18 Maggio 2019

“Non mi canterete un canto serale all’altezza del mio male?”. Storia della Musa più affascinante (e misteriosa) della poesia del Novecento

La Musa, infine, è un amuleto – svelarne la natura, svelare il proprio occulto rito di ringraziamento, significa affondare la Musa, affogarla in una vasca piena di pesci carnivori e di stregonerie. Lei, che ha natura di enigma e vigore di vergine, sibilo di sirena e gelosia di Medea, deve essere cinta nel pudore. Contenere l’incontenibile, si potrebbe dire.

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Non sto facendo araldica tra gli arcaismi: la Musa è il viso intravisto, l’affine, il muso di un corvo giunto a svelarci gli impianti dell’oscurità sulla balaustra di casa, il muscolo prodigioso di un ricordo accaduto chissà quando, forse, nel mai. Il concetto di Musa esprime l’insufficienza del poeta, che è sempre per altro, sempre è il mezzo di una lingua altrui, che lo altera, che lo fa, alternativamente, altro. Il romanziere, per dire, non cerca una ‘ispirazione’ – cerca una storia da raccontare. Il poeta sa l’estro, sa esaminare le estasi anche se vive, sommariamente, in una cella.

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Delle Muse alcune sono conclamate – che sia Beatrice o Laura o Silvia – altre sono celate dietro nomi cifrati – Clizia – o sono talmente evanescenti che le si può nominare per quello che sono – Dora Markus. In tale gineceo, alcune Muse s’incarnano in amanti (Balandine Klossowska, ad esempio, madre di Balthus e di Pierre Klossowski, legata a Rainer Maria Rilke), in valide valchirie (Lou Salomé per Nietzsche), oppure in controfigure della mente, occasione per succulenti scambi epistolari (la fatale Madame Soutzo, che folgora Marcel Proust: sul loro rapporto, ordito da Paul Morand, è in circolo il libro, meraviglioso, Il visitatore della sera, Aragno 2019), pretesti per sfinire la propria sulfurea scrittura (quanti, maschi e femmine, han fatto da Musa a Cristina Campo e di quanti, maschi e femmine, è stata Musa, lei…).

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Una delle Muse più misteriose della storia della poesia per decenni è stata nota, semplicemente, come l’Étrangère, la Straniera. A lei, griffato “Georgetown”, Washington, 1942, Saint-John Perse dedica una delle poesie più alte, il Poema per la Straniera, appunto, che chiude Exil, opera straordinaria, di suprema levigatezza, pubblica a Buenos Aires nel 1944. Già autore di quel miracolo lirico che è Anabasi (1924), Saint-John Perse, diplomatico d’alto rango con Aristide Briand, il solo a ribellarsi alle pretese di Hitler durante la fatale Conferenza di Monaco del 1938, non si allineò a Vichy. La scelta di rifiutare il ruolo di ambasciatore negli Stati Uniti, lo obbliga di fatto all’esilio: “durante un soggiorno in America, a New York (1940), il governo di Vichy decreta contro di lui la perdita della nazionalità, la confisca dei beni e la radiazione dall’ordine della Legion d’onore. È la fine – umiliante, amara, eppure stoicamente sopportata – della lunga carriera politica” (Stefano Agosti). La fine della vita politica, però, è l’inizio di una nuova vita poetica, narrata con lingua stellata, d’astrale grandezza.

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Il Poema per la Straniera è poesia d’amore di micidiale tensione (per altro, ottimamente tradotta e commentata da Stefano Agosti in Esilio, SE, 1989, che trent’anni dopo sarebbe vanto ripigliare). Questo è l’incipit:

Né le sabbie né le stoppie incanteranno il passo dei secoli futuri, ove la via fu per voi lastricata con una pietra senza memoria – o pietra inesorabile e verde più
del sangue verde di Castiglia della vostra tempia di Straniera!

Una eternità di bel tempo pesa sulle membrane chiuse del silenzio, e la casa di legno che, sul fondo dell’abisso, si scuote sulle àncore, matura un frutto di lampade a mezzodì
per più tiepide cove di nuove sofferenze.

