lui è un uomo alto, slanciato, di una finezza nel portamento che pare non intaccare l’età, per lui il tempo non esiste, niente turba il volto di un ricco borghese, di questo borghese speciale e pallido che sembra abitare una vetta. Dopo la ricerca di un affetto l’altro problema è sempre la possessione: trovato l’oggetto lo vogliamo nostro, vogliamo togliergli qualsiasi segreto solo per il gusto intimo e non confessabile di vederlo nudo, di scoprirgli quel dannato fianco: “capii che mio marito, che credevo fosse completamente mio, da cima a fondo, come si suol dire, del quale pensavo di possedere tutto, persino i segreti più profondi della sua anima, non mi apparteneva per niente, era invece un estraneo, che di segreti ne aveva, eccome”. L’istinto della conoscenza, del sapere tutto dell’altro è un istinto distruttivo, porta all’annientamento della persona e anche del sentimento. Conoscere è un atto sacro, vuol dire avvicinarsi all’ombra, e finché l’ombra è tua puoi farci quel che vuoi, puoi pure precipitarti dentro. Ma se l’ombra invece è quella di chi ami la faccenda si fa più complessa, la conoscenza diventa violenza.
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“E in cosa consiste il potere di noi donne, la nostra forza? Nell’amore, dici tu. Può darsi che sia l’amore. A volte mi è capitato di dubitare del senso di questa parola. (…) Eppure talvolta ho la sensazione che gli uomini, quando ci amano – perché proprio non possono fare altrimenti –, sembrano quasi sottovalutare la faccenda. In ogni vero uomo c’è una certa ritrosia, come se egli volesse precludere una parte del suo essere, della sua anima, alla donna amata”. Sándor Márai introduce così il difficile concetto di spazio libero dell’essere umano dentro al matrimonio; uno spazio inviolabile e inaccessibile all’altro della coppia deve essere preservato per il bene di entrambi, sono zone che hanno tutte le sfumature del grigio e tali devono restare. I segreti vanno custoditi nella solitudine, l’amore va quindi arginato se pretende la conoscenza. Márai spiegherà lentamente in questo libro cosa succede quando l’amore si mangia tutto, anche i segreti intimi dell’uomo. Quel che ne resta è probabilmente solo polvere, si brucia tutto, il fuoco incendia e poi si estingue. E l’amore resta una colpa per tutti in questa storia.
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“Poi non scrissi più a nessuno, neppure a te, non vivevo che per il bambino. Tutti erano spariti intorno a me, vicini o lontani che fossero. Non si dovrebbe amare fino a questo punto, non si dovrebbe amare nessuno così tanto, nemmeno i propri figli. Ogni amore è sfrenato egoismo. E così smettemmo di scriverci. Tu eri la mia unica amica, ma ormai non avevo più bisogno nemmeno di te, perché c’era il bambino”. La coppia borghese a un certo punto ha un figlio, figlio che serve alla madre come parafulmine di questo amore, di questa necessità. Ma una creatura così fragile come può resistere a questo sfrenato atto egoistico d’amore? Fa come la formica sotto la lente di ingrandimento picchiata dai raggi del sole: brucia e muore. “Da un dolore simile non si guarisce mai. Ecco l’unico, vero dolore: la morte di un bambino. È il termine di paragone per misurare tutti gli altri dolori. Tu non lo conosci”. Allora il bambino è visto come un miracolo, come l’agente che può risolvere le tensioni, come colui che deve raddrizzare quel che di contorto e oscuro è contenuto nei genitori. Sándor Márai capovolge il concetto di nascita, lo trasporta nel quotidiano borghese tra due coniugi che non han molto da dirsi ma sorridono sempre, tra due persone che abitano latitudini opposte della casa, una insegue i movimenti dell’altro, l’altro abita la settima stanza da solo, nemmeno il figlio riesce davvero ad entrare: “Si avvicinò smarrito, come chi si ritrova a essere il protagonista di una situazione delicata, troppo umana, e se ne vergogna un po’”.
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Ed ecco il culmine di questa prima parte di educazione sentimentale, Sándor Márai svela un po’ della ricetta magica per vivere felici, oppure solo per vivere: “Sai, quando si invecchia, si scopre che le cose stanno in modo diverso, che bisogna sempre sapere come si fa, bisogna imparare tutto, anche ad amare. (…) Siamo esseri umani, e ciò che accade nella nostra vita viene filtrato dalla ragione. Ed è sempre attraverso la ragione che i nostri sentimenti e le nostre passioni diventano sopportabili, oppure ci paiono intollerabili. Amare non è sufficiente”. Quindi amare non solo non è sufficiente per vivere ma anche intollerabile, tutti i sentimenti assoluti necessitano di carne di cui vivere, si mangiano tutto, partono dall’interno, a volte dal cuore stesso. Chi ha provato un amore disperato e ossessivo, totalizzante, capisce benissimo queste righe di La donna giusta, la ragione ti salva e permette di dare un nome a questa massa piena ma senza involucro, che si espande e si aggrappa dove può.
