23 Giugno 2023

“Ti porterò nel sangue”. Rilke e Lou Salomé: un amore infinito

È il 12 maggio 1897, un mercoledì, quando Rainer Maria Rilke e Lou Andreas Salomé si incontrano a Monaco di Baviera, nel salotto del comune amico romanziere Jacob Wassermann. Rilke è un giovane poeta ventiduenne alla ricerca della propria vocazione, allorché Lou è una scrittrice cosmopolita di trentasei anni, sposata con l’iranista Friedrich Carl Andreas, conosciuta in Europa per essere stata chiesta in moglie da Friedrich Nietzsche e per alcune opere letterarie.

Nata nel 1861 a San Pietroburgo, ultima di sei figli e unica femmina del generale zarista Gustav von Salomé, Lou fu amica e confidente di alcuni tra i protagonisti di maggior spicco intellettuale dell’epoca. Fu una donna colta, affascinante e anticonformista, dalle straordinarie intuizioni intellettuali ed affettive. La sua fu un’esistenza ricca d’amore, poesia e lavoro; nel 1911 aderì alla psicanalisi, di cui fu una tra le prime e più brillanti sostenitrici. Freud, che fu legato a Lou da una grande amicizia, la descrisse nel suo necrologio come il personaggio del silenzio, depositaria di una conoscenza per così dire “ancestrale”, al di sopra dei conflitti:

“non parlava mai delle sue stesse creazioni poetiche e letterarie (…) Fu una donna straordinaria, di rara modestia e discrezione (…) sapeva bene dove bisogna cercare i veri valori della vita (…) chiunque l’avvicinasse riceveva un’impressione fortissima dell’autenticità e dell’armonia della sua natura e poteva asserire, non senza stupore, che tutte le debolezze femminili, e forse la maggior parte delle debolezze umane, le erano estranee o erano da lei state superate nel corso dell’esistenza[1].

Nelle foto che ci sono pervenute, Lou vestiva con abiti scuri di taglio severo, abbottonati fino al collo. I suoi occhi bellissimi guardavano il mondo con empatia, talvolta con spirito infantile; irradiava bontà ed un’incredibile energia. Era molto intelligente: partecipava alle controversie filosofiche del tempo con una straordinaria velocità di intuizione: capiva gli altri, si immedesimava in loro: “io vorrei essere stata – diceva – sotto la pelle di ogni essere vivente”.

La vita di Lou fu scandita dal ritmo dell’incontro: a ventun anni conobbe Friedrich Nietzsche, trentottenne, e gli propose di costruire una piccola comune intellettuale, una sorta di ‘trinità’ filosofica tra lei, Nietzsche e il comune amico, il filosofo tedesco Paul Rée. I due pensatori fraintesero l’attrazione intellettuale di Lou scambiandola per interesse sentimentale e se ne innamorarono perdutamente. Nietzsche le chiese ripetutamente di sposarlo – senza esito, un destino già toccato a Heindrich Gillot, pastore evangelico della chiesa di San Pietroburgo che fu suo insegnante. Pare che Nietzsche impazzì per questo rifiuto e le cose andarono di male in peggio con Rée che, tempo dopo, si tolse la vita, un dolore atroce che Lou non riuscì mai a superare.

A ventisei anni, Lou sposò Friedrich Carl Andreas, noto orientalista, dopo che lui si era conficcato un pugnale nel petto per il suo rifiuto. Quel gesto piegò la volontà di Lou: accettò di sposarlo, ma con l’intesa di un matrimonio platonico in cui ognuno avrebbe mantenuto la propria libertà. Fu un’unione complessa, indubbiamente basata su un profondo affetto reciproco, ma certamente un matrimonio non convenzionale. Del resto, l’intera vita di Lou fu all’insegna dell’anticonformismo.

Nel 1897, Lou era giunta a Monaco per trascorrere un periodo di studio insieme all’amica scrittrice Frieda von Bülow, mentre Rilke si era trasferito a Monaco da Praga, per fuggire dalla sua chiusura provinciale e cercare la propria strada.

Quella sera del 12 maggio, Lou colpì profondamente il giovane Rilke. Il giorno successivo al loro incontro, lui le scrisse una lettera, dicendole che non era quella la prima volta in cui aveva avuto la gioia di trascorrere un’ora crepuscolare in sua compagnia: alcuni mesi prima aveva avuto l’occasione di leggere il suo saggio Gesù l’Ebreo che era stato per lui una vera rivelazione, poiché in esso Lou riusciva ad esprimere con forza quello ch’egli aveva cercato di dire nel suo ciclo poetico Visioni del Cristo.

