Ora che abbiamo recuperato i pezzi del nostro corpo sparsi per tutta la terra grazie alla runa Perth siamo tornati integri. Abbiamo fatto i conti con il femminile presente nella parola “cura”, ci siamo ricuciti. Dal 28 gennaio poi siamo entrati nel periodo dedicato alla runa Algiz: lo spazio sacro, l’albero cosmico. Andiamo a camminare nella natura e sotto un grande albero mettiamoci dritti con la schiena, le gambe unite e le braccia tese verso l’alto. Scriviamo con il nostro corpo questa runa: scoprirete che siete entrati in una posizione di preghiera, siete capaci così di raccogliere il respiro dell’albero.
Sono stata recentemente a visitare un albero secolare nei pressi di Forlì, un platano enorme al centro di un campo. Si impone come un colosso antico e potentissimo, richiama e allo stesso tempo respinge. Algiz scorre dentro la sua linfa, chiama a sé e vuole rispetto. Attorno al platano le fronde hanno disegnato un cerchio perfetto, una protezione naturale. Varcare quel segno è impossibile.
Algiz è l’uomo in preghiera che accetta il sacrificio, è Odino che si appende all’albero cosmico Yggdrasil a testa in giù, “sacrificando me stesso a me stesso”, nel tentativo di apprendere la lingua magica delle rune. Algiz siamo noi ogni volta che chiediamo una risposta a questi segni: siamo ai piedi di questo albero disposti a ricevere qualunque cosa che ci indichi la strada. L’albero Yggdrasil infatti attraversa con il suo immenso corpo tre mondi: le radici affondano nell’infero, il tronco nel mondo di mezzo e i rami tendono al mondo di sopra.
Antico poema anglosassone
Algiz ha dimora nei pantani
cresce nell’acqua l’erba dell’alce selvatico
crudelmente ferisce e brucia nel sangue
del guerriero che cerchi di afferrarla.
Con questo simbolo ci assumiamo la piena responsabilità della nostra vita, siamo i sacerdoti di noi stessi: è bene quindi creare attorno al nostro corpo e alla nostra casa uno spazio sacro inviolabile, uno spazio in cui sacrificarsi e rinascere tutte le volte che è necessario. Il segno di Algiz era infatti inciso sulle antiche pietre tombali: dritto indicava a fianco la data di nascita, rovesciato invece quella di morte. La lingua runica però è stata nel corso della storia calpestata e fatta letteralmente scomparire con l’arrivo dei cristiani nelle terre nordiche. Il cristianesimo repressivo e dogmatico vedeva in questi simboli troppa non-dualità e ciò dava molto fastidio: la morale cristiana bigotta è abituata a incasellare ogni cosa in bene/male, bianco/nero, giusto/sbagliato, dividendo quindi la natura in una forma duale di separazione. Maschile e femminile sono opposti, non si devono toccare se non sotto il sacramento del matrimonio. Le rune quindi erano simboli pericolosi, racchiudevano il sapere antico di una cultura pagana che vedeva nella natura e nella vita la coesistenza del suo dritto e del suo rovescio, ogni cosa contiene il suo contrario. Infatti Algiz venne proibita perché per i cristiani rappresentava una vagina stilizzata da dritta e da rovesciata un fallo. Ma la lingua runica è così immensa nei suoi significati proprio perché racchiude le polarità dell’esistenza. La sua forza sta proprio nella possibilità di scegliere a quale parte attingere, quale energia sviluppare. Consapevoli però che tutto ha un prezzo, soprattutto la conoscenza e Odino ce lo insegna chiaramente: “nessuno incida rune se non è capace di domarle”.
Ma veniamo alla divinità che presiede questo antico simbolo: il dio Heimdallr. Nel luogo santo dove poggia le radici l’albero cosmico Yggdrasil questa divinità ha il compito di conservare lo spazio sacro, è il suo guardiano: sta a protezione di un ponte “che gli uomini conoscono come arcobaleno” e protegge l’albero dai giganti dei ghiacci e delle montagne che costantemente vogliono provare a raggiungere le dimore degli dèi. Il colore rosso che vediamo nell’arcobaleno è in realtà il fuoco che arde su questo ponte: il fuoco infatti tiene lontani i demoni. La parola “runa” deriva dall’antico “run” che significa “mistero, sussurro”: l’albero è lo spazio sacro in cui entra Odino sacrificando tutto se stesso per conoscere il mistero di questi simboli, l’albero è la fonte della conoscenza di tutte le cose e il dio bianco Heimdallr deve proteggerlo a tutti i costi.
Heimdallr sente e vede più di qualunque dio nordico: i suoi sensi gli danno l’accesso a impercettibili suoni e i suoi occhi gli consentono di vedere al buio esattamente come alla luce. Heimdallr è in grado di percepire il suono di un filo d’erba che cresce, è un dio delicato quanto potente. Secondo la tradizione è nato da nove madri diverse e battezzato con gocce di acqua gelida dei mari del nord, cosparso di terra e di sangue di maiale consacrato. Questo battesimo ricorda in parte quello più famoso di Achille ma con una fondamentale differenza: Heimdallr non farà mai affidamento solo alla sua forza, come Achille invece fa per la maggior parte delle vicende narrate, non sarà quindi un dio dominato dal principio maschile e dall’ego, è un dio bianco e delicatissimo. Userà la sua forza solo nella battaglia finale, quando sarà davvero indispensabile e lo farà con un istinto di protezione, così come ha protetto per tutta la sua esistenza lo spazio sacro dell’albero cosmico. Heimdallr nella battaglia finale Ragnarok si scontrerà con il dio Loki, considerato il suo rivale per eccellenza, un dio oscuro e impenetrabile: combatteranno strenuamente e si uccideranno a vicenda. Questo perché nella mitologia norrena il bene e il male non sono mai disgiunti, sono parte della vita stessa, tutto è seriamente collegato. Ogni runa infatti contiene il suo contrario, l’energia può essere girata.
Il nome Heimdallr pare che derivi da un poetico appellativo dell’ariete ovvero “heimdali”, si narra infatti che a lui siano associati i sacrifici degli arieti. Un’altra prova a sostegno di questa tesi è il fatto che Heimdallr viene anche chiamato “il dio bianco” proprio in onore del manto degli arieti. Questa divinità ha un tratto fortemente femminile: sentendo crescere persino la lana sul dorso delle pecore è quindi il protettore non solo dell’albero cosmico ma anche dei cicli naturali. A lui – come a una grande madre – si affida la custodia dei cicli precisi della natura e della vita. Viene inoltre detto che egli è il padre di tutti gli esseri umani, liberi o schiavi che siano. Una grande madre dentro un grande uomo, maschile e femminile riuniti e generati da nove madri diverse.
Ripetiamo ad alta voce “Algiz” per creare uno spazio sacro inviolabile, un recinto di luce e erba, dove la rugiada bagna la schiena degli insetti. Lasciamo che il maschile e il femminile coabitino dentro il nostro corpo, che dentro ogni singola cellula ci sia acqua di mare, terra e sangue.
Clery Celeste