Parlare con le anime e con gli spettri, con l’essenza tremolante delle cose è concesso solamente a quella triste figura che “Cada vez huye más de los vivos, cada vez habla más con los muertos”. E l’ombra dei morti chiamati a colloquio è l’ombra dei cipressi che s’allunga, delle rose passe, del miele guasto, della natura che sprofonda trascinandosi tutto ciò che la circonda. Ed è per questo che le parole di queste tristi figure, immerse in quello che Unamuno ha definito “sentimento tragico della vita”, i loro fogli, come scrive Cristina Campo,
“ancora oggi sembrano intrisi di pioggia e di sole, abbandonati e ripresi a un perentorio richiamo che di continuo allacciava vita e poesia; così che anche la morte appare in queste donne essenza e naturalezza, come l’ombra intorno al frutto”.
E così, triste figura, creatura della soglia come altre sue consorelle Rosalía de Castro (1837-1885), dal suo candido letto orientato verso l’oceano, dal suo frutteto, intransigente ha intonato il suo illuso Credo.
“era innamorata della pianura, della valle del suo villaggio, Padrόn, eppure ugualmente provava repulsione per le pianure castigliane: pianura, sempre pianura!… E per quelle strade aspre, sentieri di frati e di morti, le cui tegole s’inumidivano nel silenzio dell’ostinata brina, bella e brutta allo stesso tempo definiva la città di Compostela, così ambita e detestata. Vivendo per qualche tempo in comunione con la pianura castigliana, non avrebbe potuto amarla e odiarla, ambirla e detestarla? Ma la sua povera anima tremava di freddo, tanto sullo spaventoso, sull’aspro e grave altopiano di Castiglia quanto nelle strade austere e gravi di Santiago di Compostella”.
Miguel de Unamuno (1912)
Così tremanti sono queste veglie in versi. Tutto è spasimo lì fra il campo solitario e il nido, fra l’arida scogliera e la germinante terra primaverile. Tutto è spasimo tra il nascosto seme e la smagliante pioggia.
Di seguito qui tradotta una selezione di versi da due delle opere più famose della poetessa galiziana follas novas e en las orillas del Sar già raccolte in un volume monografico della collana I Monografici di Rivista literary project nel 2022.
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Della vita, fra l’insieme molteplice degli esseri
no, non cercate l’immagine dell’eterna bellezza;
né il gioioso e sazio seno dei piaceri,
né il dolore acerbo nella dura asprezza.
È atomo impalpabile o spaventosa immensità,
aspirazione celeste, rivelazione muta;
l’intende lo spirito, non la nominano le labbra,
e nei suoi profondi abissi la mente s’ottenebra.
*
Dicono che non parlino le piante, gli uccelli e le fontane
né l’onda con i suoi canti, né la stella con le sue luci
lo dicono, ma non è vero, perché sempre quando passo
di me mormorano ed esclamano:
– ecco lì la pazza, sognando
l’eterna primavera della vita e dei campi,
già presto, molto presto, i suoi capelli saranno grigi,
già tremando, irrigidita, vede la brina che copre i campi.
Capelli bianchi ho sulla mia testa; brina ha il prato;
ma continuo a sognare, povera incurabile sonnambula,
l’eterna primavera della vita che sta svanendo
e la perenne freschezza dei campi e delle anime,
sebbene appassite l’une e gli altri già bruciati.
Stelle e fontane e fiori, non giudicate i sogni miei:
senza loro, come ammiravi, come viver senza?
*
Fissa un punto, pensiero inquieto;
la vittoria ti aspetta
amore e gloria ti sorridono.
Niente ti lusinga, niente t’incatena?
Lasciatemi sola, dimenticata, libera;
voglio vagare nell’oscurità;
solo lì, tanto dolce e senza rossore
mi bacia la mia più cara illusione.
*
Il fiume calmo il sentiero stretto
il campo solitario e la pineta,
e il vecchio ponte rustico e semplice
completano tanta piacevole lontananza.
Cos’è Solitudine? Eppure, un solo pensiero
basta a riempire il mondo.
Ecco perché oggi, sazi di bellezza, ritrovi
il ponte, il fiume e la deserta pineta.
Chi si innamora non sono né nuvola né fiore;
sei tu, cuore, beato o triste,
già arbitro del piacere e del dolore
che prosciughi il mare
e rendi abitabile il polo.
*
Ora dopo ora, giorno dopo giorno
tra cielo e terra rimasti
eterni guardiani,
come disperso ruscello
passa la vita.
Restituite al fiore il suo profumo
una volta appassito,
delle onde che baciano la riva
e che una dietro l’altra baciandola spirano,
raccogliete, le voci, i lamenti
e su una lastra d’ottone incidete le loro armonie.
Tempi che furono, pianti e risate,
neri tormenti, dolci bugie.
Dove lasciarono le loro tracce, dove, anima mia?
*
Io nel mio letto di cardi,
tu in un letto di rose e di piume;
vero fu il detto: un abisso, fra la mia miseria e le tue fortune
eppure non cambierei
il mio letto per il tuo: macchiano, avvelenano alcune rose
mentre i cardi, la loro asprezza,
al cielo ci conduce.
Rosalía de Castro
*Poesie tratte da Follas novas e En las orillas del Sar scelte e tradotte da Tony Vero