27 Febbraio 2020

“Forse è stato l’uomo che ho amato di più nella mia vita, di certo è uno per cui ti vanti di essere italiano”: ode sopra l’intelletto di Roberto Sanesi

“Ci sono uomini che amano il futuro come un’amante, e il futuro mescolava il suo respiro con il loro e scuoteva i capelli intorno ad essi e li celava alla comprensione della loro epoca. Uno di questi uomini era William Blake, e, se si espresse in modo confuso e oscuro, fu perché parlava di cose per le quali nel mondo a lui noto non trovava modelli atti a esprimerle. Blake annunciò la religione dell’arte”, W.B. Yeats

Mi risulta faticoso ed emozionate affrontare questa storia, la storia di uno dei più potenti maestri del pensiero del ’900 italiano, Roberto Sanesi, uno di quelli che posso dire di aver conosciuto e respirato profondamente, e di come iniziò così la mia una lunga strada di apparizioni e di scommesse, ma soprattutto di illuminazioni, da qui nacque il mio amore e la mia dedizione per l’avventura più grande della mia esistenza, la fede per la più immaginifica religione, quella dell’arte.

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Sanesi era un grandissimo figo, uno di quelli che ti spiegava subito che se conosci resusciti, e che la mente è potere, come lo era la porpora per i Fenici, e che il senso di certe parole e la metrica possono cambiare il corso della storia e di molte esistenze.

Ecco, era questo il suo modo per farti capire la strada, una strada ha mille altre porte, dove i rimandi e le coincidenze erano il legante eccellente e perplesso della storia, e del come nulla accade per caso. Nel corso dei tempi, le epoche si parlano attraverso i propri avventori, alcuni artisti attraverso le loro apparizioni dipanano non solo il presente, ma anche il tempo a venire, precostituiscono un futuro azzardato di consonanze e di visioni parallele, in pratica sono dei medium che percepiscono gli avvenimenti futuri, le strategie dell’esistenza, le immaginifiche porte della conoscenza che il mondo deve ancora intuire. Tutto torna, ed è tutto un richiamo a qualcosa.

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Sanesi poeta, era in grado di lavorare su una notevole varietà di forme metriche, aneddotico, filosofico, metafisico, fu un grande traduttore della poesia inglese e americana.

Ha tradotto varie versioni italiane delle opere teatrali di Shakespeare, Marlowe ed Eliot, ha scritto e tradotto libretti per produzione d’opera, tra cui Turn of the Screw di Benjamin Britten. La sua carriera di critico iniziò negli anni ’50 per la rivista “Aut-Aut” e fondatore delle Edizioni del Triangolo. Ha tradotto moltissimo T.S. Eliot. Scrisse di arte e di letteratura senza distinzione, collaborava con il “Corriere della Sera”. È stato insegnante di letteratura comparata, dal 1970 al 1975 è stato direttore artistico di Palazzo Grassi a Venezia. Fu lui stesso tradotto da poeti come William Alexander, Richard Burns, Cid Corman e Vernon Watkins.

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Fare arte collegando passato e futuro non si chiama forse occultismo? E l’arte non parla di magia e previsioni ancora sconosciute?

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Da William Blake imparò una delle cose che fece per tutta la sua vita, l’arte dell’incisione, e così ci spiegava che un artista ha mille vite, e che può essere scrittore di antropologia culturale, traduttore, attore, sceneggiatore, pittore, direttore museale, e poi poeta, ma la poesia di Sanesi era intrisa nella sua carne e nel suo sangue, quello profondo, quello che consacrava la sua gigantesca discendenza dai grandi Maestri del pensiero; la sua selezione lo portava ad essere ammirato ed amato. Chi lo guardava da lontano o chi come me lo spiava della fessura della porta dell’aula dopo avergli lasciato un bacio perugina sulla cattedra in facoltà prima che lui arrivasse e così per lui diventai Pollicino, esattamente come quello delle favole che lasciava un filo al suo passaggio.

