22 Luglio 2023

Vita anonima di Roger-Arnould Rivière, “l’apostolo dello squarcio”

A vederlo, nelle rade fotografie, non sembra neanche un poeta. Giacca&cravatta, valigetta nella destra, porta gli occhiali; evanescente eteronimo di se stesso. Sembra un ragazzo in uniforme, tradito, semmai, dalle labbra, spesse, acini di una vita sognata. L’esistenza di Roger-Arnould Rivière è priva di eventi eclatanti, pare svolgersi nei calanchi di una allucinata interiorità. Nato a Tarare, piccolo comune nel Rodano, il 21 marzo del 1930, studia letteratura inglese a Lione. Lo affascina, soprattutto, l’opera di Dylan Thomas, quell’esplosione stellare del vocabolario; legge e.e. cummings e Cesare Pavese, in cui rintraccia arcane complicità. Il suo esordio alla poesia accade con un poemetto, Entre cri et silence, scritto per lo più in latitanza, composto e ricomposto, pubblicato dal tipografo José Millas-Martin nel 1953 come Masque pour une ordalie. Il libro è avvolto tra le garze di un silenzio critico quasi clinico: soltanto André Breton si accorge della bellezza cupa di quei versi, travolti da un’ispirazione piena di spine.

Impegnato in politica tra le fila dei socialisti – ma l’esperienza lo fiacca presto –, insegnante di inglese al liceo di Lione, nel 1955 Rivière sposa una giovane anglista. Il male di vivere ha ragione di lui: il 16 settembre del 1959, il giorno dopo l’inizio dell’anno scolastico, il poeta si suicida, con il gas, nella sua casa. Lascia, su un tavolo, il verso di una poesia da poco conclusa: “Ho vissuto per conoscere, non ho imparato a vivere”.

L’opera di Rivière non ristagna tra gli esclusivi canoni della poesia francese: il poeta, inscritto nella categoria dei lirici vaganti, inattesi, che nulla si attendono, ha scritto molto, quasi a forgiarsi un contro-sole, in un isolamento che abbaglia. Nel 1963 Guy Chambelland pubblica l’edizione delle Poésies complètes di Rivière; nel ’72 il suono nome torna a circolare perché Pierre Seghers, l’amico di Aragon e René Char, l’editore di Anna Achmatova, Ghiannis Ritsos e Pessoa, il paroliere di Juliette Gréco e Léo Ferré, lo inserisce nell’antologia Poètes maudits d’aujourd’hui. Di un ‘maledettismo’ spirituale, intimo, non diagnosticabile, semmai, è campione Rivière, che si diceva, fino all’estrema scelta, “creatura di luce” – c’è chi muore per eccesso di purezza.

Refrattario perfino alle scoperte postume, quasi a voler restare l’assoluto appartato, Rivière è protagonista di un “Dossier” allestito nel 2008 dalla rivista “Les Hommes sans Épaules”, che raccoglie testi critici e poesie fino ad allora inedite; da quel fascicolo abbiamo estratto parte dell’editoriale di Christophe Dauphin, inaugurato da un verso emblema di Rivière: “sia la mia offerta, il più succoso sputo”. Non a tutti i poeti è dato diventare ostia – di altri va amato lo scostumato corpo, che non si spezza.

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“Non aveva compiuto neppure trent’anni, Roger-Arnould Rivière, quando è morto. In vita, ha pubblicato, in duecento esemplari – di cui dieci autografati, con disegni di Cricor Garabétian –, un’unica plaquette, Masques pour une Ordalie (ed. Paragraphes, 1953), la cui prima stesura, che comprendeva il doppio delle poesie, s’intitolava Entre cri et silence. È intorno a Masques pour une Ordalie che André Breton ha scritto: “Dalla prima all’ultima, sono ammirevoli queste poesie… denso, fluido, struggente, immaginoso, il lirismo di Roger-Arnould Rivière traduce il mal di vivere con un forza e una lucidità senza precedenti: Apostolo dello squarcio – dio che si sbriciola nel grano – nel grande urlo – del pollice tellurico”.

