Soltanto lui poteva essere Braccio di Ferro e Peter Pan. Era il Popeye ironico, perfino improbabile, di Robert Altman; fu il Peter Pan adulto di Steven Spielberg, il cinico Peter che opta per la calzamaglia erbacea e torna atletico istigatore di sogni. Manifesto del ‘peterpanismo’? Piuttosto: bisogna considerare che il mondo dei sogni è un pianeta feroce, dove si muore continuamente per non morire mai. Quante volte avrà voluto, Robin Williams, uccidere le sue maschere, prima di uccidersi?
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La lotta contro Hook. Capitan Uncino, interpretato da un blasfemo Dustin Hoffman, per altro, sarà cinematografica. Nel 1993 Popeye-Peter Pan mette trucco, occhiali e gonnone, diventando Mrs Doubtfire: sfida, due lustri dopo, al micidiale Tootsie di Sydney Pollack (vince Hoffman ai punti).
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Ogni tentativo di declinare in aggettivi il talento di Robin Williams s’inoltra nel patetico o nel bondage della critica cinematografica – lascio aria ai vari Mereghetti, Morandini, Farinotti, farina fina. Io ho capito questo. Robin Williams, da Mork in poi, ha sempre flirtato con l’altro, con gli altri mondi, con i mondi fantastici (nelle Avventure del barone di Munchausen secondo Terry Gilliam è il Re della Luna…), con l’alterità che grava a grappoli nel costato dell’uomo, sottopelle, nel sottocutaneo della psiche.
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In Risvegli è il dottore che dialoga con i catatonici; in Will Hunting è lo psicologo che risveglia il talento affettivo del ragazzo, confessando la propria tenebra; ne La leggenda del re pescatore è il prof che si fa barbone per espiare i respiri della colpa. Robin Williams è una specie di Hermes con la faccia di gomma, il sorriso che spiazza Ade.
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L’attimo fuggente, pubblico trent’anni fa, questo fragile elogio della poesia che cambierà il mondo – “Ogni cosa è soltanto una metafora; esiste solo la poesia” è la frase che chiude Corpo d’amore, il testo più profondo di Norman O. Brown, il filosofo anarchico idolatrato da una parte del ’68 – non ne nasconde la tenebra. A forza di titillare i sogni dei suoi alunni, il professor Keating ottiene come risultato un suicida.
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In ogni atto, l’altro lato, l’altra faccia. Il soldato che in Vietnam afferra un microfono al posto del mitra (Good Morning, Vietnam!); l’adorabile checca in Piume di struzzo, remake de Il vizietto secondo Mike Nichols; il temibile Walter Finch di Insomnia, chirurgico thriller di Christopher Nolan in quinta nordica, ipnotica, con Al Pacino. Robin Williams è un cattivo memorabile: dietro la maschera da Peter Pan, il mostro.
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E la morte in qualche modo ci decreta. Cinque anni fa, 11 agosto. L’assolo estivo su Paradise Cay viene straziato da un suicidio. Robin Williams. Appeso, cintura al collo, camera da letto. Finalmente, Robin – nome leggero, aereo, furfantesco – si toglie la maschera. Al posto del viso, c’è un buco oscuro. Gli anni Ottanta, marziani, a effluvio di cocaina, la depressione, la paranoia, l’allucinazione, la scoperta del Parkinson – Peter Pan non può tremare, non può afflosciarsi nel male…
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Domenica, leggo, Sky Cinema Due dedica il palinsesto intero a Robin Williams, in memoria. Si parte da Jumanji (ore 10,30) si chiude con The Final Cut. In mezzo, i grandi film, da Good Morning, Vietnam! a Hook. Capitan Uncino e Will Hunting. Come condimento, il documentario del 2018, Nella mente di Robin Williams. Un atto doveroso, di gioia, per un genio.
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Di certo, l’arte chiede il sacrificio della tua identità per interpretare quelle di altri. Fino a che l’immaginario – prima che l’immagine – non vince sulla vita. E Robin Williams, ad esempio, il divo, sommerge e soffoca, con claustrale prepotenza, il piccolo Robin, nato al St. Luke’s Hospital di Chicago, figlio di Robert e di Laurie, con sangue gallese nelle vene. Togliersi le maschere è un’ulcera.
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Quando vidi Hook pensavo, sinceramente, che ci fosse l’Isola che non c’è, che fosse possibile volare, bastava volerlo, e che l’ordine costituito è una pirateria. Poi ho capito che basta dire una parola, ‘cielo’, e ci sei già, nel cielo, che immaginare è far accadere le cose. “Vivere può essere un’avventura straordinaria”, dice Peter Pan/Robin Williams. Di certo, Robin Williams ha vissuto in modo non ordinario. Non ci ha negato il lato oscuro – ne è stato preda. (d.b.)