24 Gennaio 2020

“Cresce a dismisura l’istinto”: la fuga di Meghan & Harry mi ricorda Samuel Butler perduto in Nuova Zelanda

Fuggono in Canada Meghan e il Principe Harry. Mi domando quale sia la loro traccia, la spinta naturale che li guida. Il mito che agisce in loro, se vogliamo metterla così. Vogliono rivivere le fiabe? Trovare un’altra grotta dei quaranta ladroni? Perdersi nel bosco e scoprire una casa di zucchero? Non credo. Ora che Disney ha passato a Meghan un contratto interessante per garantire alla coppia principesca la tanto desiderata “indipendenza finanziaria”, la loro storia mi ricorda semmai quel che avveniva ai cadetti del Seicento che facevano piangere le loro famiglie quando i gesuiti li reclutavano per il loro ‘esercito’ diplomatico. Non so però se la Disney possa essere considerata un ordine religioso, anche se hanno fatta propria la saga di Star Wars e la religione dei Jedi…

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Ironia a parte, la durezza del confronto coi genitori è vissuta alla perfezione quando è sintetizzata nella parola “indipendenza finanziaria”. La cosa mi fa venire in mente un esempio nobile, era uno scrittore inglese di metà Ottocento. Penso a Samuel Butler che lasciò la famiglia di pastori anglicani e a 24 anni se ne andò in Nuova Zelanda. La storia è raccontata qui da un giornalista neozelandese, James McNeish, che fu curiosamente legato all’Italia e a Danilo Dolci. Che caso, l’uomo che arriva dall’altra parte del mondo e trova una terra simile in Sicilia, pascoli selvaggi e uno scrittore chiuso come Dolci. Entrambi amavano il piano e su questo costruirono un’amicizia.

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Tornando a Butler e alla sua fuga dall’Inghilterra nel 1860, avanzo un’ipotesi. Lui se ne tornò a casa e si murò vivo a Londra per il resto della vita, raccogliendo le esperienze acquisite in Nuova Zelanda per il suo libro di utopia ambientato a Erewhon (stampa Adelphi). Allo stesso modo, Meghan e Harry o continueranno a farsi illuminare (anche a distanza) dalla corona inglese, o lentamente cercheranno altri ripari in giro per il mondo. L’anonimato non è un lusso che possano permettersi, ringraziando la Disney…

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In Nuova Zelanda Butler visse come un colono con un lascito paterno di un migliaio di sterline. Le quali non fecero la sua felicità. Compose allora un articolo sulla società delle macchine avviata dal darwinismo, un pezzo breve e profetico.

Scrisse inoltre un libricino rude sulla sua permanenza, Primo anno nella colonia di Canterbury che non lascia spazio a nessunissima effusione, a nulla che sia nulla se non lo scivolare di un’accetta, il profumo del cuoio della briglia dei cavalli. In realtà le cose andarono meno agevolmente. Come racconta l’articolista, Butler che veniva da Cambridge sapeva tutto di latino & greco ma ignorava che il pappagallo sa imitare il richiamo del caprone vergine: problemi pratici di un apprendista pastore.

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Il nostro si perse dietro alla classica sedicenne del caso che cantava nel coro di Avonside, a soli 40 chilometri dalla stazione dove Butler viveva e che battezzò Mesopotamia. Trascorreva i pomeriggi con l’amico a suonare il piano, inventando storie di fantasmi. Il piano da solo occupava mezza capanna e nel giardino, scrive nel libro, crescevano quattro ciliegi, tre pruni e altrettanti peschi. Gli mancava la società. La libreria più vicina era a tre giorni di viaggio.

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Le esperienze dall’altra parte del mondo di Butler finirono subito a stampa, prima che tornasse a casa nel 1864. La prefazione del 1863 è di mano di un anonimo Rettorato di Langar che informa che l’autore Butler è sopravvissuto al naufragio della nave su cui fece il primo tratto, dalla quale scese provvidenzialmente perché non c’era abbastanza spazio. La provvidenza laica che salva l’uomo e ne fa uno scrittore. Simpatica come cosa. Era anche una buona pubblicità. (Andrea Bianchi)

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Samuel Butler, Primo anno nella colonia di Canterbury

La grande caratteristica dei mari del sud è la moltitudine di uccelli che li abitano. Enormi albatros, anche del tipo piccolo (molimork), uccelli femmina del Capo, piccioni del Capo, uccelli monaci, gabbiani dalle zampe azzurre, uccelli balena, uccelli pecora e molti altri. Ronzano continuamente intorno alla poppa della nave, a volte in gruppi di una dozzina, altre volte in gruppetti ma sempre in numero considerevole. (…) Ha torto il poeta quando dice che gli albatros sono bianchi. Sono grigi o marroni con una strisciolina bianca sul retro che si allarga un poco all’altezza delle ali. Sotto la pancia sono di un bianco tendente al blu. Restano senza battere le ali più a lungo di ogni altro uccello che abbia mai visto ma qualcuno crede che ogni piuma vibri rapidamente benché non tutte insieme. (…) Solo invecchiando qualcuno di loro diventa abbastanza bianco. Così mi dicono. C’è chi elogia le stelle dei mari del sud: ma non vedo in cosa sarebbero migliori di quelle del nord. Certe sono chiaramente le medesime. La croce stellata qui al sud è una delusione. Non è una croce, semmai un rombo storto e una delle quattro stelle è poca cosa e fuori asse.

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22 gennaio. Ieri a mezzogiorno stavo in cabina a scrivere quando sentii un grido gioioso. Terra! Ruzzzolando sul pontile vidi il proflo delle high land delle isole Stewart. Era meraviglioso vedere come si ingigantiva.

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26 gennaio. L’unico pericolo di viaggiare per mare è che cresce a dismisura l’istinto. Ci si sente portati dallo spirito dell’avventura che rende gentili e forti, e spinti dal desiderio di visitare ogni piazza della terra. Il capitano qui si vanta della California e dei mari cinesi. Il dottore si esalta per Valparaiso e le Ande. Un altro dà di matto per le Hawaii e il Pacifico. Un quarto ci dice che non c’è nulla al mondo come il Giappone. Si comincia a sentire che il mondo è molto piccolo quando scoprite che potete vederne la metà in tre mesi. Mentalmente, ci si prepara a visitare tutti questi posti che ci si è lasciati dietro nel viaggio. Per dire il meno. Ora che cerco nel mio diario se ho trascurato di scrivere di altri episodi eccitanti non trovo nulla. Come dice Mrs. B., non c’è ‘sensazione’. Ma non riesco a trovarla. Parte la posta. Tornerò a scrivere alla prossima partenza.

Samuel Butler

*traduzione di Andrea Bianchi. Il poeta che descriveva male l’albatros era Coleridge che non lo distingueva dalla nebbia: “At length did cross an Albatross: / Thorough the fog it came; / As if it had been a Christian soul, / We hailed it in God’s name”

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