Rilke si accostava dunque con slancio ad una donna matura, con una storia articolata ed avvolta da una fama vagamente scandalosa per le sue diverse avventure. Quali probabilità di successo poteva auspicare il giovane poeta in erba, appena uscito dalla clausura delle scuole militari e dal ristretto ambiente praghese? Ben poche verrebbe da dire, invece Lou ne rimase affascinata…

Osservando bene la calligrafia di quella lettera, Lou si accorse che Rilke era l’autore di alcune poesie anonime che aveva ricevuto tempo addietro: era dunque lui il poeta che le aveva scritto da lontano la sua ammirazione e che ora si materializzava con il suo aspetto delicato, un volto pallido e magro, con grandi occhi azzurri infossati.

Lou fu colpita “dall’impercettibile delicata signorilità” del giovane Rilke, come scrisse nelle sue Memorie. Tutto accadde così inaspettatamente e improvvisamente, che al termine della sua vita, ripensandoci, Lou gli confessò (idealmente, Rilke era già morto):

“Aprile, il nostro mese, Rainer, il mese prima di quello in cui ci incontrammo. Non è affatto casuale se ti devo pensare tanto. Aprile infatti contiene tutte e quattro le stagioni, alternando un’aria invernale e da neve ad un sole luminoso, e accanto a tempeste autunnali, che coprono il suolo umido anziché di foglie sbiadite in un’infinità di boccioli, nell’aprile è sempre latente la primavera. Da qui quella quiete e naturalezza che ci ha legati come qualcosa che è sempre stato unito. Se per anni sono stata la tua donna è perché con te mi si è aperta, per la prima volta, la dimensione del reale quale inscindibile unità psico-fisica e inconfutabile prova della vita stessa. Avrei potuto confermarti con le stesse parole la tua dichiarazione d’amore quando mi dicevi: “Tu sola sei reale”. Per questo l’unione erotica dovette precedere l’amicizia, e anche la nostra amicizia si compì non per libera scelta, ma attraverso uno “sposalizio” arcano. Non cercammo l’altra metà, bensì con infinito stupore scoprimmo un’entità inscindibile nell’incomprensibile tutto. Così eravamo fratelli nel mito, prima che l’incesto fosse sacrilegio”[2].

Perché Lou aveva rifiutato schiere di uomini maturi ed ora concepiva con il giovane Rilke un’unione intima, oltreché spirituale? Forse perché lui aveva una sensibilità così profonda, quasi femminile? Rainer era delicato e fu il primo uomo che la completasse perfettamente, scriverà nelle sue Memorie. Negli anni a venire, con Freud, Lou tornò a riflettere su questo mistero che aveva radici profonde nel suo inconscio e come tale insormontabile con la ragione. Rilke fu davvero un crocevia nella sua vita, e viceversa, non ci sono dubbi al riguardo.

Un legame unico, il loro, l’eco di un’oltranza, “cosa degli Dei”, come Rilke scriverà anni dopo

E come posa lieve
sulle spalle Amore e Addio, come se fosse
d’altro che da noi? Rammentate le mani,
come posano senza peso, e sì che nei torsi c’è vigore.
Questi maestri della misura sapevano: noi arriviamo fin
qui,
questo è nostro, di toccarci così, più forte
ci gravano gli Dei. Ma è cosa degli Dei

(Seconda Elegia Duinese[3])

Lou fu la persona che più di ogni altra segnò il cammino esistenziale ed artistico di Rilke. Fu per lui un grande amore, e non solo: la grande amica, amante, musa, confidente, maestra. Di certo, Lou fu (anche) una figura materna per Rilke, permise la sua vera rinascita, la rottura rispetto all’ambiente provinciale praghese, ai sentimentalismi e alla devozione esasperata di sua madre, Phia Rilke. Dopo l’incontro con Lou, la sua nuova vita fu segnata dal cambiamento del nome di nascita René, nel più sobrio e virile Rainer, che reca un’impronta germanica e richiama la purezza (Reinheit). Lou gli offrì materiali filosofici ed estetici, lo iniziò alla lettura di Nietsche, lo mise al passo con l’élite intellettuale europea.

