25 Gennaio 2020

Che cosa ci fa Rita Pavone nell’ennesimo romanzo incompiuto di Roberto Bolaño? Ovvero: elogio dell’altro mondo dove gli scrittori morti continuano a scrivere

Entrare in una libreria e chiedere i romanzi incompiuti degli scrittori morti, potrebbe essere la mia nuova passione. È successo la settimana prima con Netočka Nezvanova di Fëdor Dostoevskij, ripubblicato da Feltrinelli, è successo la settimana dopo con Roberto Bolaño e il suo Sepolcri di cowboy, per Adelphi.

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D’altronde dovrebbe andare sempre così: non che degli scrittori si pubblichino le opere incompiute ma che chi si procura un romanzo sappia che a scriverlo è stato un fantasma, ovvero qualcuno che forse c’è stato, durante il tempo della scrittura, ma che adesso non c’è più, non obbligatoriamente perché sia morto: lo scrittore, quando lo è, è sincronico all’opera che ha scritto; le vicende umane precedenti e successive di chi ha scritto l’opera sono fuori contesto, sono morbosità per pettegoli, sono showbiz, non letteratura, ma la letteratura già è economicamente morente, eliminare lo showbiz sarebbe darle il colpo fiscale di grazia.

Nel caso di Bolaño non si può mai parlare a sproposito di showbiz: bisogna battere la rotativa finché è bollente. Bolaño piace, è morto circa diciassette anni fa ma sul mercato editoriale è vivissimo: i suoi romanzi sono segnalati come i più significativi del nuovo millennio nelle classifiche di fine anno dei giornali, non se ne ha abbastanza, ci si è rivolti alle poesie: quando di un romanziere si arriva a tradurne le poesie, dopo la raccolta delle rubriche di giornale, dopo le piccole conferenze, le interviste e i lavori incompiuti, significa che il cannibalismo del lettore è ancora al suo apice; e che il romanziere sia nato poeta poco conta, poco importa che sia diventato anche romanziere proprio perché se la letteratura è economicamente morente lo poesia ha già ricevuto le estreme unzioni, più volte.

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Leggere Sepolcri di cowboy è leggere il lavoro di un fantasma.  Fin dal copyright. I diritti appartengono a The heirs of Roberto Bolaño, sono loro gli evocatori dello scrittore morto. E quelle scarne informazioni sull’aletta posteriore del libro come fanno sognare gl’aspiranti esperti del Cileno Tildato! Incastriamo i pezzi: Sepolcri è stato non-scritto tra il 1995 e il 1998, cioè tra La pista de hielo e Los detectives salvajes, lo attesta la pagina spagnola di Wikipedia dedicata a Bolaño; considerata la maturità dello stile secondo me più verso I detective selvaggi che verso La Pista di Ghiaccio. Patria è datato tra il 1992 e il 1993 ma come non sbalordire di fronte al capitolo “Il gioiellino della Lutwaffe”? “Era il miglior aereo del mondo”, e ci metterà qualche altro anno ancora per diventare il protagonista di Estrella distante (1996). “Commedia dell’orrore di Francia tra il 2002 e il 2003”, riporta l’aletta. Bolaño è morto il 14 luglio del 2003. Se per gli altri due non si può dire il motivo, per quest’ultimo una ipotesi sulla ragione dell’incompiutezza del romanzo la si può avanzare: c’era 2666 da portare avanti, ad avere la priorità, poi è andata come è andata: morto Bolaño, incompiuto 2666, incompiuto Commedia dell’orrore di Francia. Cosa importa? 2666 è bellissimo così com’è, la bellezza è sempre compiuta in sé stessa, pure se all’interno di un frammento, sia esso di una trentina di pagine come in Commedia dell’orrore di Francia, sia un frammento di poco meno di mille pagine come in 2666. 2666 è un esauriente romanzo incompiuto. Allo stesso modo Commedia dell’orrore di Francia può andar bene nella sua interruzione: un’eclisse e una convocazione via cabina telefonica da parte del Gruppo Surrealista Clandestino possono bastare.

