“Un’avventura a Budapest” di Ferenc Körmendi: piacere allo stato puro
Letterature
Silvano Calzini
Parafrasando un passo dello Zibaldone: “Che cosa è la vita di uno scrittore di destra? Il viaggio di uno sventurato che con il gravissimo carico dell’altrui pregiudizio in sul dosso, scrive senza mai riposarsi dì e notte per arrivare alla pubblicazione e quivi inevitabilmente cadere nell’oblio”.
Non sorridete. Sono affranto più di Giacomo Leopardi nel giorno in cui un severo medico napoletano gli ordinò di rinunciare agli amati e crepitanti pasticcini. E la colpa di cotanta tristezza è di un certo Federico, che ha commentato su Facebook un mio post sugli scrittori che votano a destra: “Tutto è politica e l’arte dello scrivere non si esime, anzi, serve a rafforzarla. Per me uno che vota Salvini non deve essere letto. C’è tanta roba da leggere e così poco tempo, che chi vota Salvini lo scanso volentieri”.
Federico (chissà perché, mi viene voglia di chiamarlo il lettore Fico) ha scoperto la mia simpatia per il ministro dell’Interno e ha deciso, senza leggere una riga, che sono uno scrittore da evitare. Nulla importa che non scrivo di respingimenti o abolizione della legge Fornero. Il Fico Federico vuole aprire i porti alle navi che trasportano i migranti e chiudere le porte delle librerie ai miei romanzi.
Dice infatti: “Quello che sei comparirà nei tuoi scritti, e per me conta chi è che scrive. Sennò tanto vale leggersi il Mein Kampf, io lo evito volentieri”. Mi paragona a Hitler senza avermi letto, da vero paragnosta con il pugno chiuso.
Le parole di Federico, cieche, urticanti, tipiche di un’intelligenza falciata dal piombo dell’ideologia, mi hanno fatto intristire e riflettere sul mio futuro di scrittore. Ho capito che per evitare la damnatio memoriae in vita di cui è vittima chi non si allinea al sinistrismo culturale, dovrei pubblicare i miei romanzi in forma anonima, come certi autori del passato che cercavano di evitare condanne e persecuzioni da parte delle autorità politiche o religiose. Oppure inventarmi un nom de plume. Quante copie venderei se mi chiamassi Marxino Consiglio? E se aggiungessi al mio nome il nomignolo ‘Che’? Ripetete insieme a me: “Presto in libreria il nuovo romanzo di Cecco Consiglio detto il Che”. Vi suona bello? Immagino le pile dei miei libri nelle Feltrinelli. Una goduria.
Tuttavia, nonostante i miei sforzi di ottimismo, non riesco a darmi pace. Possibile che una simpatia politica del tutto personale ed estranea alle mie trame diventi un marchio infamante agli occhi di un lettore? Ho scritto un romanzo che parla di un serial killer di provincia e non l’ho mai descritto con in mano una matita e sul tavolo una scheda elettorale. Dove ho sbagliato? Gli occhi tracciano il mio nome nella mente di un lettore, ed ecco la mia fine, l’indifferenza, il rogo! Mi piacerebbe che Federico leggesse Paul Valery: “In tutte le arti, e in modo particolare nella scrittura, noto che l’intenzione di provocare un qualche piacere cede impercettibilmente a quella di imporre una certa idea dell’autore. Se una legge dello Stato obbligasse all’anonimato, e se nulla potesse più apparire sotto un nome, la letteratura risulterebbe totalmente modificata, ammesso che riuscisse a sopravvivere”.
La gente ama comprare a scatola chiusa. Un libro di Saviano è un best seller prima di arrivare in libreria perché lo scrittore napoletano è garanzia di un certo tipo di pensiero rivolto a un certo tipo di lettore, quello che si professa antiamericano ma poi, anche se non possiede un attico a New York, quando è in vacanza preferisce mangiare al McDonald’s, perché sa che, in qualunque parte del mondo egli si trovi, il sapore di un cheesburger sarà sempre uguale. Hamburger, cetriolo, cipolle, senape, ketchup, formaggio e Saviano non deludono mai. Tutto come previsto. È il trionfo della spensieratezza negligente. Una volta era il cazzo a non volere pensieri, oggi è il lettore di sinistra che legge solo scrittori di sinistra.
Francesco Consiglio