05 Settembre 2022

Rose Hawthorne, la poetessa degli incurabili

Nel diario, è il marzo del 1848, Nathaniel Hawthorne riferisce una delle sue molte, improvvise agnizioni. Sta ammirando i figli, Una e Julian, che dormono, “i giorni e gli anni passano così rapidamente che io quasi non so se sono ancora bambini piccoli che arrivano alle ginocchia dei genitori, o già una ragazza e un ragazzo, una donna e un uomo”. La percezione del tempo colpisce Hawthorne come un’ascia, lo turba, lo immobilizza. Proprio perché il tempo esiste ed esige cadaveri, deve esistere l’eternità:

“Questa vita ha troppa sostanza e tangibilità per essere l’immagine dell’eterno. Il futuro diventa troppo presto il presente che, prima che possiamo afferrarlo, guarda a noi come passato. Dev’essere, credo, soltanto l’immagine di un’immagine. Il nostro prossimo stato d’esistenza, possiamo sperare, sarà più reale – cioè, può essere solo un grado lontano dall’eternità. Ma, per ora, abitiamo nell’ombra gettata dal tempo, che è essa stessa l’ombra gettata dall’eternità”.

È come se vivere sia stare tra specchi contrapposti – l’eterno, il caduco – o sotto la scorza di una doppia coltre di coperte. L’eternità è due gradi lontano da qui. Dovremmo chiederci, ancora, di chi siano immagine i figli.

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Il figlio più noto di Hawthorne, Julian (1846-1934), tenterà, con vago successo, di ripercorrere le orme del padre – di cui scrisse una biografia, Nathaniel Hawthorne and His Wife –: i suoi romanzi sono dimenticabili. Ingenuo, finì in carcere per frode, dando fiducia alle imprese finanziarie di un amico. Come giornalista, intervistò, tra i tanti, la star del baseball, Babe Ruth. La più infelice tra i figli di Hawthorne, Una (1844-1877), era assai bella, sensibile, instabile: il fidanzamento con lo scrittore Albert Webster sembrò siglare l’inizio della gioia; il ragazzo morì in mare, annegato, lei si ritirò in convento, straziata dal dolore, dove muore, poco dopo.

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Quando nasce Rose Hawthorne, nel 1851, Nathaniel ha appena pubblicato La lettera scarlatta, è omaggiato da Melville, che gli dedica Moby Dick. Non sono anni facili. Hawthorne racconta la nascita della figlia più piccola all’amico Horatio Bridge: “La Signora Hawthorne ha appena pubblicato una piccola opera, ancora in fasce, che comincia a fare rumore nel mondo, giorno e notte. In parole povere, abbiamo un’altra, figlia: un diavoletto brillante dai capelli rossi, forte e sano, al momento senza pretese di bellezza”. Rose nasce in maggio; il 21 ottobre del 1851, sul diario, Hawthorne appunta:

“In questo mondo la felicità, quando viene, viene incidentalmente. Fatene oggetto di ricerca, e vi costringerà a dar la caccia a un animale immaginario, che non potrete mai raggiungere”.

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Nella prima parte della sua vita, Rose, ventenne, si unisce allo scrittore George Parsons Lathorp: insieme, nel 1879, riacquistano la casa di famiglia, “The Wayside”, a Concord, Massachusetts, perduta dieci anni prima; già dimora di Louisa May Alcott. Anche Rose intende, al principio, seguire le orme del padre: scrive un paio di romanzi – Bressant, Miss Diletante – e una raccolta di poesie, Along the Shore (di cui, in calce all’articolo, proponiamo una silloge), i cui temi ossessivi sono il confine tra la vita e la morte; quasi una profezia. L’unico figlio di Rose e George, Francis, morì a cinque anni, di difterite, nel 1881: dieci anni dopo, dopo un lungo lavorio dell’anima, i Lathorp si convertono alla Chiesa cattolica. Quando, nel 1897, Rose pubblica la biografia del padre, Memories of Hawthorne, il matrimonio è ormai finito. George, che aveva tentato di impadronirsi dell’eredità ‘spirituale’ di Hawthorne – nel 1876 pubblica A Study of Hawthorne – muore nel 1898, sconvolto dall’abuso di alcolici, da reiterate depressioni.

