01 Aprile 2021

“Ci amiamo da prima della preistoria…”. Rilke & Benvenuta

Nel 1949 l’editore Sansoni pubblica un libro commovente, prezioso: uno dei tanti ‘libri orfani’, direbbe Mario Guaraldi, decimati in un oblio che li rende diamanti. S’intitola Rilke e Benvenuta, l’ha scritto Magda von Hattingberg, pianista, allieva di Ferruccio Busoni, ribattezzata ‘Benvenuta’ da Rainer Maria Rilke, con cui inaugura un rapporto epistolare, tra sconosciuti, nel 1914. “Le lettere a Magda von Hattingberg si differenziano dagli altri carteggi rilkiani, oltre che per la brevità del periodo che abbracciano, anche per il carattere torrenziale, ininterrotto, urgente della scrittura. Più che uno strumento per stabilire una relazione reale con l’interlocutore, le lettere a Magda sono un racconto a sé, una lunga confessione”, spiega Andreina Lavagetto nel commento alle Poesie di Rilke edito da Einaudi. Le Lettere a Magda, in effetti, sono state pubblicate da Mimesis nel 2006, a cura di Pina de Luca e di Enrica Lisciani Petrini. Il racconto di quell’epistolario e di quel rapporto, invece, per voce di Magda/Benvenuta è un quarzo smarrito. Eppure, all’epoca fu un caso. L’edizione tedesca del 1943, infatti, fu seguita, appena passata la guerra, dalla traduzione francese, nel 1947, per Denoel (Rilke et Benvenuta: lettres et souvenirs), poi da quella italiana e americana, nel 1949, per Norton & Company. L’edizione inglese, stampata da William Heinemann, esce con una didascalia sulla copertina, da romanzo rosa: “L’autentica e commovente storia d’amore tra il poeta e la pianista, basata sulle lettere di Rilke, finora inedite, e su alcune poesie, è qui svelata per la prima volta”. Il memoriale ha l’estasi del rapporto tra eletti, elevati dal fango dei giorni in una dimensione, allo stesso tempo, frivola e abissale, delicata e abnorme. Dopo essersi scritti alcune lettere – è Magda a cominciare, con sbadata audacia, dopo aver letto Storie del buon Dio, “Caro amico! Le Sue Storie del buon Dio sono dedicate a Ellen Key e in questa meravigliosa dedica Lei dice che nessuna altra donna più di lei avrebbe amato queste Storie, e che perciò il libro le apparteneva. Sinora non ho mai desiderato di essere altri che me stessa, oggi però vorrei ad ogni costo trasformarmi in Ellen Key, solo per avere questa dedica, anche se sono sicura di amare le Storie del buon Dio come nessun’altra persona a questo mondo” – i due s’incontrano a Berlino, “ci guardammo ridendo e piangendo”. Il rapporto è una rapina al tempo, è rapace: Rilke si getta con foga nelle parole, nelle lettere, desiderando di sé la rovina, la caduta; con la stessa violenza fugge la realtà. Magda è più giovane del poeta di otto anni, e si sposerà con Hermann Graedener, scrittore austriaco, favorevole all’“Anschluss”, membro, dal 1938, del Partito Nazionalsocialista; nel 1946 i suoi libri furono censiti tra quelli da censurare e il suo nome tra gli autori da non ristampare, nella lista partorita dal governo austriaco dopo la fine del nazismo: tra i circa 1600 intellettuali schedati spiccava il nome di Ernst Jünger. Magda/Benvenuta, amore furtivo, nebulosa lirica, vivrà fino 1956, per sempre ulcerata dalla passione per il poeta. Nell’estate del 1928 scrive una lettera sulla tomba di Rilke, morto un anno e mezzo prima. S’erano visti, altre volte, rade, tra Parigi, Venezia; spesso di sbieco, spesso lui era malato e lei capì che Rilke era inafferrabile. “Ma il soprannaturale ha le sue leggi ed è esposto a tutti i malintesi del mondo, è però profondamente ancorato nelle leggi misteriose dell’eternità e là soltanto ha validità e compimento”, scrive. Il poeta preferiva che fosse l’al di là, la prossima vita, a sigillare un amore – o farne scempio. Ha ricevuto tante lettere da morto quante, tantissime, ha scritto in vita.