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Il lettore ha il diritto di essere infedele, di deviare l’intenzione dell’opera dello scrittore, di imputargli consapevolezze che neppure si sognava. In Sepulcros de vaqueros… Bolaño nel titolo scrive vaqueros, non cowboy, la traduttrice Ilide Carmignani, voce italiana di Bolaño, ha le sue ottime ragioni per utilizzare cowboy per vaqueros, una su tutti secondo me è che se inserisci vaqueros in un traduttore online dallo spagnolo la prima risposta che ottieni è jeans; in Sepolcri di cowboy l’allitterazione già ne esce indebolita, rispetto all’originale, ma Sepolcri di jeans sarebbe diventato proprio un altro romanzo, per quanto molto bolañesco anche lui…  In Sepulcros de vaqueros chi dice io nella storia (incipit: “Mi chiamo Arturo e la prima volta che ho visto un aeroporto era il 1968”) dice: “Inoltre, lasciavo indietro un mucchio di cose non fatte”. È evidente si riferisca ai romanzi incompiuti, anche a quelli che nel 1998 ancora non aveva neppure iniziato a scrivere, a immaginare. In Patria è stato ancora più preveggente (a dire io è il caro signor Belano, caro a Patricia Arancibia, la deseparecida del romanzo incompiuto ma non deseparecido); in Patria scrive: “Mi alzo in piedi come un fantasma”. Ma è in Commedia dell’orrore di Francia che la visione è pronta per essere formulata in modo inequivocabile: “Per fare un paragone, è come se in una stanza vivesse una persona in carne e ossa, come lei o come me, e ci vivesse anche, ma non so se vivere è la parola giusta, un fantasma”. Esattamente la situazione di un lettore quando se ne sta da solo in una stanza a leggere un romanzo, cioè la mia mentre leggo Sepolcri di cowboy di Roberto Bolaño. Diodoro Pilon è come si chiama chi dice io in Commedia dell’orrore di Francia.

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Il romanzo incompiuto Sepolcri di cowboy ha al suo interno un racconto: “Il racconto era incompiuto”. Un racconto bislacco, su delle formiche extraterrestri che colonizzano una piantagione della contea di Jefferson, in West Virginia. Arturo costrinse un gesuita a leggere il racconto incompiuto; aveva incontrato il gesuita a bordo della Donizetti: “Quello con cui parlavo più spesso era il gesuita. Una sera, appoggiati al parapetto della nave, mentre ascoltavamo alle nostre spalle canzoni di Rita Pavone, mi fece una conferenza sul pensiero di Erasmo e di Spinoza nelle lotte di liberazione latinoamericane”. Rita Pavone? Doppia sorpresa per il pubblico italiano: Rita Pavone torna, a Sanremo e in un romanzo incompiuto di Roberto Bolaño.

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Che direzione o che destinazione avrebbe mai potuto prendere il romanzo Sepolcri di cowboy? La letteratura di Bolaño non approda. È cammino, è vagabondaggio, è esplorazione. Un romanzo incompiuto di Bolaño lo reputerei tale se avesse un punto fermo impossibile da spostare, da tirare giù per un’altra frase, per un’altra storia. Un romanzo incompiuto del Cileno Tildato (dico così perché scrivere Cileno Tildato mi fa meno fatica che ricopiare la enne con la tilde nel cognome Bolaño) non sarà mai un viaggio a vuoto, considerato che il cammino varrà almeno la lettura di un tramonto: “Disse che la gente a volte restava a lungo a contemplare l’orizzonte, il sole che spariva dietro un’altura, El Lagarto, e che l’orizzonte era color carne come la schiena di un moribondo”. Mai visto prima un tramonto scritto così.

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Immisurabile la mia gratitudine per l’Adelphi che pubblica i romanzi incompiuti di Bolaño, per Ilide Carmignani che li traduce, per gli eredi che ne hanno i diritti esclusivi. Grande gratitudine anche per chi ha scelto la foto di copertina, della fotografa messicana Graciela Iturbide. Titolo della foto: Dolores Hidalgo. C’è un vaquero che tiene alla corda quel che mi sembra un cucciolo di cinghiale. Che lo abbia catturato per addestrarlo? In Sepolcri di Cowboy Bolaño scrive: “Su una salita vidi due bambini che giocavano con un cerchio di metallo. Pensai che se fossi passato attraverso il cerchio, come un maiale ammaestrato, sarei finito in un’altra dimensione”. Il vaquero della foto di Graciela Iturbide avrà ammaestrato il suo cinghiale perché se lungo la strada avesse mai incontrato due bambini che giocavano con un cerchio di metallo potesse attraversarlo, per raggiungere l’altra dimensione, quella dove gli scrittori morti continuano a scrivere romanzi incompiuti.

Antonio Coda

Gruppo MAGOG