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La comunicazione dell’arte è una sola, i mezzi infiniti, i parallelismi hanno un senso di conoscenza senza i quali non avremmo letto alcune tracce antiche nascoste tra le trame di quello che sarebbe diventato poi l’avvenire. Vorrei essere delicata come il silenzio, far parlare il movimento delle palpebre così perché il resto si crei da solo, senza forzature, vorrei una pace tale da poter riconoscere la grandezza. È questo che ci voleva far capire, la maestria dell’eleganza, il super potere della conoscenza, la gigantografia della letteratura e l’incommensurabile bisogno che il mondo ha di poesia e di conoscenza.

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Ogni grande monumento umano non fa chiasso, il chiasso lo fanno i cialtroni, e i disertori dell’informazione, quelli che non hanno cura nel dire, ma solo della notizia.

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Servono mille voci silenziose e profonde come l’epoca più ancestrale, e così mitigo tra i tempi per raccogliere le speranze della terra, che sia madre o inferno poco importa, la conoscenza la si scova nell’ostinata necessità di sapere e quando riconosci che tutte le vie sono collegate allora hai la forza dei giganti e nulla ti può scoraggiare ma nemmeno oltraggiare.

Mi ha insegnato il paranormale, e il misticismo, ma anche l’evoluzione di una specie rara, quella sacra degli avventurieri terreni. Siamo tramiti di conoscenza e lo sappiamo. Eliot lo scelse in persona e gli disse “mi serve un poeta per tradurre le mie poesie” e così fu.

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Si devono salvare solo le menti indispensabili, le atre voleranno in altri spazi più consoni al gesto finito, non alla mente, difenderemo la storia per proteggere le menti. E si lasci al sole il resto, se sarà fiore germoglierà, se sarà altro si dissecherà per diventare cenere. Non ce ne andiamo realmente se lasciamo delle tracce nelle menti di altri e poi di altri ancora. E in tutto questo dove sta la differenza tra terrificante e santificato? Dove le sette del tempo avevano differenza con certe chiese? Sia una potente rivoluzione a disarmarci, qualsiasi essa sia, purché desti coscienze e conoscenze. Non di certo questi contrabbandieri odierni dell’informazione che disobbediscono al principio fondamentale della coerenza, alzano una voce che non ha parole, in nome di un popolo che non conoscono, per stupire i più deboli, educandoli così alla sottospecie umana con obbligo di sopravvivenza. Qui sta l’infamia e qui sta il diavolo vero, per chi ci crede, nella più brutta specie d’insolenza, di questi uomini di paglia e di queste donne di gomma.

Ho riletto in questi giorni l’articolo che il “Guardian” gli dedicò qualche giorno dopo la sua morte, narrava del suo entusiasmo e dei suoi viaggi. Era il suo fascino prepotente che te lo faceva osservare in ogni dettaglio, quasi a voler carpire come si vestiva la cultura e che voce aveva.

Il sapere ha degli abiti, possiede occhi diretti e ininterrotti, conosce oltre le parole, declama prima dei fatti, legge il futuro attraverso le convergenze del passato, e ogni tanto ha un nome e cognome.

Serve uno stato mentale libero per poter leggere oltre gli schemi e Sanesi era uno che ti sceglieva perché diceva che eri già stato scelto prima dalla storia e dall’arte stessa. Forse è stato l’uomo che ho amato di più nella mia vita, di amore platonico s’intende, uno che sceglieresti per scappare dall’altra parte del mondo e di cui sei certa che non ti basterebbe altro. Se fosse già il primo giorno di Primavera probabilmente saremmo tutti più felici. Ricordo uno dei suoi ultimi libri di poesie “Il primo giorno di primavera”, portava questo titolo, era la rinascita che cercava…

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Lui era uno di quelli che l’ha fatto il ’900, quando ancora l’intelletto era vittoria, quando la cultura era ancora vanto e frastuono, quando la sapienza di pochi realmente istruiva i più.

Roberto Sanesi era uno per cui ti vanti di essere italiano, uno che ami perché ti fa amare le menti e il sapere, uno che per filosofia e scelta pensava che fosse doveroso salvare solo gli indispensabili e abbandonare gli uomini di paglia al fuoco del primo sole.