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Saint-John Perse, Nobel per la letteratura nel 1960, mantenne sempre un selvatico riserbo sull’identità della “Straniera” – e nella sua poesia, nessun’altra donna è mai penetrata. Quando, per il centenario dalla sua nascita, nel 1987 (il poeta era morto nel 1975), furono pubblicate, per la cura di Mauricette Berne, le Lettres a l’Étrangère, il mistero fu svelato in tutta fragranza. Per darci misura dei carati di questo enigma e dell’importanza della rivelazione non è sufficiente la ‘quarta’ dell’edizione Gallimard delle lettere (“I più grandi segugi della storia della letteratura hanno sfogliato tra archivi e biblioteche senza ricavare risposta; anche il primo momento manoscritto del poema, scoperto da Arthur Knodel, non ha offerto risposte: chi era quella donna?”). Piuttosto, va citato l’incipit dell’articolessa pubblicata da Michael Dobbs sul Washington Post, il 2 settembre del 1987 (titolo-emblema: The ‘Lady’ Unmasked). “Uno dei segreti di guerra meglio conservati a Washington è stato finalmente svelato: l’identità della celebre ‘Straniera’. Il mistero nacque a Georgetown, durante i giorni più bui della Seconda guerra mondiale, sullo sfondo di una Europa dominata dai Nazisti. Le figure centrali sono un poeta e la sua musa, separati nella Parigi occupata e riunitisi qui, a causa della guerra. C’è anche una storia d’amore”. Sembra la trama di Casablanca. Forse è qualcosa di più.

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Lei si chiama Rosalía Sanchez Abreu, ‘Lilita’, ed è, dicono, “magnetica, vitale, affascinante, benestante”. Nata a Parigi nel 1886, “di famiglia di origine cubana, assai nota fin da ragazza negli ambienti mondani e letterari della capitale, presso i quali la sua bellezza e sensibilità fanno strage di cuori” (Agosti), sposata nel 1920 ad Albert Sanchelle Henraux, incontra Saint-John Perse nel 1932, nel club degli autori Gallimard. In realtà, il poeta, fa vita ritirata, solitaria: “è all’incirca da questa data che prende inizio la loro relazione, mantenuta segreta sia per la condizione di lei sia probabilmente anche per volontà di Leger, che nel frattempo ha intrapreso la sua prestigiosa carriera diplomatica, abbandonando la letteratura” (Agosti). In dieci anni, l’unione si consuma: il poeta è negli Stati Uniti nel ’40, Liù, come la chiama, lo raggiunge l’anno dopo, “aveva 54 anni, arrivò in America dal Portogallo e da Cuba. Trovò casa a Georgetown, a pochi isolati di distanza dalla casa affittata da Saint-John Perse” (Dobbs). Il Poema per la Straniera sigilla quel rapporto stabilito nell’unicità di anime eccezionali, che nel delirio del dolore tentavano la gemma della gioia: “quel poema, è un addio! Un regalo prima della fine, il primo e ultimo dono!”, scrive lei, in un diario, il 15 agosto del 1942. Divorziata, morirà nel 1955, la fatale ‘Lilita’, dopo una vita di abbandoni e di ricche irrequietezze tra New York e la Svizzera. “Sono sempre stata una zattera, un relitto, una straniera ovunque, una che emigra da un hotel all’altro”, scrive, nel 1946, a un’amica.

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“…Voi che cantate – è il vostro canto – voi che cantate tuti gli esili che sono al mondo, non mi canterete un canto serale all’altezza del mio male? un canto di grazia per le mie lampade, un canto di grazia per l’attesa, e per l’alba più nera nel cuore delle altèe?”, fa dire il poeta alla sua Musa. Infine, il 26 aprile del 1958, il poeta sposerà una solida americana, Dorothy Millburn, già sposata con l’ex campione di wrestling e costruttore di aerei Frank Ford Russell, da cui divorzia nel 1955. Eppure, alla sorella Eliane, il poeta scrive, riferendosi alla ‘Straniera’, “deve sapere che ha rappresentato il meglio di ciò che sono… che lo sappia o meno, il legame profondamente umano che ci unisce rimarrà eccezionale, in me, fino alla morte”.

Davide Brullo

*In copertina: Saint-John Perse con Dorothy Millburn, la moglie, sposata nel 1958

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