“Più luce!”, ovvero: di cosa parliamo quando parliamo di letteratura
Politica culturale
antonio coda
Nel tempo delle passioni tristi è confortante vedere che qualcuno tuttora si fa avvincere dall’estremismo del sentimento. Dal “pacatamente e serenamente” e attraverso la demonizzazione di qualsiasi eccesso dettato dagli impulsi, il passo verso l’arresto cardiaco per noia è breve. Il tiepidismo è la cifra del nostro presente. Anche l’amore sembra ormai diventato un qualcosa da assumere a piccole dosi – moderatamente, per favore, che altrimenti l’amato si offende, si altera e magari si ritrova con il battito accelerato.
Grazie al cielo, per consolarci da questo clima pre-mortem, ancora qualcuno a livello artistico esprime sensazioni straripanti, a volte anche indicibili, inconfessabili, addirittura pericolose. Bei tempi quando Manuel Agnelli, con quel suo cantato così fantasticamente malsano, esaltava – novello De Sade – il piacere sadico del “sei più bella vestita di lividi” – non ditelo a Michela Murgia, per favore. O quando l’irriverente Giorgio Gaber, in Io se fossi Dio, scagliava contro il pubblico dei versi che oggi, se rilanciati su Facebook, porterebbero come minimo alla chiusura del proprio account per dieci anni: “se fossi Dio rimpiangerei il furore antico/ dove si odiava e poi si amava/ e si ammazzava il nemico”.
La letteratura, per fortuna, è sempre stata avvezza – magari non proprio quella più attuale – a narrare l’inenarrabile, passioni folli e malate. Dal conturbante – fino al terrore – Lolita di Nabokov, all’eccesso sensuale di Luna di fiele di Pascal Bruckner, il meglio della produzione in prosa e versi racconta di ciò che non si può arginare né sopportare, sensazioni così intense da far tremare i polsi.
Nella rosa di questi reprobi ancora animati dal coraggio delle proprie emozioni rientrano a pieno titolo i Kaufman con il loro ultimo singolo (in collaborazione con Galeffi), Malati d’amore. Impossibile non notare l’accostamento tra l’idea di vicinanza sentimentale e patologia. Una cosa simile di questi tempi suona impronunciabile, sventata, da censura. Roba che a leggere certi versi, senza sentire la dolce voce di Lorenzo, il cantante, qualcuno potrebbe chiamare subito il centro antiviolenza: “Mi piace quando mordi la pelle, quando lasci segni rossi sulle spalle”.
I Kaufman cantano di un sentimento fatale come una malattia (“ci scambiamo virus con la saliva”, “anche se non respiro/ Non condivido il tuo virus con nessuno”) che si insinua nella quotidianità (“Mi piace quando guardi Black Mirror, quando balli la house dentro il bagno”). L’amore pervade e intride ogni momento, non dà scampo, proprio come una patologia, alla stregua di un male incurabile che condiziona l’intera esistenza, e dal quale il soggetto che lo sperimenta, mosso dall’ambivalenza di eros e thanatos, giustamente non desidera riaversi (“e non voglio guarire da te”). Al contrario, va verso la felicità con la consapevolezza che questa non può esistere senza tutti i suoi contrari: il dolore, il travaglio, la paura, il male.
Matteo Fais
*Il nuovo singolo dei Kaufman, “Malati d’amore’, lo ascoltate qui