29 Ottobre 2022

Un canto per i bambini morti. Il capolavoro di Rückert (e di Mahler)

L’altro giorno, a Verona, mi facevo spiegare i Kindertotenlieder di Gustav Mahler da un ottimo direttore, Nicola Guerini. La sera consuonava: rendeva consonantiche le mura della città, gravi di gioia; una naturale eleganza animava il musicista, un illuminato pallore. Ho scoperto i Kindertotenlieder molti anni fa, grazie a Emilio Sala, a Milano, per un esame di Storia della musica – non so suonare altro che i campanelli. I Kindertotenlieder vanno in scena per la prima volta a Vienna, il 29 gennaio del 1905: sono cinque, meravigliosi, e nascono nel periodo sommo di Gustav Mahler, tra la quarta e la quinta sinfonia. Tre anni prima, Mahler si era unito ad Alma Schindler, donna di ineffabile bellezza: non riusciva a capire perché il marito si impegnasse così tanto in quei “Canti per i bambini morti”, più che occuparsi delle figlie, vive, neonate, Maria Anna e Anna. Non c’era nulla da fare: Mahler era attratto dall’incanto di quei canti, estremo tentativo di vincere la morte, di retrodatare il dolore in sublime. 

I Kindertotenlieder sono il capolavoro poetico di Friedrich Rückert (1788-1866), discepolo di Goethe, tra i grandi poeti tedeschi di quel secolo. Iniziato alla massoneria, orientalista, Rückert insegnò a Erlangen e a Berlino: si dice che maneggiasse decine di lingue, tra cui l’arabo, l’aramaico, l’armeno, il copto, il curdo, il pashtu, il sanscrito e il pāli. Ingegno poligrafo e prolifico, Rückert inventò, di fatto, la lingua con cui l’Oriente ha invaso la cultura (e la poesia) tedesca, traducendo Rumi e Firdusi, i Veda, brandelli dall’epica indiana e persiana, le Maqāmāt di al-Ḥarirī. Tradusse i libri profetici della Bibbia dall’ebraico e il Libro delle Odi, un classico della poesia cinese. “Natura riflessiva, il Rückert ebbe, come nessun altro poeta tedesco dell’Ottocento, il pieno e sicuro dominio della lingua, che piegò a tutte le forme e a tutti gli stili, traduttore e rifacitore impareggiabile di ogni poesia”, ha scritto di lui Carlo Grünanger.

Credette di garantirsi imperitura memoria con un poema, Die Weisheit des Brahmanen, ideato tra il 1836 e il 1839, suddiviso in dodici libri, manifesto lirico del teismo. L’opera – dicono – è involuta e prolissa, e Rückert eccelle nella lirica più sfacciata, in un’arte da paesaggista del verbo. Vissuto in Italia dal 1817, per un paio di anni, per lo più a Roma e a Napoli, Rückert preferì l’accademia e l’impegno politico fino al 1848, ritirandosi infine in un podere, lontano dal chiasso del mondo, ancorato a un’ideale che coniuga disincanto a ricerca spirituale, sprezzo a combustione compassionevole. La moglie Luise, sposata nel 1821, gli diede dieci figli: due di questi, Luise ed Ernst, morirono piccoli, tra il dicembre del 1833 e il gennaio del 1834, di scarlattina. Il dolore scavò il poeta, e gli fece scoprire, tra le spine, una poesia più dolce, eppure indocile. I Kindertotenlieder sono lamento immane e incommensurabile riflessione sull’effimero, sulla fugacità della vita. Rückert adotta ogni forma lirica possibile – il sonetto, la canzone, il poema breve, la terzina, l’aforisma – e ogni tono – dal candore al cinismo – per dire l’indicibile. Delle oltre quattrocento poesie, soltanto alcune furono pubblicate in vita: le altre – edite postume, tuttavia assenti in Italia – censiscono, per così dire, il rapporto costante del padre con i figli morti. È proprio questa la forza, lo scandalo, l’autorevolezza lirica, se si vuole: l’ossessione, il canto ininterrotto, il quaderno di appunti che non esegue alcun principio di pubblicazione, la poesia, fuoco bianco, rivolta ai morti purché continuino a vivere. Gesto di rivolta, che del rivoltante fa risonante stupore, perfino ingenuo: sganciare dalla morte un frantume di pietà. Vegliare i morti, non altro è chiesto alla poesia: stabilirsi sulla soglia dei mondi, senza chiodi. 

Nei rari ritratti, Rückert, capelli lunghi e grigi sul volto severo, ligneo, sembra un uomo tornato dalle latebre della morte.

Sulla tomba dei figli, a Erlagen, il poeta fece piantare un albero di betulla.