Le memorie raccolte da Rose catalogano diverse lettere del padre; non sono prive di acuti narrativi, commossi, soprattutto quando si racconta la morte di Hawthorne:

“Sembrava terribile che un uomo tanto forte, luminoso, intuitivo si fosse tramutato in quella creatura sempre più debole, infine spettrale, immota, pallida. Eppure, anche quando il passo di mio padre vacillava e il suo corpo pareva quello di un fantasma, egli restava dignitoso, come nei giorni di gioia, mantenendo un autocontrollo militare, ancora più severo di prima. Non smise di venire a tavola indossando gli abiti migliori, benché il cibo fosse prosaico. Odiava il crollo, la dipendenza, il caos, le regole infrante dall’inedia, la codardia e la disciplina infiacchita. Non so dire quanto mi sembrasse coraggioso. L’ultima volta che l’ho visto, usciva di casa per l’ultimo viaggio, quello che lo avrebbe portato nell’altro mondo. Con lui c’era mia madre. Non potevo sopportare che i miei occhi si posassero su quel corpo rimpicciolito e sofferente. Mio padre intuiva che quello era un addio. Mi fissò come un uomo inflessibile e vecchio, fermo, in mezzo alla neve. Mia madre singhiozzava e gli camminava al fianco. Da allora, ci è mancato: nei giorni di luce come nella tempesta e nel crepuscolo”.  

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Dal disastro, comincia la vita nuova di Rose Hawthorne, che cerca un senso nel niente, nei luoghi dei malati terminali, soli, tra gli incurabili. Dal 1896 la figlia di Hawthorne lavora presso il New York Cancer Hospital, impara l’arte della cura; diventa terziaria domenicana, apre uno spazio, nel Lower East Side, in cui ospitare gli incurabili in stato di estrema povertà: lo intitola a Santa Rosa da Lima. L’8 dicembre del 1900, con l’approvazione dell’arcivescovo di New York, Michael A. Corrigan, Rose Hawthorne fonda un ordine religioso, le “Serve del Sollievo del Cancro Incurabile”, di cui diventa la superiora, con il nome di Mary Alphonsa. Le sorelle saranno note come “Dominican Sisters of Hawthorne”; nel 1901, a Westchester County, Rosa fonda la Rosary Hill Home, dove si ritira fino alla morte, accaduta nel luglio del 1926. Fino al giorno prima, era impegnata a scrivere lettere per cercare fondi e donazioni: le case di accoglienza vivono nel privilegio della povertà, mendicando, senza chiedere denari ai malati, ai parenti dei malati, allo Stato.

In un tasto di radiosa potenza, scritto nel 1960, che introduce un libro devoto, A Memoir of Mary Ann, Flannery O’Connor parla di Rose Hawthorne:

“L’attività della figlia di Hawthorne è forse nota a pochi in questo Paese, mentre meriterebbe di essere conosciuta da tutti. Rose scoprì molto di ciò che il padre andava cercando, e ne realizzò nella pratica i desideri nascosti di tutta una vita. Il ghiaccio nel sangue che egli temeva, e dal quale lo salvò proprio tale timore, fu da lei trasformato nel calore da cui ebbe origine il suo agire. Se lui osservò, con timore ma fino in fondo, se lui agì, riluttante ma con fermezza, lei si lanciò a capofitto, sicura nel cammino che la sincerità del padre aveva segnato per lei. Verso la fine del diciannovesimo secolo, prese coscienza della situazione dei poveri di New York malati di cancro e ne rimase colpita. I malati terminali bisognosi non venivano tenuti negli ospedali cittadini, ma erano mandati a Blackwell’s Island o lasciati a trovarsi un posto dove morire. In entrambi i casi si trattava di lasciarli a marcire da soli. Rose Hawthorne Lathrop era una donna di straordinaria energia e forza d’animo. Qualche anno prima era diventata cattolica, e da allora aveva cercato un’occupazione che fosse il pratico adempimento della sua conversione. Quasi senza un soldo, si trasferì in un alloggio nel peggior quartiere di New York e cominciò a ospitarvi i malati di cancro incurabili. Più tardi la raggiunse una giovane ritrattista, Alice Huber, le cui doti di costanza e pazienza completavano la sua forza ed esuberanza. Grazie agli sforzi congiunti, il loro estenuante lavoro fece progressi. Poi ad aiutarle arrivarono altre donne, e divennero una congregazione di suore dell’Ordine Domenicano – le Serve del Sollievo del Cancro Incurabile. Oggi, in tutto il Paese, ci sono sette delle loro case di accoglienza gratuita per i malati di cancro”.