Sulle tematiche religiose e filosofiche che le stavano molto a cuore, Lou trovò in Rilke un interlocutore preparato con cui dialogare alla pari. Entrambi amavano la Bibbia, specie l’Antico Testamento, e Rilke le leggeva spesso dei passi dal Cantico dei Cantici, chiamandola “mia sorella, mia sposa”[4]. In questo periodo di grande felicità, le lettere di Rilke a Lou sono commoventi e celebrano la freschezza di un amore che non gli sarà dato di provare una seconda volta, come scrive nelle Elegie: ognuno di noi ha avuto un momento, “un’ora, ma forse/ manco un’ora, qualcosa fra due tempi, di appena/ misurabile/ con le misure del tempo, che fu un’esistenza./ Tutto. Le vene colme di esistenza” (Settima Elegia Duinese).

Scosso da una travolgente affinità elettiva, già dopo due settimane dal loro incontro, Rilke iniziò a recapitare a Lou i suoi versi appassionati, fiori e poesie; in pochi giorni, i suoi sentimenti trovarono compimento:

Canta la nostalgia:

Per te sono come un preludiare
e sorrido lievemente quando sbagli;
so che dalle solitudini
tu muovi incontro ad una felicità che è grande
e troverai le mie mani.

Con te io attraverso il quotidiano
e i miei consigli ti insegnano a capire
i valori profondi dei comuni destini
e questo vuol dire: in ogni piccola rosa

veder nascere la grande primavera.

(Canti della nostalgia, V – Rilke a Lou, 31 maggio 1897[5])

Quanti messaggi si avvertono in ogni singola parola: a dispetto dell’età (Rilke ha appena ventidue anni), slancio e consapevolezza si alternano in una mirabile ricerca di equilibrio, pur nel trasporto che connota l’esordio dell’amore. Il giovane Rilke pare perfettamente consapevole del tatto che richiede l’incontro con una donna intelligente e più grande di lui.

I versi descrivono una reciproca ricerca scandita come il susseguirsi dei capitoli di un libro – già scritto – ma che necessita di essere illustrato e introiettato: la capacità di anticipare la donna e di comprenderla; l’amore che è affetto, comprensione e compassione, oltre che passione; la volontà di unione, il bisogno uno dell’altra come essenza e fulcro dell’incontro; la quotidianità come nutrimento del sentimento persistente e duraturo; il mutuo soccorso necessario per dare un senso ai pensieri ed azioni di due anime – ma anche l’ignoto, l’incertezza e l’arrendevolezza davanti ad un percorso insieme che ancora non ha rivelato il suo esito.

Nell’attacco della lirica Rilke descrive in sei parole la sostanza di cui sono fatte le fondamenta della loro relazione, ai suoi inizi: “Per te sono come un preludiare”; Rilke sente di essere una fiammella, un’ispirazione che viene in seguito riempita e completata da Lou. L’espressione è carica di tutta la dipendenza intellettuale che si sta costruendo: una straordinaria immagine legata al tempo – l’essere l’uno il prima per l’altra, che è il dopo – lega irreversibilmente Lou e Rilke in un abbraccio predestinato che non può essere sciolto, come quello (metafisico) tra il tempo passato e quello futuro, che si trattengono e si trascinano, uno appresso all’altro.

Il passo che Lou e Rainer compiono in poco tempo è dunque immenso e irreversibile. Leggere i loro scambi è farsi testimoni di una dimensione creativa dell’amore: l’incontro è profondo e travolgente, affonda rapidamente in una conoscenza reciproca fulminea, che si nutre di intuito, empatia, genio. Rilke si esprime con un linguaggio in cui tatto e sensibilità sono superati solo dal peso dei significati e dal valore dei sentimenti che reggono. Sapere che “dalle solitudini tu muovi incontro ad una felicità che è grande” suggerisce una felicità vista dall’esterno, con chiarezza, come di un osservatore che – posizionato in alto – intuisce la traiettoria cui va incontro un’imbarcazione molto meglio del suo timoniere, che viaggia orientandosi come può; e il suo “troverai le mie mani” appare quasi come una divinazione, un segno, un’intensa volontà di partecipazione a quel gioire.

Eppure, al di là delle parole, si intuisce che egli pone in avanti il “bene più grande”, che è quello di lei – dedicataria di quella lettera e di quel pensiero – non il suo. Pare un desiderio sommesso, di qualcuno che vuol farsi da parte per lasciar spazio a qualcosa di più importante, cui vuole concedere la libertà di spaziare all’aperto; un desiderio di partecipazione all’eco di quel gioire, ma nel contempo la volontà di non deteriorarne il senso più profondo, né l’intensità. Come sempre, Rilke osserva e accompagna – ma non si appropria. Il suo ingresso nella vita di Lou è ricco di segni che evocano offerte, ipotesi, proposte, ma mai pretese: il suo amore volutamente libero dalle maglie del possesso rimarrà per sempre un suo indelebile – ed inestimabile – tratto distintivo. Così leggiamo di “consigli” e mai di richieste, consigli che “…ti insegnano a capire i valori profondi dei comuni destini”.