Cantabili, suadenti, le poesie di Rückert sono state messe in musica, tra gli altri, da Robert e Clara Schumann, da Brahms, da Richard Strauss. Mahler ne era sedotto: prima di musicare i Kindertotenlieder realizzò un ciclo di Rückert-Lieder. Ma le poesie, pur prese come antidoto, conservano il loro supposto veleno. Poco dopo aver realizzato i Kindertotenlieder, Mahler subirà lo stesso dolore di Rückert: nel 1907 Maria Anna muore di difterite, ha quattro anni; i genitori la chiamavano, affettuosamente,“Putzi”.

*

Kindertotenlieder. Canti per i bambini morti

L’ho detto a tutti i cespugli,
a tutti gli alberi con un lamento l’ho raccontato,
ad ogni pianta che verdeggia,
ad ogni splendido fiore sbocciato.

E di nuovo lo racconto con un lamento,
e sempre di nuovo lo dico,
e loro invece la mia grande pena
han sempre di nuovo dimenticato.

Dimenticato tu sei in questa terra
da fiore e pianta, cespuglio ed albero,
ma non di certo da questo cuore,
bimbo della mia gioia, del mio dolore.

(Traduzione di Antonella Gargano)

*

Luise Rückert
25 giugno 1830 – 31 dicembre 1833

Tu eri nella casa quando stillava
gioia: resta in ascolto del mio canto!
Partecipa a fatti poco appariscenti, cinti
nel pudore: non ammettono arte che li adorni.

Non ritrarti, ora, risolvi,
piuttosto, la lacrima in sorriso:
il destino che ha colpito la casa
è tale che ogni cristallo di gioia è infranto.

Forse dovrei intimare un freno
al canto, evitare che l’alloro
cinga la fronte, darmi al lamento.

Ma se i miei cari rivivessero
sulle labbra di un altro, tale sfarzo,
forse, mi consolerebbe dalla morte.

*

Dell’amore, lo slancio si compie prematuramente:
germina, matura in una notte:
ci si sveglia presto la mattina
il grembo del ragazzo
è pieno di luppoli:
i cespugli sono fioriti
e la potenza
esalta la vita.
Ma la sera è rossa,
il bambino è morto
lo deponi e non
si risveglierà:
neppure io mi sono
ancora svegliato.
Buona notte, buona notte!
La corsa è terminata
la tomba ben costruita,
buona notte, buona notte!

*

Nei miei versi domestici
diario delle remote voglie
ho scritto della gioia, colpevole:
ho scritto che è vero soltanto
ciò che rende felici.

I miei versi domestici, ora,
siano pieni della tua perdita.
Era ora di licenziarmi da tutto.
Non so quanto andrò avanti,
ma appena ne avrò voglia
scriverò versi domestici.

*

La tua vita è stata tanto breve…
Non si dice nulla di te
nelle storie mondiali, non sei citato:
il predicatore se ne va
e tu cresci intorno alla lapide:
doni amore, questo puoi fare,
materiale infinito per la mia poesia.

*

Ho sempre fatto la volontà
della poesia. Il suo senso:
lenire i bisogni del cuore.
Ma sempre li vedo intorno a me
e mi viene da piangere:
neppure questo mi è permesso?

Chi da me ha avuto la vita
presto l’ha perduta: forse li
abbiamo partoriti invano?
No: ho giurato a me stesso
di sopravvivere per
scrivere la vostra vita.

*

Il mio cuore è questo:
un imbalsamatore di cadaveri
egizio, uno che con arte
decora ciò che la morte ha divorato.
Il dolore ripulito, nient’altro che un canto.

Vaso di cenere, il mio canto,
grave ed ellenico,
raccoglie il balbettio
della tua dolcezza:
tutto esalta l’urgenza
di un cuore frantumato.

*

Un urlo crudo dal centro
del corpo mi strappa le orecchie
mi ha dilaniato il cuore
da quando ho perso ciò che amavo.

*

E non dovrei maledire il rito
della sepoltura, questa festa trita?
Fanno torte di mandorle in casa
per onorare il cadavere di nostra figlia:
il forno è caldo al cospetto della
bimba morta e del padre malato:
andrà beata nei luoghi dove
già giace vostra sorella…
E non dovrei maledire il rito
della sepoltura, questa festa trita?

*

A che serve allora il sole
se esistono luoghi dove
la notte benda gli occhi?

Il sole preferisce la fuga
la notte acceca gli occhi
e l’amore è invisibile.

Non vedo i miei figli
e non domandarmi se sono cieco:
mi mancano gli occhi come il sole.

Friedrich Rückert

Gruppo MAGOG