«Più forte della morte è l’amore» scrive Re Salomone nel Cantico dei Cantici, e colui che comandò ai démoni di erigere il Tempio in una sola notte, ben sapeva quanto entrambi, Amore e Morte, fossero uniti sin dall’alba del Tempo. Così secoli dopo, viaggiando in quegli oceani che sono i canti degli uomini, dolci, guerreschi, malinconici, gioiosi o struggenti, cercando altre sonorità e altri versi, perduti e lontani, ho trovato questa ballata che discende dalla brumosa terra di Scozia sino a noi, sino alla tradizione popolare del Nuovo Mondo e che si chiama con il nome della sua protagonista: Barbri Allen.
Accadde nel giorno di San Martino,
Quando cadevan le verdi foglie,
Che Sir John Graeme delle terre dell’ovest
S’innamorò di Barbara Allen.
Mandò i suoi uomini in città
Nel luogo dove lei abitava,
“Sbrigati e vieni dal mio caro padrone,
Se tu sei Barbara Allen.
E piano piano lei s’alzò
E giunse al letto dove lui giaceva,
E quando tirò le tende, disse:
“Giovane, secondo me stai morendo.”
“Sono malato, tanto malato,
E lo devo a Barbara Allen.”
“Fosse per me, non staresti meglio
Neanche se il sangue ti sgorgasse dal cuore.
Non ti ricordi, giovanotto”, disse,
“Quando ti cercavo nelle osterie,
Giocavi sempre alla passatella
E non ti curavi di Barbara Allen.”
“Un tuo bacio mi farebbe bene,
Mia bella Barbara Allen.”
“Ma un bacio da me tu non lo avrai,
Neanche se il sangue ti sgorgasse dal cuore.”
Voltò la testa verso la parete
Perché la morte lo stava prendendo,
Disse, “Addio, miei amici cari,
Siate gentili con Barbara Allen.
Mettete la mano sul fianco del letto,
E vi troverete un pegno d’amore,
Un fazzoletto intriso di sangue del mio cuore,
Datelo a Barbara Allen.”
E piano piano lei s’alzò
E lentamente lo lasciò,
Piangendo disse di non poter stare,
Ché la morte gli aveva carpito la vita.
Non aveva camminato che un miglio,
Quando sentì la campana a morto
Ed ogni rintocco della campana diceva,
“Sventurata Barbara Allen”.
Allora entrò suo padre e disse:
“Prendilo, bella Barbara Allen.”
“Proprio adesso mi dici di prenderlo,
Che già gli preparan la bara.”
Allora entrò suo fratello e disse:
“Prendilo, bella Barbara Allen.”
“Proprio adesso mi dici di prenderlo,
Che già lo vestono da morto.”
Allora entrarono le sorelle dicendo:
“Prendilo, bella Barbara Allen”.
“Proprio adesso mi dite di prenderlo,
Che già il cuore mi si sta spezzando.
Oh, cara madre, fammi il letto,
Fammelo morbido e stretto;
Il mio amore oggi è morto per me,
Io per lui morirò domani.
Oh, caro padre, fammi il letto,
Fammelo morbido e stretto;
Il mio amore oggi è morto per me,
Io morirò di pena.”
Barbara Allen fu sepolta nel vecchio cimitero,
Il dolce William fu sepolto al suo fianco;
Dal cuore di William crebbe una rosa,
Da quello di Barbara Allen, un rovo.
Crebbero e crebbero nel vecchio cimitero
Finché non poterono crescer più alti;
Alla fine formarono un nodo d’amore
E la rosa avvolse il rovo.
*
La storia dei due amanti, Barbara Allen e Sir John Graeme, si svolge nell’autunno scozzese, tra l’erica e i boschi dorati e gli antichi broch, le torri dirute e solitarie e i castelli che si specchiano sui laghi. È una storia crudele, d’un amore e di un bacio negato, d’un disprezzo mostrato dalla donna verso un uomo che l’ama. Eppure John Graeme continua ad amarla e donarle ogni cosa. Soltanto la sua morte trasmuterà l’indifferenza di Barbara in rimorso e in amore. Se agli Inferi non si discende da vivi, come fece Orfeo, si è destinati a fare il triste viaggio quando non si farà mai più ritorno.