Gli ultimi versi suonano come un’ispirazione per se stesso: “in ogni piccola rosa/ veder nascere la grande primavera”; conoscendo il suo intero percorso artistico, non ci è difficile scorgervi un’iniziale elaborazione del suo “spazio interiore di mondo”: nella primavera che nasce in ogni rosa si anticipa, limpido, il suo canto pronto a superare lo sguardo, che ogni cosa svilisce al rango di oggetto, per elevarla e fare spazio a un nuovo linguaggio, ad un nuovo spazio interiore. Ma Rilke è già – in quel momento – capace di vedere “in ogni piccola rosa la grande primavera”? Sembra possibile solo seguendo l’istintiva ingenuità di Lou.

“Che due esseri umani si riconoscano l’un altro, non è soltanto splendido; ma è della più grande importanza che si incontrino nel momento giusto e che insieme celebrino feste profonde e silenziose in cui crescere uniti nel desiderio per essere uniti contro le tempeste. Quanti esseri umani si sono sfiorati ignorandosi per non aver trovato il tempo di abituarsi l’uno all’altro; prima che due siano infelici assieme, devono insieme essere stati beati e avere un comune santo ricordo, che custodisca un uguale sorriso sulle loro labbra e un’uguale nostalgia nelle loro anime. Diventano allora come fanciulli che abbiano goduto insieme una festa di Natale; quando trovano alcuni minuti di respiro nei lunghi, pallidi giorni, si siedono assieme e si raccontano con guance infuocate della notte splendente di luci e odorosa di abete…Esseri come questi passano attraverso tutte le tempeste. Lo sento!”.

(Rilke a Lou, 5 settembre 1897)

L’intuizione si rivelerà profetica, col senno di poi: il loro legame durò per tutta la vita, come testimonia il loro Epistolario 1897-1926, uno scambio durato quasi trent’anni, di circa duecento lettere, dal primo incontro del 12 maggio 1897 all’ultima lettera del 13 dicembre 1926, anno della morte di Rilke, e ancora oltre, se si considerano le Memorie di Lou ed il libro Rainer Maria Rilke che Lou gli dedicò dopo la sua morte.

La loro corrispondenza avvicina in modo profondo alla vita e all’opera di Rilke: le lettere a Lou consentono di accedere all’intimità più autentica del suo destino esistenziale e poetico: Rilke vi esprime le sue incertezze, le sue difficoltà; Lou, con profonda comprensione e pazienza, riesce ogni volta a “curare” le sue ferite, riportando le misteriose vie dell’arte nel percorso della vita. In alcune lettere a Lou vi sono vere e proprie gemme letterarie dove sfilano le immagini di Parigi, la miseria della grande città, i suoi sentimenti per la figlia Ruth e la moglie Clara, le lezioni di Rodin e Cézanne, la tremenda gestazione della sua opera immortale.

Nella Parigi del Malte, Rilke riconobbe l’immagine del suo legame con Lou nelle due figure d’un frammento d’affresco proveniente da una villa romana di Boscoreale: un viandante in piedi, con le mani appoggiate al bastone, e una donna seduta in una posa nobile e raccolta. La donna ascolta l’uomo, protetta da un’inscalfibile quiete interiore. Mentre lei porta dentro di sé la propria patria e il proprio mondo interiore, l’uomo, sospinto da un’eterna inquietudine, sta per ripartire. Ma, lungo il cammino, l’immagine della donna assorta ad ascoltarlo continuerà a risplendere nel suo ricordo e a sostenerlo nei momenti più oscuri:

“Mi ricorderò sempre il modo in cui mi aveva commosso questo grande semplice dipinto (…) Come nei buoni quadri risalta chiaro il contenuto di leggende originarie, così io avevo colto al primo sguardo il significato di questo affresco. In quel periodo parigino tanto confuso, quando ogni impressione dolorosa e grave mi cadeva nell’anima come da grande altezza, l’incontro con quel bell’affresco assunse un accento decisivo; quasi avessi potuto guardare, al di là di tutto ciò che incombeva, verso il definitivo, così quella vista mi impressionò e mi sostenne. Allora trovai il coraggio di scriverti, cara Lou; perché mi sembrava che ogni cammino, anche il più confuso, trovasse il suo significato in un tale ritorno definitivo da una donna, dall’unica donna che abita nella maturità e nella tranquillità, che è grande e sa ascoltare tutto come una notte d’estate: i piccoli rumori timorosi di se stessi, e richiami e campane…”.