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Dal 2003 è in atto il processo di canonizzazione della Hawthorne, eletta “Serva di Dio”. Le Domenican Sisters of Hawthorne esistono ancora: delle sette case di ricovero aperte ne restano tre – a New York, Philadelphia e Atlanta – le sorelle sono ridotte a una cinquantina; questo è il loro sito.

In ciò che termina è il nuovo inizio; l’incurabile vive nella bava di Dio. Secondo la formula ideata da Rose, le sorelle si svegliavano alle 4 e mezza, pregando, nella placenta dell’alba; al conforto con i malati alternavano la vita nei campi, compreso l’allevamento e la mungitura delle mucche. La comunità doveva autogestirsi, ogni gesto era pari a un versetto. Così la morte diventa vita, la disperazione ispirazione, la tragedia potenza.

***

Potere contro potere

[Nathaniel Hawthorne, 1864]

Qui sedeva solo, qui spartiva incantesimi,
quel mago che toccava la mente degli uomini
tramite le profonde vie del potere,
con orgoglio brandiva la sua penna magica.

Sull’oscurità del muro brilla una figura scintillante,
nel cunicolo dell’alba crolla un’Ombra,
serva del suo cervello,
potere che chiama il potere.

Stilla il mattino e l’Ombra incombe,
ci fissa con occhi irredimibili;
di notte fa dondolare la lampada
mentre la penna fluttua lentamente.

Una forma pari al fantasma del sole
con sorrisi che gelano durante il tramonto.
Il mago ci fissa, stranito e pallido,
ammette la presenza della Fine.

La salute si sfrangia, la morte si avvicina,
la mano è lenta e gli occhi si intiepidiscono.
Prossima la Fine, l’uomo sogna
ma nessun incantesimo la reprime.

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Cuore distrutto

“Annoda le mani sul mio petto”,
legge la sua ultima volontà.
“Poni la mia guancia sul cuscino,
che riposi dalla tempesta della vita
grazie al sonno, aggraziata fuga”.

“Annoda le mani sul mio petto”,
legge la sua ultima volontà.
“Che le ossa pazienti si fermino
in una forma di estremo ringraziamento
benché cupa”.

Abbiamo annodato le mani sul suo petto:
che misero scherzo è il mondo!
Abbiamo nascosto tra i fiori il suo dolore –
regesto di rose e di foglie
i giorni senza battesimo.

*

La fede del cinico

Tremano allo stesso modo i cuori
sotto l’eterea mano del Fato:
i cinici ghignano in piedi, ma i poteri
immortali premono perfino su di loro.

L’infinita fiducia di un innamorato che soffre
fino all’ultima goccia di sangue incendiario
non si lascia inondare dalle maree
del dolore, anche se i sogni sono polvere.

Le anime sprezzanti, dagli occhi luttuosi
ansimano sui loro mondi spettrali –
truci sentieri notturni, dove splendeva il giorno
quando la vita era più amabile del cielo!

*

Il suicida

Ombra trafugata dall’ombra,
viso che intaglia la notte,
mani che stringono una maniglia di luce
sguardo fisso sull’impasto oscuro
che si muove nero, in basso,
flutti letali del fiume che scivola in un mormorio.

La luna crolla concitata dal cielo,
i boschi chinano la testa, addolorati,
la nebbia è il sospiro del mondo:
un’anima sfida il domani.

*

Una vita sepolta

Il cimitero non ospita nessuno
che non sia stato amato, almeno una vota,
cresciuto orribile, dimenticato, lasciato solo.
Ma ogni agonia ha conosciuto il mio cuore –
neonati che muoiono, la deriva del delirio.

Visito ogni giorno le tombe oscure
vi seppellisco il mio pensiero oltraggiato;
porto gli insulti dell’amore tentato
il disprezzo dell’amore che desideravo.  

*

Sacerdozio della vita

Una donna non canta per se stessa
un canto di gioia. È come
il tordo quando chiude le ali
e ode il dolore nascosto, allora
costruisce una navata tra le foglie
vaga nel bosco e a se stesso ritorna.

Rose Hawthorne

Gruppo MAGOG