Era un sorvegliante del mondo, un essere in continua evoluzione, una sorgente di idee, creava per lasciare, creava per essere, viveva in funzione di una certa salvezza che allietava forse gli anni più belli di questo strampalato paese, il ’900 fu per alcuni la vera necessità di creare delle scale che si potevano percorrere da tutti, su gradini diversi, ma per tutti.

Il disagio è un’imposizione tematica che si sceglie, talvolta celata dietro una parvenza di non scelta, quelli dell’entusiasmo e resurrezione no, quelli devono condurre e vincere.

Era un entusiasta sorvegliante di porte parallele.

Istruiva fasi e competenze.

L’adattamento al disagio del paradosso non l’ho mai visto in lui.

A volte parlava di coincidente esemplari come se la storia non avesse nessuna distanza se non quella temporale ai più conosciuta come corsi e ricorsi storici.

Ho visto gente uscire dall’aula impaurita e lui con un meraviglioso assenso si fumava la sua sigaretta soprassedendo.

In una società come questa di intellettuali disadattati e disagiati, già, perché il disagio nasce dalla profonda insoddisfazione di sfondare in un mondo altrettanto contorno e vuoto di ideali, nella parvenza somigliante alla difesa dell’essere umano, ma nella realtà risulta una gigantesca mancanza di apparenza che serve solo a colmare di parole e non di fatti e non conforme alle buone regole di vita.

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Se vuoi essere devi comprendere, se vuoi far crescere una generazione la devi interpretare e spingere sostenendola con grazia, dove la serenità dei gradi di conoscenza era traguardo non gioco di recensione.

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Roberto Sanesi lo conobbi negli anni Novanta, era il mio insegnante di antropologia culturale all’Accademia di Belle Arti Cignaroli e diventò poi il mio relatore di tesi, “La voce nell’immaginario dei segni”, così si chiamava.

La prima cosa che mi disse quando timidamente gli chiesi se poteva seguirmi per questo gigantesco lavoro, fu: si certo, recupera il libretto scenico di “Giro di vite” un’opera lirica di Benjamin Britten, su libretto della scrittrice Myfanwy Piper, tratto dal racconto di Henry James del 1898, e poi studia Schönberg. Chi era per me Britten allora? E che ne sapevo al tempo di Schönberg?

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L’ho cercato per anni in mille volti, in mille voci, nei gesti, nelle ripetizioni, dei cerchi concentrici, ma solo pochi sanno percorrere quelle strade sconnesse senza paura, e solo alcuni riescono a tradurle.

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Era un procedere di un esistenzialismo aristocratico, l’unico possibile, viste le conseguenze che leggiamo oggi tra le righe di “alcuni” sagaci approfittatori. Una generazione parte di quell’appartenenza di pochi e rari individui che di cui Rinnovato e Innovazione erano i temi fondamentali.

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Vorremmo una primavera dove l’autonomia del rinnovamento crea e disarma i disagi. Non il nulla travestito da scheletro in decomposizione. Esattamente come il procedere lento verso un buio che sa solamente di arroganza e presunzione.

Come diceva Roberto Sanesi: “in qualsiasi tipo di aggregazione…”.

Spiace l’insolenza di alcuni che scrivono con una penna senza inchiostro, cercando tra le frasi sconnesse quella che ha più senso per i servi della gleba, quelli che non sanno perché preferiscono non sapere, perché il sapere regala ali, ma i voli per molti sono pericolosi.

Con l’avvento dei social è stata distribuita una pistola carica ad ogni singolo individuo di questo mondo, peccato che i più non abbiamo il porto d’armi. Lui odiava anche i libri a basso costo, diceva: “si autodistruggeranno! Di quella carta non rimarrà nulla, e sarà come cancellare la storia”. Diceva che i libri meritano pagine eterne, carte bellissime, stampe a centomila colori.

In questa valle infinita di messaggi tra individui, in questo crescere di collegamenti fondamentali alla salvezza, ci stiamo affossando in ridondanti argumentum ad hominem, dove in questo caso i professori sono dei gran somari.

Salviamo l’indispensabile e stacchiamo la spina con eutanasia immediata dell’intellettuale pop, per capirci di quello che parla di un tema che ai più sembra attuale ma che nella realtà si vomita addosso.