(Rilke a Lou, 15 gennaio 1904)

L’eco delle campane russe e la voce di Lou lo accompagnarono fino alla fine dei suoi giorni. Lou fu di fatto l’unica persona ad accompagnare Rilke attraverso la sua intera parabola artistica, dagli esordi fino alle Elegie, fino alla morte. La loro storia d’amore e spiritualità fu per Rilke costante fonte e sostegno della sua creazione artistica, che ebbe inizio proprio con Lou nelle terre di Russia, nei due viaggi memorabili del 1899 e del 1900.

Rilke mai dimenticò il tocco delle campane del Cremlino, la folla dei credenti davanti all’entrata delle chiese, il respiro di quelle lontane litanie, il ritmo di quelle preghiere che si aprivano su un paesaggio sconfinato dove, per la prima volta, vide un autentico contatto con Dio e con la vita:

“Per me è stata Pasqua un’unica volta; in quella lunga, inconsueta straordinaria, eccitata notte, quando tutto il popolo si accalcava e quando l’Ivan Velikj’ mi colpì nell’oscurità, un rintocco dopo l’altro. Quella fu la mia Pasqua, e io credo che basti per una vita intera; il messaggio mi è stato dato straordinariamente grande in quella notte moscovita, mi è stato dato nel sangue e nel cuore”.

(Rilke a Lou, 31 marzo 1904)

Dopo i due viaggi con Lou, Rilke non tornò più in Russia, ma quella terra fu una presenza costante nella sua opera. Oltre al Libro d’ore, la Russia ritorna anche in alcune liriche del Libro delle immagini e delle Nuove poesie, nonché in uno dei Sonetti a Orfeo. L’intero epistolario con Lou rimanda a cose russe; in russo è il saluto “Addio mia cara” che chiude l’ultima lettera che Rilke le scrisse da Val-Mont, il 13 dicembre 1926, sedici giorni prima di morire.

La dedica in calce al Libro d’ore: “Deposto nelle mani di Lou” presenta ancora oggi quelle liriche per quello che rappresentarono nelle loro nelle loro vite: un monumento immortale al loro amore:

Spegnimi gli occhi: ti vedo lo stesso,
turami le orecchie: ti sento,
e senza piedi ti raggiungo
e senza bocca ti invoco.
Spezzami le braccia, ti afferro
con il mio cuore: è una mano,
ferma il cuore e batterà il cervello
e se lo brucerai
ti porterò nel sangue.

(Il Libro d’ore – Il libro del pellegrinaggio, 7[6])

Sono versi che scuotono l’anima per la loro potenza: Rilke li donò a Lou e confluirono, su sua richiesta, ne Il Libro d’ore, raccolta di mistica bellezza in cui Rilke si spinge ad oltranza verso il divino.

Ogni parola di questa lirica evoca un’immagine che trascende il visibile e si fa metafisica: così gli occhi non servono – per vedere un’essenza umana; nemmeno le orecchie – per udire l’eco interiore che suscita una voce familiare; i piedi sono inutili – per accostarsi spiritualmente; la voce è superflua – per chiedere qualcosa che già è stato dato. Nemmeno l’amore divenuto ostile, corroso dalla durezza del vivere, può spezzare l’affinità elettiva; anche quando è l’amante stesso a “spezzare le braccia” dell’altro, in un gesto di ritrosia e allontanamento, l’infinito laccio che lega due anime elette permane. Il cuore, nell’immagine plastica restituita dal poeta, funziona come una mano e ha lo stesso potere di un abbraccio strettissimo cui non si può sfuggire: “Spezzami le braccia, ti afferro/con il mio cuore: è una mano,/ ferma il cuore e batterà il cervello/ e se lo brucerai/ ti porterò nel sangue”. L’indelebile (e organica) immagine del cervello si trasforma in altro che non è: incorporea figurazione del potere assoluto del sentimento, che travalica i limiti imposti dalle leggi della natura. Infine, tutto confluisce nel sangue – che è linfa – investito della responsabilità di recapitare un messaggio che non necessita di un seguito: l’onnipresenza del fluido vitale è una metafora potente della capacità dell’impulso interiore di essere ovunque – e oltre, molto oltre, il visibile. Con la forza rara del suo verbo, Rilke trascende l’oggetto dell’amore terreno per elevarsi nell’invisibile, sino a Dio.