Infine i due si ritrovano insieme, in una nuova vita che è quella del rovo e della rosa, cresciuti abbracciati l’uno all’altra, in un “nodo d’amore”, sulle loro lapidi, in segno di trionfo perché sempre vincit amor.
*
Molti, più di quanto possiamo immaginare, sapere e contare, devono aver suonato e cantato questa ballata, alla luce incerta del fuoco, a quella tremula delle candele, delle lampade a petrolio, del gas e infine – oggi – sotto l’algido bagliore dei neon. Eppure nulla muta, tutto cambia, ma al tempo stesso restano intatti l’Amore e la Morte, il desiderio e il rifiuto, e il dolore per ciò di cui non si è voluto avere coraggio. E rimangono però, come negli ultimi versi della Sensitiva, di Percy B. Shelley, il ricordo della bellezza:
…in questa vita che è fatta d’errore,
di lotta e d’ignoranza, dove nulla esiste
eppure tutto sembra, e noi siamo le ombre di un sogno,
è semplice credenza, e tuttavia piacevole
se uno la consideri, il confessare che la morte stessa
non è che un’irrisione, come tutto il resto.
Quel dolce giardino, quella bella dama,
tutte le forme soavi e ogni profumo,
in verità non sono mai fuggiti:
siamo noi, sono i nostri, che sono mutati,
non loro. Poiché per l’amore,
per la bellezza e la gioia non c’è
mutamento né morte.
*
Insieme, nello spirito gaelico, esiste un’altra ballata settecentesca che racconta ancora una storia struggente di due amanti delle Highlands, dal titolo La Signora dai capelli neri e il cacciatore:
La collina non salirò
E la mia preda perderò,
Se ne è andata la mia voce
E non posso più dormire…
La Signora dai capelli neri
Sempre mi torna alla mente
Ed io lo so che non prenderò
La mia preda.
Lo non ero con lei sul monte
Quando il vento ci chiamava
Io non ero con lei nel bosco.
Nell’oscurità nascosto…
La Signora dai capelli neri
Sempre mi torna alla mente
Ed io lo so che non prenderò
La mia preda…
Vorrei amarti, mia bella Signora.
Vorrei sposarti, se Dio lo vorrà,
Con te partire all’Olanda lontana…
Mi hai preso il cuore e la mia preda
Io perderò.
Non ho più la mia fortuna
E non riesco a prendere sonno.
Il mio cuore ora è turbato
E io presto sarò grigio
La Signora dai capelli neri
Sempre mi torna alla mente
Ed io lo so che non prenderò
La mia preda…
Nella mia mente ci sei sempre tu
E contro tutti io ti avrò
E poi con tè viaggerò,
Traversando il mare…
E non posso più dormire…
Anche questo è un “amore impossibile”, intessuto d’ardore, passione brama e avventura. Se in Barbrie Allen il tema è quello del “ritorno”, qua troviamo quello odisseico del “viaggio”. È un viaggiare insieme, “all’Olanda lontana”, che è come dire ai confini dell’Asia, oltre il Regno del Prete Gianni, di là dai Monti della Luna, più distante della Persia e dell’Armenia. È l’immortale mito e desiderio irresistibile dell’andare oltre, e dell’andarci con chi si ama. A differenza di Sir John Graeme, in questa ballata il cacciatore non si arrende, lotta contro un fato avverso, contro le stelle contrarie, perché appunto «più forte della morte è l’amore».
*
In quegli stessi anni, tra XVII e XVIII secolo, non più nelle terre profumate dal biancospino degli Elfi della Caledonia, un altro poeta, l’afgano Mirza Khan Ansari, compone questi versi che cantano anch’essi d’amore e di morte, ma di uno scambio, di un dono che i due amanti si fanno reciprocamente. La canzone è La falena e la candela:
Io ti canto dolce candela
Che tu sia di tua luce amante.
Sono la fiamma e la falena
Come verità ed amore.
Per amore danzo nel fuoco,
Per te l’amo… non ho altro amore.
La mia passione si spegnerà
Nella fiamma che ti consuma.
Nella luce io danzo, per il fuoco d’amore
Amo si fuoco per te… altro amore non ho.