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Attesa

A Berlino abitavo presso la famiglia Delbrück a Grunewald, a cui ero legata da anni da intima amicizia. La loro casa era un asilo d’ogni bella cosa, per tutte le arti, e vi dominava un largo senso di umanità. Già i comodi ambienti, semplici nella larghezza degli agi, davano un’impressione di tranquillità, di gioia e di un fine gusto artistico… La signora Berta Delbrück, una di quelle rare donne la cui presenza ispirava pace, felicità e senso di sicurezza, fu profondamente contenta quando le parlai di Rilke. Una sera, dopo aver suonato un poco e conversato piacevolmente dopo cena, ci sedemmo alla tavola rotonda del suo salotto; i figli erano andati a dormire e nel silenzio di quella intimità piena di pace, le lessi qualche passo dal Malte Laurids Brigge, che non conosceva. Prima di separarci, aprii la finestra e, mentre dal giardino penetrava un soffio di vento, già quasi primaverile, guardammo le stelle che scintillavano al di sopra degli alberi ancora spogli. E la signora Delbrück mi disse, con quel suo modo di fare affettuoso: “Oh! se Rilke fosse stato oggi da noi! Credo che lui, il solitario, si sarebbe sentito qui come a casa sua”. – Compresi allora che non sarei andata a Ginevra ma che avrei pregato Rilke di venir qui. Gli scrissi che sarebbe stato bello incontrarsi in una casa di persone a me care: gliela descrissi con tutto l’amore che le portavo; gli parlai di tutti i sentieri di Grunewald, di passeggiate che avremmo potuto fare in quella primavera appena sbocciata, della quiete dei laghi, del giardino, in cui fiorivano i bucaneve. – Il paesaggio ancora spoglio mi appariva misterioso e bello nel presentimento della prossima visita dell’amico, e la sua risposta fu come un riflesso della mia gioia, della mia speranza subito risorta, in una vita serena di cui forse sarebbe stato ancora possibile salvare la quiete e rinnovarla per l’intervento di forze amiche; con la presenza di un focolare come non ne aveva mai conosciuto uno, con la pace, il silenzio e la fede nelle forze positive della sua natura.

Cara bambina, la tua lettera – ti scrivo questo mentre la sto leggendo, per dirti che è arrivata, per dirti che non la posso leggere tutta in una volta, tanto mi sconvolge il cuore: – là dove scrivi dei fiori, mi son dovuto arrestare, come quando si corre incontro al vento marino e ci par di poterlo respirare tutto nei polmoni, ma d’improvviso non si resiste più – che fare poi dinanzi all’infinito? – Mi sembra proprio di sentire per la prima volta il linguaggio umano; vedi, vedi, io non lo conoscevo che nelle immortali poesie dei grandi e nelle mie in cui lotto per conquistarmelo. Non mi è parso mai così meraviglioso altrove. Oh! Come mi rendi caro il linguaggio umano! Non parliamo forse tra di noi come le stelle alla terra, come la terra alle stelle? Non vi è però il silenzio, il silenzio dell’universo, ma appunto il linguaggio, il linguaggio umano…, sento un impulso così forte verso di te che voglio compiere qualcosa di chiaro, reale e visibile che mi avvicini a te, e sarà di portare questa lettera – in un mattino che va rischiarandosi nel cielo grigio ed indeciso al piccolo ufficio postale, che mi pare così degno di fiducia da quando tu lo conosci un poco.

Tutti i giorni percorrevo trasognata le vie di Grunewald, passando dinanzi ai giardini, dove i rosai erano ancora avvolti nella loro veste invernale, e accanto alle ultime chiazze di neve sbocciavano i primi fiori; andavo all’ufficio postale a cui affidavo le mie lettere per Parigi, pensando con cuore tremante: ancora sedici giorni, ancora quattordici, ancora nove… Poi venne una lettera, così piena di angoscia e disperazione, da sembrar quasi annientar tutto:

…Devo parlarti di tutto quel che di male, di falso, meschino, odioso e spiritualmente grossolano scorgo in me; e specialmente di quest’ultimo: l’elemento grossolano, perché mi sembra che sin dalla prima infanzia ci sia una voce che non riesce a darsi pace che questo elemento esista in me e possa germogliare, così, alla cieca. Sarebbe terribile che una volta tu potessi pensare, anche solo lontanamente, ch’io sia capace d’essere maldestro, rozzo, brutale – e questo in un’atmosfera vibrante ed elevata, ove la brutalità non esiste più, ma appare come uno spettro, e dove ci si fissa stupiti e increduli… Oh! Se ti parlassi di ciò, mia confidente, di questa malvagità che mi afferra sino nel profondo dell’anima e lungo tutto il corpo, di questo contorcersi come di una cosa che vien usata per un fine a cui non è destinata; di questo sentirsi corroso o arrugginito, come un utensile che si metta da parte dove nessuno più lo trova. Immaginati, cuor mio, che tutto ciò gli capiti appunto nel momento in cui si sentiva affilato, diritto, per così dire, proprio a punto… ora poteva venire chi sapeva adoprarlo – oh! l’attesa di un buon utensile; oh! intima presentita gioia nel martello innanzi al primo colpo – ma ecco che l’utensile vien cacciato e portato in tasche oscure, tirato fuori e osservato da occhi curiosi che non sanno quale sia il suo uso; poi adoperato e impugnato male, tanto da ferir le mani alla gente, che allora s’irritò e lo scaraventò in un cantuccio. E lì rimase e gli furono ammonticchiati sopra strani oggetti… Oh Benvenuta! Tu hai angeli intorno a te nella tua musica, tu hai angeli intorno a te nella tua gioia, tu hai angeli intorno a te nella purezza del tuo animo: forse faranno molto per amor tuo. Forse si schierano intorno all’angelo velato dell’utensile e lo esortano.

Erano dunque tornate le ignote forze distruttrici che ogni tanto s’impadronivano di lui, che egli sentiva arrivare, indifeso, quando più intensamente desiderava di esser salvato e difeso da loro. – Non so più quello che allora gli scrissi per consolarlo, la sua risposta traboccava però di nuova speranza:

Oh Benvenuta, ti credo, quando leggo le tue lettere – oh cuore che mi salvi, perché saresti altrimenti venuto? Cara – oh cara, oh influsso che cancella la distanza che ci separa, e che finirà! Quante volte ho sentito su di me il refrigerio di una risoluzione estranea a me. Quante volte non si svolgerà ora una lotta invisibile nell’aria, tra il tuo influsso su di me e un qualche turbamento che sino a me vuol farsi strada. Non solo mi rendi benevola la terra e più d’un paesaggio a me avverso, ma vinci anche nei lontani spazi ciò che mi si oppone. Perché chi non è puro ha inimicizie ovunque e non è mai al sicuro. Soltanto il puro può passare in mezzo ai suoi nemici, e scuoterli ….noi sappiamo d’amarci l’un l’altro sin prima dei tempi della preistoria terrena, sin dall’infanzia precedente ogni età dell’esistenza, ci amiamo sin dall’origine primordiale, come si amerebbero le stelle, se conoscessero il loro splendore – ed ora comprendo anche perché non ho voluto suscitare in me verso di te che i sentimenti della mia più spontanea infanzia, ove cerco i più puri raggi del cuore per orientarli verso di te; cerco una forza, Benvenuta, una forza irresistibile del mio cuore, da cui nascerà la mia forza verso Dio…

Non rimasero che quattro giorni, poi tre – e infine arrivò il telegramma: “Domani. Rainer”.