Breton è stato uno dei pochi a riconoscere Roger-Arnould Rivière, poeta altrimenti totalmente ignorato in vita. Dobbiamo dunque biasimare i critici che hanno ricevuto quel libro, nel 1953, per non averne subito riconosciuto la forza sontuosa e tragica allo stesso tempo? Dieci anni dopo gli sarà resa giustizia. Per interesse del poeta Raymond Busquet (1926-1979), nel 1963 le poesie di Rivière sono pubblicate da Guy Chambelland. Busquet offrirà del poeta un bel ritratto, nell’antologia allestita da Pierre Seghers, Poètes maudits d’aujourd’hui: “Rivière praticava la poesia come un’ascesi masochista. La creazione era per il poeta ferita originaria”. Tuttavia, poco resta, oggi, del lirismo cupo, velenoso, mirabile di questo poeta. Oggi non basta scrivere poesie intagliate nella meraviglia per affermarsi come poeti. Sono troppi quelli che ancora confondono l’uomo di lettere con l’uomo dell’essere, la versificazione con la creazione, la gratuità verbale con la poesia, questa lingua d’asfalto con l’aura, e prendono la macchina linguistica per il poema, l’olio per lo stoppino, l’esteriorità per l’interiorità, il martello per l’incudine, il cliché per la metafora, il folklore per il fato, l’avanguardia per la retroguardia. Il poeta ha il dovere di osservare, di attendere e di essere attento, in perenne veglia; non di scrivere. La poesia è una forma della vita, non l’esegesi di un dire. Alcuni ammucchiano poesie senza riuscire ad essere poeti, altri, che non scrivono neppure un verso, si dimostrano autentici poeti.

Christophe Delfino

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Ti riconoscerò, dolore, dalla tacca luminosa
girasole a dispetto, fiore del fango e del fuoco
ruota senza mozzo, faccia senza prospettiva
a lungo legata all’anello del sole
accerchierò questa vertigine di vuoto rosa e crudo
porcellana lacerata da lame e da grida
per tuonare il fracasso di un nome
che risuona anima e carne
e nel cerchio delatore, nel miele della voce
su spazi di occhi a corolla
contraddico la presenza inquieta dell’ignoto
che resti nella sua desolata calma
presso il multiplo dei crestati venti
pace – per me – nel sangue differito dall’argilla.

*

Cranio di lascivo piombo
contenzione dei miei anni
sotto i tuoi stretti panni
la viscida vita
insurrezione del diritto ventre

Desidero accucciarmi
su greti di sale
dove gli odiati scorpioni
si leccano le mollezze a vicenda

Passioni in pus
fortuiti gonfiori al latte
gli organi e il sesso
esplodono sotto la bianca unghia

di cime appena potate
afferrate e metà inseguimento
tra la purezza e l’aperto.

*

Conosco la carezza del primo mattino, la brutale indifferenza di mezzogiorno, la subdola inversione serale
conosco il salto vertiginoso della notte a picco, l’allucinato orizzonte del giorno
conosco tutte le altezze, tutte le bassezze – la cima da cui si cade, il basso da cui non si risale
so che la via del dolore ha un numero limitato di stazioni
conosco il respiro affannato, il respiro sfitto, l’alito fetido, gli effluvi dell’aria vitrea, i fumi della città
conosco gli abbracci a vuoto, il seme sputato per disprezzo sulla porcellana
conosco il volto della parola respinta con uno schiaffo
so l’amicizia e l’amore senza albume
so gli ormeggi rotti, il collo spezzato, le usurate suole e il loro denominatore comune
conosco quale bomba contiene la medesima buccia sonora dei battiti del cuore, che battezzano una intera vita –
ho vissuto per conoscere e non ho imparato a vivere

*

Stagioni dell’uomo

Lenta figura dove la nascita
imprime il suo tedio
al cercatore, folle di non essere
anima di un gesto d’oro.

Vacillante cerca
sul ponte degli enigmi
le anime inquiete
aspirano alla terra.

L’aria lesa e il vento
che scurisce il viso
irreale e commovente
di corifeo selvaggio.

L’umile desiderare svanisce
nel freddo della dimora
su questo letto a corolla
dove mi fanno morire.

Roger-Arnould Rivière

Gruppo MAGOG