Del Libro della giungla, libro di intoccata bellezza, tutti dicono – con tremore – a proposito della Legge. Sarebbe insomma, manuale ‘morale’, fino a levitare nel Levitico dei boy scout. In verità, Mowgli è un ‘fuori legge’, uno che non è né di qui né di là, né lupo né uomo, né della giungla né del villaggio – è solo, senza altra legge che la propria intelligenza (è il solo, fuori norma, a saper parlare le lingue di tutti gli animali, è un palombaro di alfabeti). Come si sa, il ciclo dei racconti comincia con I fratelli di Mowgli: l’essenza di Mowgli, figlio della foresta, è messa in dubbio. Il piccolo uomo, desiderato dalla tigre – che vuole diventare uomo – il “mio figliolo nudo” così amato da Mamma Lupa – “ti ho amato più dei miei stessi cuccioli”: questo è il peso dell’uomo, farsi amare in ciò che ha di indifeso, di nudo – s’inghiotte tra gli umani. “Cominciava ad albeggiare quando Mowgli discese da solo la collina, per andare incontro a quegli esseri misteriosi chiamati uomini”. L’ultimo racconto del primo dei due “Libri della giungla”, Tigre! Tigre!, riprende dove s’interrompe il primo – gli altri sono inserti di memorie dentate. Mowgli sfida e vince la tigre, con l’aiuto degli amici della giungla e con il genio della strategia. La chiusa del racconto – “Così Mowgli se ne andò e da allora cacciò nella giungla insieme ai quattro lupacchiotti. Ma non fu sempre solo perché, alcuni anni dopo, diventò un uomo e si sposò” – non risolve il dissidio del ragazzo eterno, eternamente sospeso tra bestialità e umanità.
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Penso che il vero criterio ‘politico’ di Rudyard Kipling sia qui: una solitudine accerchiata di tigri, l’aspra diffidenza verso l’uomo, l’individuo che ha legge, ma rompe la consuetudine e attraversa i mondi. Su Kipling, tuttavia, Nobel per la letteratura nel 1907, scrittore memorabile, grava, ancora, l’anacronistica pretesa del White Man’s Burden: la poesia, tuttavia, è vecchia di 120 anni. Il paradosso, così, è che Kipling è mesmerizzato dai buonisti, ma il cinema continua a interpretare – male, perché il genio di ‘Ruddy’ è l’insanabile contraddizione – la sua creatura silvestre, Mowgli. “Negli anni la reputazione di Kipling ha ricevuto una tale batosta che desta meraviglia anche soltanto il fatto che un critico voglia occuparsi di lui. Kipling è stato variamente – e in modo variopinto – etichettato come colonialista, sciovinista, razzista, antisemita, misogino, guerrafondaio imperialista di destra… Il fatto che fosse anche uno scrittore straordinariamente dotato, autore di opere di inestimabile grandezza, ha poca importanza in troppe aule accademiche dove Kipling resta politicamente ‘tossico’”. Così scrive Charles McGrath in una colta e alta articolessa su Rudyard Kipling in America dalle pagine del “New Yorker”, che non è proprio il red carpet di Donald Trump. Gli scrittori possono finalmente essere letti per il talento – o meno – che hanno?
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“Il mio Demone era insieme a me mentre scrivevo I Libri della giungla, Kim e i due Puck, e per paura che si ritirasse ebbi cura di proseguire con delicatezza”, scrive Kipling in una pagina delle memorie, pubblicate postume come Qualcosa di me. In particolare, i due “Libri della giungla” (1894 e 1895) sono stati scritti durante la parentesi americana di Kipling, che immaginava la giungla indiana nel Vermont. Di questa parentesi parla l’articolista del “New Yorker”, riferendosi a If. The Untold Story of Kipling’s American Years, appena pubblicato da Penguin per la firma di Christopher Benfey, che vive ad Amherst e, tra l’altro, è uno studioso di Emily Dickinson.