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Si diventa star solo se si nasce idoli. “Dedicato a quel branco di cialtroni che si riempiono la bocca di disumanità e falsi credo.” Accattoni del sapere oserei.

Si comprende se ci si sforza ad intendere l’empatia che esiste nella comunicazione.

Vi risputo in faccia l’odio che avete nella vostra imprecisa comprensione delle convergenze, siete i soli falsari di una supponenza disarmonica.

Questo sociale specifica la parte del mediocre, della vittoria del mediocris, se vince l’individuo medio si salva la feccia di quelli che si permettono di insultare la corrispondenza tra menti superlative.

Gli indispensabili servono perché a loro malgrado fanno la parte di una categoria di protezione del genere umano. Quanto aspetteremo prima che sia riconosciuta dal mondo una gigantesca riconoscenza tra menti, una riconoscibilità forse saremmo salvi.

In ogni frase c’è un messaggio subliminale, la vera informazione è quella della rilettura, la decifrazione di messaggi della medesima attinenza,

Gli intellettuali e gli artisti in genere operano su comuni affinità culturali, spesso lasciando messaggi cifrati nella loro opera, la sublimazione dell’Io culturale fondamentale. Così come accade tra contemporanei questo è sempre accaduto, il principio è quello analogico.

L’analogia ci spiega la storia delle Sincronie.

La fisica quantistica ne vorrebbe parlare, accenna a tutto ciò, ma non riesco a scorgere ancora delle combinazioni favorevoli.

Come ci innamora della cultura?

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Prendo ogni sua parola e la traduco, la scompongo in mille pezzi. Le analogie interne, le suggestioni traverse, le ambiguità interpretative.

Nei tre aspetti generali della bellezza: integritas, consonantia e claritas, la grandezza del mondo si manifesta per frammenti ma non separatamente, questo era l’insegnamento di Tommaso D’Acquino.

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E qui trovano spazio i disertori dell’informazione.

Avanguardisti contrabbandieri ci stanno portando ad un’assurda e fuorviante verità, e di quei maestosi maestri dell’informazione rimangono briciole assolute, e noi costretti a doversi bombardare di passato e ricorrenze per ricordarvi che c’era una storia ma prima ancora una dimensione mentale che definiva l’intelligenza e la basilare verità della pazienza umana.

Della vergogna non ne parliamo, gli intellettuali erano una sorta di tramiti tra cielo e terra non detrattori della realtà, falsificatori di vite umane. Giornali ricolmi di panzane, favoleggiatori disinvolti, eccolo il buco nero della comunicazione, eccola la verità stravolta, ecco l’apparenza che dissimula il reale. E noi siamo cresciuti con quei Roberto Sanesi di turno che andavano a gara per leggere le più grandi gigantografie storiografiche.

Di quel matrimonio ci raccontavano le gesta, perché nell’equilibrio degli opposti c’è un’assoluta inderogabile verità.

Sia la pazienza di alcuni, rari promotori consapevoli, la verità si chiama per puntare al meglio, non per dissimularla.

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L’intelletto è rivoluzione.

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Siamo deboli come il cristallo, vorremmo paradisi ma poi non sappiamo viverli se non negli inferni più crudeli della nostra vita.

Sia l’astrazione a colmarci di sapienza, gli angeli in terra sono quelli che dipanano la conoscenza, la sottraggono alla massa informe di fanciulli adoranti e di infamie.

La Sapienza è una perla consacrata e non cosa da paracadutisti senza zaino.

Ci riempiamo la bocca di intelletto ma poi c’è solo una vera malattia sociale.

Codici e affascinazione come qualsiasi cassaforte serve capirne la combinazione.

L’uomo cade e sputa, sputa e cade e raramente impara.

Pochezza, violenza e presunzione.

Dal momento che sei qui, resta con noi, gli altri pensano tu sia andato, ma non sanno.

In questa infinita avventura di cui ancora non so distinguerne la realtà dalla fantasia, prima o poi mi spiegherai che c’era in cantina e perché il glicine ha già completato il suo destino.

Elisabetta Fadini

Gruppo MAGOG