Lou, che spesso guardava i suoi versi con occhio severo, dovette piangere sulla mistica bellezza di questa poesia e comprese (con gioia e forse con sgomento) la forza di un simile sentimento, vide chiaramente ciò che era avvenuto: il superamento dell’incompiutezza umana nella compiutezza di un’opera d’arte che la Russia e lei stessa avevano contribuito a far sbocciare.

Dopo la rottura sentimentale, intervenuta dopo il secondo viaggio in Russia, Rilke e Lou trasformarono il loro sentimento in un particolarissimo e commovente amore da lontano: se Rilke resse gli scossoni del Malte (1910) e non smise di scrivere, fu grazie a Lou, al suo sostegno e al loro dialogo – un entretien infini, come ebbe a definirlo Maurice Blanchot e come emerge dall’epistolario e dalle liriche.

In occasione del loro ultimo incontro, nella primavera del 1919, nella Monaco del dopoguerra, Rilke consegnò a Lou un lungo poema commovente, di tre strofe, scritto a Duino in concomitanza alle prime Elegie:

Come si preme un fazzoletto sulla bocca affannosa,
anzi: su una ferita da cui tutta
la vita in un sol getto vuole erompere,
io ti stringevo a me e del mio sangue
tutta ti coloravi. Chi dirà ciò che ci accadde?
Tutto ricuperammo per cui sempre
il tempo era mancato. Io stranamente maturai
ogni slancio di mai vissuta gioventù,
e tu vivesti, Amata, sul mio cuore
non so quale impetuosa fanciullezza.

(A Lou Andreas-Salomé, II, Poesie sparse[7])

Nella seconda strofa, Rilke ritorna ancora una volta sul sangue, protagonista del verso “io ti stringevo a me e del mio sangue/tutta ti coloravi”, a sottolineare la forza dei suoi sentimenti per Lou.

Per gli arcani arabeschi del destino, sarà proprio quel suo sangue, quel sangue che andava ripetendo e di cui aveva a più riprese avvertito la debolezza, che finirà per ammalarsi: sarà una leucemia a porre fine alla sua esistenza terrena. Dalla Svizzera, sul letto di morte, Rilke indirizzò a Lou le sue ultime parole il 13 dicembre 1926, due settimane prima di spegnersi – mentre Lou, in preda ad un dolore feroce, continuò a scrivergli “alla cieca” tutti i giorni, per il tramite della signora Nanny Wunderly Volkart, accorsa al sanatorio di Val-Mont per prestargli assistenza.

Non sappiamo se Rilke riuscì a leggere le ultime lettere di Lou – sappiamo solo che, fino all’ultimo, i suoi pensieri volarono a lei a Göttingen[8], scanditi nel sangue, oltre i confini e i valichi alpini, oltre il tempo degli orologi terreni.

Marilena Garis e Riccardo Peratoner


[1] Sigmund Freud, Elogio funebre per Lou Andreas Salomè in Lou Andreas Salomé, I miei anni con Freud, Newton Compton Editori, Roma, 1980, p. 30

[2] Lou Andreas Salomè, Ricordando la mia vita, Aggiunta 1934, Castelvecchi, Roma, 2015, p. 83

[3] I versi delle Elegie sono citati da Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi, traduzione di Enrico e Igea De Portu, introduzione di Alberto Destro, Einaudi, Torino, 1978

[4] Le informazioni biobibliografiche sono tratte da Heinz F. Peters, Mia sorella, mia sposa. La vita di Lou Andreas Salomé, Arnoldo Mondadori Editore, Verona, 1977, p. 299

[5] Le citazioni dalle lettere tra Rilke e Lou sono tratte da Rainer Maria Rilke, Lou Andreas Salomé, In corrispondenza. Epistolario 1897-1926, traduzione di Paola Maria Filippi e Claudio Groff, IPOC, Milano, 2014

[6] Rainer Maria Rilke, Poesie I (1895-1908), a cura di Giuliano Baioni, commento di Andreina Lavagetto, Einaudi Gallimard, Torino, 1994

[7] Rainer Maria Rilke, Poesie 1907- 1926, a cura di Andreina Lavagetto, Einaudi, Torino, 2000

[8] Ralph Freedman, Rilke. La vie d’un poète, traduzione di Pierre Furlan, Solin Actes Sud, Arles, 1998, p. 773

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