Barbara Alberti o della rivoluzione letteraria
Letterature
Edoardo Pisani
Si tratta di un libro che segue le tracce di quesiti profondi, e sovente inespugnabili, quello di Rossella Pretto, La vita incauta (Editoriale Scientifica, 2023), viaggiando nell’anima di una Scozia melancolica e autunnale. L’autrice mostra grande disinvoltura nell’uso di un linguaggio poetico-recitativo che racconta il personalissimo pellegrinaggio in luoghi il cui valore storico-letterario viene costantemente sbalzato da un’incalzante ricerca di senso in qualche modo congiunta in modo significativo all’ambiente circostante con ricordi e figure del proprio passato. Ma di certo non si ferma qui. Spingendosi oltre, dentro un magma filosofico di quesiti e riscontri sincronici attraverso il Macbeth di Shakespeare, la poesia di T. S. Eliot e le riflessioni di altri autori esplora un livello obliquo di significazione che rivela il valore universale di certe esperienze, e una realtà inconscia e archetipica che sottintende il genere umano.
Perché la vita deve essere incauta? E che cosa intendiamo per incauto? Potremmo o dovremmo forse chiederci questo lungo il percorso di lettura. La risposta? Non può che trovarsi nel paradosso. Se come dice Eraclito “il carattere è il destino” (concetto ripreso da James Hillman in un famoso saggio) è anche vero che l’individuo è porzione di un vasto disegno che appartiene a diverse entità collettive, come la famiglia, il luogo di nascita e lo stato sociale. La trama del fato s’innesta proprio lì non precludendo però da spinte e motivazioni inconsce che possono rilevare sia aspetti distruttivi che tendenze evolutive. Quello che fa la differenza è senz’altro il daimon (termine menzionato dall’autrice) scelto da un individuo. Vale a dire. La maschera o la finzione preferita che possono diventare destino facendo dibattere il personaggio tra gratitudine e vendetta. La scelta della Pretto è chiara. Confrontarsi con l’impianto narrativo del Macbeth e i suoi diversi personaggi: scavandosi, per capire dentro e fuori sé stessi, il proprio iter esistenziale, l’ambiente da cui si è cresciuti e forse l’insondabile mistero di chi veramente siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando. Perché come dice Dante all’inizio del Convivio “tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere” in quanto il sapere dà “sapore” alla vita. D’altronde, è col senso che togliamo il gusto dell’insipido dalla bocca, e troviamo una momentanea pace. Quello che l’autrice definisce all’inizio del libro “il proprio posto nel mondo”. Da lì s’avvia il viaggio a Iona, a Inverness, a Edimburgo l’amore per la parola, la leggera trance dello sguardo che sviscera in accostamenti arditi l’aura dei luoghi. E l’aura è importante. Porta energia al viaggio, alla ricerca, nutrendo il filo d’oro dell’intenzione che si ri-propone in una continua soglia da oltrepassare.
Non sorprende quindi che risalti nei titoli dei capitoli-destinazione la parola verso: “Verso Oban… Verso Forres… Verso Inverness.” Gli ostacoli incontrati o immaginati non sono da sottovalutare. Hanno il volto del mostro, la mano insanguinata dell’omicida, la vorace brama di un desiderio non appagato che in realtà non è mai appagabile. La personificazione di quello che Carl Jung definiva l’archetipo dell’ombra, con cui la scrittrice si confronta duellando con l’arma di un linguaggio vivo, immaginale, diretto al cuore delle cose. Le domande seguono perentorie in questa sfida all’ultimo sangue: “Che cosa fa durare le cose?”, “Essere o agire?”. I dubbi, le consapevolezze, i monologhi in corsivo aiutano la progressione poetico-narrativa, la spingono avanti con testo e sotto-testi.
Emerge dal magma la figura di San Colombano e un manoscritto miniato, il famoso Book of Kells, in cui la magia delle forme e dei colori raccontano le storie del Nuovo Testamento. Ri-affiorano anche le mani della madre dell’autrice in quelle di una donna scozzese. Un segno benefico che rassicura la progressione del viaggio donando coraggio fino alla fine del libro e alla sua epifania di senso.
Ho studiato letteratura inglese sui libri di Elio Chinol, il nonno dell’autrice. Mi ha quindi intrigato l’essermi ritrovato a sfogliare quelle sue vecchie antologie dopo quarant’anni dal loro uso. Le ho trovate piene di annotazioni che rivelavano al tempo il mio duellare con la lingua inglese, e la mia limitata conoscenza della medesima. Quanto lavoro avevo dedicato a quelle pagine di un inglese antico e ostico. Al giorno d’oggi l’inglese è oramai la mia seconda lingua. La vivo e ci ho insegnato all’università come Chinol. Ma tutto era partito dal lavoro svolto su quelle pagine. L’analista junghiano Claudio Widmann sostiene che un senso nel nostro vivere lo scopriamo solamente a lungo termine. Come minimo nell’arco di cinque o dieci anni. Ma che dei segnali già c’erano dagli inizi. Da semplici episodi che però erano solo indizi. A quelli doveva seguire l’olio di gomito, il rischio e le peripezie. Dunque: da dove origina il destino? Anche l’autrice Silvana Pretto se lo chiede accompagnandoci lungo un viaggio dove perdersi è un ritrovarsi. E dove l’attesa, il vuoto di significato, sovente precedono l’apparizione miracolosa di un senso. A noi non resta che riconoscerlo, dare l’assenso, caricandoci delle nostre responsabilità uniche e individuanti. Al fine di portarci oltre: a denti stretti.
Massimo Maggiari
Kiawah Island, febbraio 2023