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“Ci vuole una forza sovrumana per vivere contro la propria natura. Stringeva i denti, voleva a ogni costo essere felice”, anche qui Sándor Márai è sempre avanti a tutti. Per la società borghese non c’è spazio per svolgere la matassa della propria natura, si è necessariamente obbligati a raggiungere la ricchezza e poi a conservare lo status. Non c’è spazio nemmeno per essere tristi, lo si può fare ma nella famosa settimana stanza, chiusi a chiave e soli. Senza nessuno a testimoniare cosa c’è dietro la figura del perfetto borghese.
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“Una donna non può capirlo. Un uomo trova nella propria anima forza sufficiente per vivere. Il resto non è che un’eccedenza, un sottoprodotto. Ma il bambino, eccolo il vero miracolo! Per lui si può raggiungere un compromesso. Facciamo un patto. Restiamo insieme ma tu amami di meno. (…) Ci sono uomini, dall’indole più femminea, che hanno proprio bisogno di essere amati. Ma esiste anche un altro genere di uomini, quelli che l’amore tutt’al più riescono a tollerarlo. E io sono uno di loro. Tutti i veri uomini sono pudichi, tu dovresti saperlo”. Amare oltre misura è un errore imperdonabile. Qui in La donna giusta Sándor Márai ci sbatte ferocemente in faccia la biologica differenza tra uomini e donne. L’uomo è naturalmente portato a indirizzare le proprie forze all’esterno, in un progetto ad esempio, per progredire e per vivere ha necessità di trovare un punto di fuga. La donna invece è centripeta, e quando ama qualcuno in modo totalizzante commette il più grande errore per se stessa: allontanarsi dal suo centro, riversarsi come un vaso su una terra arida. La sete non si cura così.
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Sul dolore Sándor Márai poi è spietato, ce lo descrive senza alcuna premura, dovete essere pronti a leggere una feroce verità: “quando si comincia a piangere, vuol dire che ormai si cerca di ingannare il prossimo. In quel momento, il corso degli eventi si è già concluso. Non credo alle lacrime. Il dolore è asciutto e muto. (…) Non è vero che il dolore ci purifica, che si diventa migliori, più saggi e comprensivi. Si diventa freddi, lucidi e indifferenti”. La prima regola che mi hanno insegnato in ospedale è stata quella di prestare sempre attenzione al paziente che non si lamenta, chi tace è spesso chi è più grave. Davanti ai grandi dolori si diventa muti, ci si ritira nel corpo, la pelle si fa indietro, si scava fossati di protezione.
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Amare è una colpa, Márai ci avvisa in tutti i modi, lo fa dire persino dal prete: “Ma in lei, adesso, c’è una smania che rasenta il peccato. Lei vuole privare un uomo della sua anima. È quello che vogliono tutti gli innamorati. Questo è il peccato”. Insomma, innamoratevi del segreto di qualcuno, lasciate all’altro esattamente quello che vi ha fatto avvicinare, sfiorate quel segreto senza mai aprirlo. La conoscenza può inghiottire tutto, vomitarvi in un istante. Addomesticate i vostri sentimenti e rasserenatevi: “Ho scoperto, mia cara, che la persona giusta non esiste. Un giorno mi sono svegliata, mi sono messa a sedere sul letto e ho sorriso. Non sentivo più alcun dolore. E improvvisamente ho capito che non c’è nessuna persona giusta. Non esiste né in terra né in cielo né da nessun’altra parte, puoi starne certa. (…) Esistono soltanto delle persone, e in ognuna ci sono scorie e raggi di luce, tutto”.
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Le parti trascritte appartengono al primo monologo, la storia dal punto di vista della moglie. Un romanzo perfetto e completo questo di Sándor Márai, assolutamente necessario. Dovrebbe stare sui comodini di tutti, da usare davvero come la bibbia. Si dovrebbero scrivere comandamenti da questo libro: amare totalmente è un errore e un peccato, togliere il segreto a un uomo equivale a togliergli l’anima, esistono uomini che non hanno necessità di essere amati, una donna non può amare troppo perché esce dal suo centro, la ragione è l’ultimo ramo da prendere prima della follia. Tenetevi stretto il vostro segreto, piantatelo bene nell’ombra. La settima stanza può contenere solo un uomo alla volta, nessuno spettatore è ammesso. Sbarrate la conoscenza persino a quelli che vi amano, il fianco deve restare coperto.
*In copertina: John Singer Sargent, “Lady Agnew di Lochnaw”, 1892