Ma poi le potenze oscure richiesero ancora la mia cara voce consolatrice – e un destino oscuro e pieno di presentimenti fece dir loro:

…ti devo vedere, Benvenuta, con questi occhi impreparati; le mie mani, le mie mani di ieri troveranno un rifugio nelle tue… Dimmi, che si fa il giorno prima di un simile giorno? Come si passa la notte per esser degni del giorno che viene? – Ecco un sogno che mi vizia colla tua immagine, come l’ho avuto stamani al primo albore – tu mi tenevi per mano, in un bosco, un bosco d’alto fusto, coi tronchi disposti in lieve pendio; il suolo era di un verde metallico, per le foglie che crescevano nell’umidità – più in su un albero si levava diritto e, dopo esser salito quietamente e molto in alto, stendeva le braccia della sua corona di rami – al di là, il viottolo continuava a salire ma intorno all’albero era come una nebbia lucente e debolmente dorata, saturata dall’intima vita della foresta…, volevo percorrere quel sentiero ma poi… ci passasti davanti tu, veloce e lieve e là dove eri tu vidi un’altra via; come questa fosse non so più… oh Benvenuta! carissima, vicina, più prossima di tutte, forse, appena mi toccherai ti renderai conto che l’incrinatura è davvero irrimediabile, che ii tocco più puro non può più risuonare perché un destino oscuro e inesorabile pesa in qualche modo sulla volta della campana. Dimmelo allora, cuor mio…, accogli questo pensiero con serietà, con coscienza nel tuo cuore a me sacro… L’infanzia riposata, la gioventù temprata alla durezza, e l’avvenire intatto: la notte di consacrazione del paggio a cavaliere si trovava precisamente nel punto d’intersecazione delle radiazioni di queste tre forze, perciò i giovinetti ne divenivano robusti, limpidi e promettenti. Dov’è invece la mia infanzia riposata e che aiuto può darmi il mio avvenire da tempo compromesso? – Una cosa vorrei: la notte prima di vederti, Benvenuta, vegliare e pregare, passarla in ginocchio, e digiunar come se mai non avessi dovuto nutrirmi – sostenuto tutto dalla mia attesa, dalla tua presenza imminente…

Rainer.

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Incontro

Imbruniva di già. Feci a piedi il lungo cammino, come un pellegrino che s’avvia verso un santuario. Passai per cento strade, così almeno mi sembrò, per viali, per un parco, ancora quasi spoglio dall’inverno, vicino al fiume, e poi dinanzi a lunghe file di case; mi correvano davanti tranvai e carrozze, e pedoni mi oltrepassavano come fantasmi. Pensavo: “Marburgerstrasse 4” e non riuscivo a pensare che a questo nome prosaico, e quando alla fine arrivai dinanzi al portone della casa, sulla cui targa, illuminata dalla luce di un riflettore, si leggeva Ospizio dell’Ovest, non potei più andare avanti. Mi sorressi alla maniglia della porta. Solo dopo un po’ di tempo suonai chiedendo con voce spenta alla cameriera che aprì il portone, se il signor Rilke era arrivato e se abitava qui. La ragazza, che portava un abito a righe bianche e azzurre e una cuffietta bianca, mi rispose in tono cortesemente preciso. “Sì signora, al terzo piano, porta ventiquattro”. Salii le ampie scale coperte di tappeti, passando dinanzi a molte porte. Nella casa regnava un silenzio mortale, soltanto le fiammelle del gas, che illuminavano le scale, facevano uno strano rumore, quasi un sibilo – ed ecco la porta numero ventiquattro, ben rischiarata, proprio di faccia alla rampa delle scale. Mi fermai a lungo e soltanto quando mi accorsi che qualcuno dal basso saliva, bussai. Per un istante nessuno rispose, poi sentii: “…Sì?” come una domanda quasi angosciata. Era la voce a me nota da ogni tempo, la cara amata voce ansiosamente attesa – e poi entrai. Vidi, come immersa nella nebbia, una gran stanza. In un angolo vicino alle finestre c’era una lampadina da scrivania col paralume verde, ma nessun’altra luce; dinanzi a me stava Rainer Maria, una figura sottile, scura e commovente; due occhi celesti mi guardavano, non avevo mai visto un volto umano così raggiante e spirituale. “Benvenuta – finalmente, finalmente ci sei” disse – ed io pensai che al dolce suono di quella voce si potesse dimenticare tutto e chiudere gli occhi per ascoltare in eterno.

Poi, prendendoci per mano, ci sedemmo sul piccolo divano di velluto verde; ci guardammo ridendo e piangendo.

Magda von Hattingberg

*In copertina: Rainer Maria Rilke e Clara Westhoff, che sposa nel 1901 e da cui ha una figlia, Ruth

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