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Negli States, ‘Ruddy’ incontra Mark Twain, con somma gioia, è onorato da Theodore Roosevelt, si costruisce una casa a Brattleboro, in Vermont. Lì, accade l’incanto, l’avvento del demone. “Il mio studio misurava due metri per due metri e mezzo, e da dicembre ad aprile lo strato di neve arrivava al davanzale della finestra. Successe che scrissi un racconto su un ragazzo cresciuto dai lupi nella foresta indiana… Dopo aver fissato l’idea in testa, la penna assunse il comando e la vidi iniziare a scrivere le storie di Mowgli e degli animali, che sarebbero diventate in seguito i Libri della giungla”. Il 29 dicembre, nasce la prima figlia, Josephine. Già, Kipling si era sposato. E questa, di per sé, è una storia. Con torbido pettegolezzo.
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Kipling chiama la casa americana ‘Naulahka’. Come il libro che nel 1892 firma con Charles Wolcott Balestier. Costui, americano, è scrittore di talento ed editore, ammirato da Henry James. Pare che l’amicizia tra Kipling e Balestier “se non apertamente sessuale, avesse certe sfumature erotiche”. Nel 1891, a trent’anni, Balestier muore di tifo. Kipling è in India. Corre al suo capezzale. “Appena una settimana dopo sposò la sorella minore di Balestier, in una cupa cerimonia che sembrava più un funerale che un matrimonio. Henry James accompagnò la sposa all’altare, ghignando, ‘Per questa unione non prevedo alcun futuro’… Pare che Balestier, sul letto di morte, abbia strappato al caro amico la promessa di sposare sua sorella” (McGrath).
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L’idillio tra Kipling e gli Usa durò l’arco di quei libri formidabili: nel 1896 ‘Ruddy’ lasciò la casa gradita, in seguito a una baruffa legale con l’altro fratello della moglie, Beatty Balestier. S’era detto certo di “poter scrivere il Grande Romanzo Americano”, da cittadino britannico nato in India. Optò per alcuni tra i racconti ‘per ragazzi’ più belli mai scritti – chiedere a due maestri del genere, d’altra latitudine: Horacio Quiroga e Jorge Luis Borges. “L’idea del mondo naturale come luogo di prova e della vita come lotta darwiniana influenzò in modo considerevole scrittori americani come Jack London, Stephen Crane, Ernest Hemingway”. Nel 1899 Kipling decise “di dare all’America un’altra possibilità”. Di ritorno da Torquay, nel Devon, fu raso al suolo dalla tragedia: la figlia Josephine, nata nel Vermont sei anni prima, muore di polmonite. Kipling precipita in una depressione feroce. “Non metterà mai più piede in America”. Resta incisa la sua frase, “Ci sono solo due posti al mondo in cui vorrei vivere: Bombay e Brattleboro. E non posso vivere in nessuno dei due”. Entrambi, probabilmente, si fondono nei “Libri della giungla”. Nel settembre del 1915, a 18 anni, muore l’altro figlio di Kipling, John, in Francia, durante la Prima guerra.
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L’immagine di Mowgli, il ragazzo, questa specie di Peter Pan, di Dioniso, di Holden, che scuoia la tigre – “un ragazzo allevato tra gli uomini non si sarebbe mai sognato di scuoiare da solo una tigre lunga tre metri, ma Mowgli sapeva meglio di chiunque altro com’era attaccata la pelle di una bestia e come andava tolta” – è di sgargiante ferocia. Buldeo, mandriano del villaggio, crede che il ragazzo possa “trasformarsi in una tigre” o “in qualche terribile mostro”. Mowgli non è ancora uomo, non è mai stato bestia. “Il branco degli uomini e quello dei lupi mi hanno scacciato”, dice Mowgli, “ora caccerò da solo nella giungla”. Lì, in quello scuoiato eremitaggio, è Kipling. (d.b.)