Io ti canto bella falena
Che tu sei di mia luce amante.
Tu non conosci la verità…
Il tuo volo è un’illusione.
Amo me stessa e la mia morte.
Con me arde il fuoco, non io nel fuoco
E quando all’alba mi spegnerò
Di me traccia non resterà.
*
Dalle lontane contrade di Samarcanda, ancora una volta alle dolci colline d’Irlanda, a un Medio Evo di sogno, fatato, dai colori ruggenti e corruschi di Dante Gabriel Rossetti e di Sir Edward Burne Jones, l’amore e la morte, il dono della propria anima e del proprio cuore di un giullare, un buffone, alla donna che egli disperatamente ama. La ballata di William Butler Yeats ha il curioso titolo de Il cappello a sonagli:
Mentre il buffone camminava il giardino immobile restava;
La sua anima pregò di posarsi alla sua finestra.
Ed i gufi cominciarono a chiamare
Quando l’anima si levò, vestita in blu,
La sua parola era saggia al pensiero
Di quel suo passo calmo e leggero. così leggero.
Ma la regina non le diede ascolto, si avvolse nella sua camicia,
Le pesanti imposte tirò a sé e il chiavistello abbassò.
Ed il suo cuore lui pregò di andare a lei,
Quando i gufi cessarono di chiamare;
In una rossa veste palpitante
Lui cantò per lei oltre la soglia… oltre la soglia.
Dolce la sua parola era al sogno di quella chioma ondeggiante;
Ma dal tavolo lei prese il ventaglio e lo fece volare via.
E allora il buffone pensò
“Io ho il mio cappello a sonagli,
Sino a lei io lo manderò
Ed allora poi io morirò… poi morirò.”
Quando al mattino divenne bianco
Lasciò il cappello davanti ai suoi passi.
Ed in seno a lei se lo ripose,
Sotto la nuvola dei capelli,
Una canzone gli cantarono le sue labbra
Sinché le stelle non crebbero nell’aria.
Lei aprì la sua porta e la finestra
L’anima e il cuore lei fece entrare… li fece entrare.
Quello rosso venne alla sua destra,
Quella blu alla sua sinistra.
Facevano un rumore come di grilli,
Un chiacchierio dolce e saggio.
I suoi capelli erano un fiore ancora chiuso
Quieto d’amore era ai suoi piedi… era ai suoi piedi.
Yeats, il mago, l’iniziato, il veggente elfico, usa i simboli misterici dei colori per dire a chi non sa, cose che non può comprendere, ma al tempo stesso, ai nostri spiriti antichi che dove c’è vero amore, non vi è fine ma soltanto inizio.
*
Ultima sul tema, giunge il secolo scorso nelle liriche di colui che ritengo con Yeats essere il più grande poeta del Novecento, ovvero Dylan Thomas, con questa sua creazione: E la morte non avrà piú dominio.
E la morte non avrà più dominio.
I morti nudi saranno una cosa
Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benché impazziscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà piú dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Sotto i meandri del mare
Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono.
Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
Si spaccherà la fede in quelle mani
E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
E la morte non avrà piú dominio.
E la morte non avrà piú dominio.
Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
Mai piú sfidare i colpi della pioggia;
Ma benché pazzi e morti stecchiti;
Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
Irromperanno al sole fino a che il sole precipiterà,
E la morte non avrà più dominio.
È forse nell’umana natura, negli animi che muovono le nostre vite sotto l’astro notturno, nei versi del Cyrano di Edmond Rostand, di Abelardo per Eloisa, di Walther von der Vogelweide che, sempre, nel tempo e in luoghi diversi, ognuno va in cerca del proprio simile, perduto, in un’alchimia di corpi e di cuori, di menti e di carni per cercare di ricreare quell’unità lontana, esistita di certo prima che all’Angelo della Morte venisse dato il potere di calpestare i troni ingioiellati del nostro mondo e rendere tutti uguali “prenci, prelati et potenti” dinanzi a lui, tranne che davanti alle uniche mura in grado di fermarlo: quelle dell’arte, della bellezza e dell’amore.
Dalmazio Frau
*In copertina: John William Waterhouse, “La Belle Dame sans Merci”, 1893